In particolare, abbiamo seguito la corrente dei germanisti, che possiamo dire esser nata nell'anno 1828, con la pubblicazione contemporanea di tre libri che in modi diversi prospettano le direttrici principali della germanistica giuridica:
Georg Friedrich Puchta, Das Gewohnheitsrecht;
Jakob Grimm, Deutsche Rechtsaltertümer;
Wilhelm Albrecht, Die Gewere.
Desirée ha preparato un riassunto della lezione che può tornare utile a chi non c'era. Chi c'era ed è rimasto interessato può approfondire un po' anche leggendo il primo capitolo del mio libro "Diritto comune", del 2009.
Volgendo lo sguardo alla generazione dei primi germanisti, risalta la figura assolutamente singolare di un allievo ed amico di Savigny, Jacob Grimm. Questi può di certo annoverarsi tra gli esponenti della scuola storica, ma fu innanzitutto e principalmente un esponente del movimento romantico. Non sembra anzi potersi rinvenire in altre personalità una così completa incarnazione del romanticismo, ed una realizzazione così piena ed originale di quel ritorno di stampo umanistico alla "bellezza antica" che caratterizzò in generale la Germania di quel periodo. Si può parlare dunque di Grimm come “dell’anima e del cuore della scuola storica, o, se si vuole, del poeta di essa, mentre altri ne sono stati i teorici”, come è possibile leggere nello scritto di Giuliano Marini a lui dedicato (G. Marini, Jacob Grimm, Napoli,1972).
RispondiEliminaIl linguaggio, la fede, i costumi, il diritto, “trovarono in lui chi seppe comprenderli nella loro realtà individuale e nelle loro relazioni reciproche. Così le tesi romantiche della scuola storica sull’unità fondamentale di quelle diverse sfere della cultura, trovarono in lui la migliore dimostrazione”. Si rinvengono infatti in Grimm, anche se condotti talvolta con strumenti più affinati, i tentativi di Creuzer per la mitologia, degli Schlegel per la filologia e la linguistica, di Brentano e Arnim per la poesia popolare, di Savigny per il diritto; e lui, più che ogni altro, visse appunto fede, costumi, tradizioni, lingua, poesia popolare e diritto come frutto di una continua creatività del popolo e della storia.
Del resto la sua multiforme attività dà prova di un interesse non episodico per ogni aspetto essenziale della cultura o, più correttamente, della "vita di un popolo", come egli avrebbe preferito dire. Ed ogni elemento dell’attività di Grimm va esaminato come “testimonianza dell’unità della scienza romantica, come parte di un intero, in cui idee e problemi si richiamano vicendevolmente”.
Punto di partenza, nonché motivo fondante e ricorrente del lavoro condotto da Grimm, è quello inerente alla ricerca linguistica: la centralità del fenomeno linguistico nella storia dei popoli, e il valore paradigmatico assunto dal linguaggio rispetto a manifestazioni della cultura - quali il diritto, la fede, i costumi - incarnano punti focali dell'analisi grimmiana.
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RispondiEliminaLa lingua è infatti la vita stessa di un popolo, il suo esistere, pensare ed esprimersi, un fatto primigenio ed essenziale senza cui non può nemmeno parlarsi di “popolo”. In modo non diverso da Humbolt, Grimm vede un parallelismo tra lingua e civiltà di un popolo, anzi, va oltre, spingendosi a riconoscere nella lingua l’esternarsi del fenomeno storico stesso, nella sua purezza, libertà e continuità. Ovviamente questa particolare prospettiva del fenomeno linguistico come fenomeno fondamentale della storia (in quanto modello e simbolo dello svolgimento storico) non poteva che condurre, in un secondo momento, ad un paragone della lingua con altre espressioni “storiche”, come la fede e i costumi, e soprattutto il diritto. La visione della lingua quale complesso di determinazioni in continuo movimento - dunque, come sistema storico, o meglio ancora, come grammatica storica - costituiva un prototipo funzionale all’analisi delle altre creazioni della cultura. Quello della grammatica storica rappresentava in altre parole un metodo di ricerca potenzialmente applicabile ad ogni scienza che trattasse dell’uomo e della storia.
La Deutsche Grammatik e la Geschicthe der deutschen Sprache di Grimm non sono dunque semplici opere di linguistica, divengono vere e proprie “storie della cultura delle stirpi tedesche”. La Deutsche Grammatik in particolare, più che grammatica della lingua tedesca, arriva a costituirsi come grammatica storica di tutte le lingue germaniche, e come strumento atto a penetrare la vita di un popolo. Si sviluppa così un metodo storico, con una forte tendenza alla comparazione, atto ad ergersi quale modello generale della ricerca storica e scientifica.
La lingua è come la storia, inarrestabile e inestinguibile nel suo svolgimento, ed incarna quasi un organismo vivente In particolare essa (e così la storia, ma anche gli altri ambiti della cultura) sopporta le vicende di ciò che è composto di parti viventi: sorge, si sviluppa in armonica pienezza, si trasforma e deperisce.
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RispondiEliminaMa la lingua può essere paragonata anche alla natura: al pari di essa infatti, è qualcosa di inconscio e misterioso, “il suo cammino è lento ma inarrestabile, come quello della natura, che ci è estranea ma non ostile, non può mai star ferma, ancor meno tornare indietro”.
In questa particolare concezione della lingua e della storia appare chiara la distinzione primigenia, così presente nel periodo romantico, tra natura e arte, tra spontaneità ed elaborazione, ossia tra Natur e Kunst (un riferimento in merito si può trovare già nel primo scritto di Grimm, dove egli mostra di propendere per l’elemento della Natur, ossia per la spontaneità della natura).
Deve inoltre sottolinearsi come lo stesso discorso verrà riproposto con riferimento al diritto: anche il diritto, come la lingua, ha la sua naturalità, e viene appreso dai singoli spontaneamente, come spontanea è la crescita del corpo e dello spirito. Lo stesso Savigny si era espresso nella medesima direzione, parlando di un diritto naturale ma non nel senso inteso dai giusnaturalisti, quanto a sottolineare il carattere spontaneo della formazione del diritto.
Altro elemento tipico della ricerca linguistica di Grimm è quello inerente alla c.d. “visione delle epoche storiche”, per cui si individua uno schema ternario o triadico con riferimento all’analisi dello sviluppo del linguaggio, fondato sull’individuazione di tre periodi, uno della giovinezza, uno della maturità, uno della senescenza. Ad ogni periodo corrisponde una determinata caratterizzazione del linguaggio (nell’analisi giuridica, ad ogni periodo corrisponderà un determinato diritto); Grimm propende per il periodo della giovinezza, corrispondente alle epoche più antiche, perché in esso si possono individuare spontaneità, chiarezza e freschezza. E’ difatti nell’età antica che il linguaggio ha una carica altamente descrittiva, ed è in questa fase che gli uomini mostrano una piena felicità. Anche il diritto vive un primo periodo di “giovinezza dei popoli”, la quale “è povera di concetti, ma gode di una chiara coscienza delle sue condizioni e dei suoi rapporti”, età di intuizione spontanea del diritto; quest’ultimo dunque è nella sua essenza sempre diritto consuetudinario, perché generato inizialmente dai costumi e dalla fede del popolo, e solo successivamente oggetto di un’opera tecnica, quella della giurisprudenza.
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RispondiEliminaL’interesse per il diritto è soprattutto amore per l’età primitiva, secondo quando già ampiamente mostrato in ambito linguistico, tanto che Grimm ritorna su un motivo a lui caro: “Nell’antichità tutto era spiegato in modo più sensibile e nell’età moderna tutto si concentra in modo più spirituale. Qui è offerta di preferenza ponderazione, fondazione ed esposizione, là raccolta semplice e racconto”. Ovvio che Grimm propenda per l’elemento della sensibilità, che tra l’altro segna la fresca originalità del diritto germanico. Quella stessa sensibilità che si esprime del resto anche nella poesia popolare.
Stessa logica, stessi sentimenti, guidano pertanto il Grimm filologo e il Grimm giurista. Del resto non poteva essere altrimenti, tenuto conto della sua peculiare visione del diritto non quale complesso di leggi, bensì come aspetto della vita, totalmente equiparabile alle altre manifestazioni culturali, o piuttosto “popolari”.
Un ultimo riferimento è dovuto infine alla posizione assunta con riguardo alla presenza di un’autorità” razionalizzatrice e “codificatrice”. In realtà lingua e costumi hanno una loro naturale ed innata razionalità, al pari di tutte le altre “cose storiche”. Certo che, allora, di fronte a questa originaria naturalità e razionalità del diritto, che si incarna nella storia, si pone il problema della legislazione, e del suo ruolo nello sviluppo del diritto stesso. Volgendo lo sguardo al problema della “vocazione del …tempo per la legislazione”, Grimm afferma che le leggi possono essere sì migliorate, introducendosi così nuovi costumi giuridici, ma quest’azione deve mantenersi nei limiti e nelle esigenze della storia, altrimenti si avrebbero le stesse conseguenze dannose scaturite dai tentativi di quei grammatici volti a fondare le leggi della lingua. Il diritto e la lingua hanno infatti un carattere sacro e divino che non può essere turbato dallo zelo di riformatori astratti e freddi.
Alessia Guaitoli
Nota: il materiale è tratto dall'opera citata di Giuliano Marini, Jacob Grimm, Napoli, 1972
Appunti della lezione del 2.5.2011
RispondiEliminaL’importante produzione letteraria di Savigny datata inizio 1800 incontra la risposta di alcuni dei suoi stessi allievi nel 1828; un anno che ha visto nascere tre opere importanti dalla penna di tre giovani e precoci giuristi che avevano studiato le opere del Maestro negli anni precedenti: “Il diritto della consuetudine”, di George Friedrich Puchta (1798-1846) ; “Le antichità giuridiche tedesche” di Jacob Ludwig Karl Grimm (1785-1863) ed infine “Die Gewere” (letteralmente: l’apparenza del diritto) di Wilhem Eduard Albrecht (1800-1876).
“Il diritto della consuetudine”
L’opera di Puchta è divisa in due volumi. Il primo dei due rappresenta una reazione alle teorie principali di Savigny, impregnate di cultura romantica: patriottismo, sturm und drang, ricerca nel Medioevo delle origine del popolo tedesco (in contrasto con l’Illuminismo che cercava invece nella classicità le propri origini, come si può notare anche in architettura. - Vedi il Pantheon de Paris. Puchta propone un nuovo concetto di consuetudine: un insieme di regole che il Popolo segue perché convinto della loro vincolatività giuridica, a prescindere dalla loro applicazione protratta nel tempo (prassi) e che prima non ha potuto seguire in quanto oppresso. Per Puchta può esistere un diritto consuetudinario nel cuore e nella convinzione del Popolo anche se quelle regole che lo formano non hanno mai trovato ancora applicazione. Si tratta di una tesi molto teorica chiaramente che per questa ragione non ha trovato molti consensi. L’Autore cambia il soggetto del diritto: si passa dal Legislatore al Popolo. Ecco una forma di quella reazione tedesca alla codificazione di cui abbiamo spesso parlato. Il Popolo ritorna ad essere investito di una coscienza giuridica immanente e di un sapere che Savigny gli aveva negato (pur parlando di spirito del popolo), convinto che solo la classe dei giuristi sapesse interpretare le esigenze del Popolo e della Nazione.
“Le antichità giuridiche tedesche”.
L’opera di Jacob Ludwig Karl Grimm è invece un’opera incentrata sulla ricerca delle origine del diritto tedesco. Un diritto che per il più giovane dei fratelli Grimm doveva essere trovato nei documenti, nelle sentenza dei Tribunali tedeschi del 1400-1500. Oltre non si poteva spingere in quanto i testi di diritto antecedenti a tali anni nella maggior parte dei casi erano in lingua latina, cosa che lo avrebbe costretto ad andare verso quella classicità tanto cara a Savigny ma da lui tanto ripugnata in nome di una tradizione germanica “pura”. Questa ricerca di Jacob Grimm ci fa meglio comprendere la passione che i due fratelli Grimm nutrivano per le favole e le fiabe popolari tedesche.
“Die Gewere” (L’apparenza del diritto)
RispondiEliminaL’opera di Albrech ha invece rappresentato la risposta più eloquente alla celebre opera di Savigny intitolata “Il diritto del possesso”. In essa il Maestro aveva sostenuto che il possesso nel diritto romano fosse una situazione di fatto dalla quale nascevano due conseguenze giuridiche: la possibilità di accedere ad un procedimento rapido (il procedimento possessorio) e la premessa per l’acquisto della proprietà attraverso il decorso continuato del tempo. Savigny auspicava un ritorno al diritto romano in materia di possesso criticando fortemente l’uso distorto (diceva) che dell’istituto era stato fatto successivamente. Ricordiamo ad esempio che la moglie ripudiata, nel periodo medioevale, poteva addirittura chiedere al Giudice di essere reintegrata nella sua situazione quo ante facendo uso della tutela possessoria. Per Savigny si era così arrivati all’assurdo. Egli chiedeva con tutta forza di riancorare il possesso unicamente a situazione di diritto reale, come era infatti nel diritto romano. Da queste premesse nasce la critica di Albrecht. Per l’Autore ciò che contava era la cd “apparenza del diritto” ovvero non tanto la titolarità del diritto quanto la percezione da parte dei consociati della nostra situazione giuridica. Conta molto più essere considerati dai terzi come i legittimi titolari di una data situazione giuridica che essere i veri titolati della stessa. Se Tizio appare come l’avente diritto, egli ha capacità giuridica di agire. Egli separa dunque l’azione dal diritto sostanziale; impensabile un simile ragionamento nel diritto romano. Questa impostazione contribuì poi alla nascita di un vero e proprio ramo della Scuola Storica, ovvero quello dei Germanisti, sempre attenti a recuperare le tradizioni giuridiche tedesche solo da ciò che era prettamente tedesco.
L’importanze del concetto di “apparenza del diritto” emerge con tutta evidenza se pensiamo che ha rappresentato le premesse per quelle fictio iuris sulle quali oggi si basano gli scambi commerciali di tutto il mondo: l’immaterialità dei titoli di credito; la cessione dei contratti reali (esempio in materia di locazione quando il bene locato viene venduto ad un terzo mentre il rapporto di locazione tra locatore e conduttore è ancora in corso); l’impresa come soggetto di diritto centro di imputazioni giuridiche pur non essendo persona fisica; il sindacato come soggetto di diritto in grado di rappresentare tutti i suoi iscritti automaticamente senza necessità di un nuovo contratto con la controparte contrattuale, etc. Questa immaterialità e questa sorta di “spersonalizzazione” dei rapporti contrattuali non sarebbe mai stata possibile nel diritto romano che era un diritto incentrato sui rapporti personali che legavano le parti del contratto.
Segnalo la parte di Savigny contenuta nei Quaderni fiorentini molto interessante... http://www.centropgm.unifi.it/quaderni/09/0113.pdf
RispondiEliminaYlenia Coronas
Alcuni cenni su Otto von Gierke.
RispondiEliminaNasce a Stettino nel 1841,si trasferice poi a Berlino per frequentare l'università e dove diverrà allievo di Georg Beseler,giurista della scuola tedesca. Le idee di Beseler lo influenzeranno per tutta la sua esistenza e confluiranno in parte anche nella sua teoria.
Fu anche professore nelle università di Heidelberg,Breslavia e Berlino dove ricoprirà la cattedra precedentemente appartenuta a Beseler,nel frattempo scomparso.
La sua dottrina fondamentale si fonda sull'idea secondo cui il fenomeno giuridico trova la sua fonte nelle diverse collettività umane che si formano spontaneamente mediante l'aggregazione di gruppi di persone ( dalle famiglie alle comunità di contadini fino alla nascita dello stato vero e proprio). Con Otto von Gierke ritroviamo una ripresa-propria della corrente dei Germanisti- delle teorie di origine medioevale gia formulate da Tommmaso d'Aquino e soprattutto nel "De Monarchia" da Dante.
Tra le opere principale di Otto von Gierke ritroviamo:
-Diritto tedesco delle corporazioni,Berlino,4 volumi,1868,1873,1881.
-Diritto privato tedesco,Leipzig,3 volumi,1895.
-Diritto naturale e diritto tedesco,Francoforte,1883.
-Johannes Althusius und die Entwicklung der naturrechtlichen Staatstheorie,Berlino,1880.
Dagli appunti delle lezioni:
RispondiEliminaI Germanisti appartengono ad una corrente della Scuola Storica la cui nascita può essere fatta risalire al 1828,anno in cui Albrecht pubblica "DIE GEWERE". Si differenziano dai Romanisti perchè rifiutano l'invadenza del diritto romano (tanto amato da Savigny) come modello assoluto,proponendo invece il diritto germanico.E' su queste basi che si svilupperà la diatriba tra Romanisti e Germanisti. Questi ultimi ritengono che spetti al popolo produrre le norme attraverso la consuetudine la quale viene esaltata facendo anche riferimento all'istituto della GEWERE e considerata come produzione spontanea dei popoli germanici. Il più celebre germanista è Otto von Gierke,giurista tedesco profondamente influenzato dal suo maestro Beseler il quale scrisse nel 1843 "Diritto del popolo e diritto dei giuristi" nel quale delineava l'idea del diritto del popolo contrapposto a quello dei giuristi. Infatti Beseler riteneva la recezione del diritto romano in Germania un'autentica disgrazia poichè i giuristi avevano imposto un diritto STRANIERO, quale era appunto quello romano.
Sulla scia di Beseler, Otto von Gierke sviluppa la sua teoria secondo cui la struttura della società germanica è basata sulle corporazioni.
Nella corrente dei Germanisti possiamo vedere un attaccamento nostalgico al Medioevo,ritenuto un'epoca perfetta, e alla quale auspicano un ritorno.