martedì 19 aprile 2011

I "Discorsi" del conte Sclopis e la polemica sulla codificazione

Tra il 1833 e il 1835 Federigo Sclopis pronunciò all'Accademia delle Scienze di Torino, alla presenza del re, i Discorsi sulla legislazione civile. Il giovane magistrato sosteneva la assoluta necessità della codificazione civile, contro coloro che a corte vedevano nel codice il "cavallo di Troia" per l'ingresso di pericolose idee liberali. Ma soprattutto i Discorsi si rivolgevano a quella parte della cultura giuridica subalpina che guardava con interesse e favore alle idee del Savigny, e all'anticodicismo della scienza giuridica tedesca. Qualche studente potrebbe ricercare i testi dei "Discorsi" (sono stati ripubblicati pochi anni fa dal prof. Gian Savino Pene Vidari) ed estrapolare le specifiche argomentazioni addotte dallo Sclopis, che dovettero essere assai convincenti, se è vero che contribuirono decisivamente alla ripresa dei lavori legislativi, e alla promulgazione del "Codice civile di S.M. il Re di Sardegna (il c.d. codice civile "albertino") del 1837.
Questo episodio rientra nella più ampia "polemica sulla codificazione" che investì il mondo giuridico europeo del primo XIX secolo. Oltre la celeberrima contrapposizione tra il Savigny e il Thibaut in Germania (sulla quale si tornerà), vanno ricordate le battaglie del giurista e filosofo inglese Jeremy Bentham, che cercò di esportare la codificazione anche nelle Americhe (chi legge l'inglese può trovare sul web i Papers on codification, del 1817).

20 commenti:

  1. Dai “Quaderni Fiorentini 9" (1980) Filippo Ranieri porta alla luce un dibattito sulla figura di Savigny e sulla sua influenza nelle codificazioni preunitarie. La scuola storica del diritto, fondata da Savigy che non era favorevole alla codificazione, ebbe poca fortuna in Italia perché era influenzata dal giusnaturalismo e dal razionalismo francesi. Ghisalberti afferma che le tesi di Savigny non furono apprezzate ed ebbero parziale e poco seguito perché erano legate alla realtà tedesca. La partecipazione dell’opinione pubblica sulla codificazione negli stati preunitari fu modesta in confronto al resto d’Europa. Solo Sclopis diede pubblicità,( anche se frammentaria perché i lavori erano mantenuti segreti dalla cancelleria) negli anni '30, ai lavori preparatori dei codici: il dibattito che ne seguì non poté, però, essere completo. L’opinione pubblica partecipò alla preparazione politica e giuridica della codificazione solo negli anni '50. Tutta questa segretezza aveva impedito la ricezione delle tesi savignane, anche se il dibattito europeo sulla codificazione non rimase ignoto: si conoscevano le tesi di Bentham e dello stesso Savigny che manteneva rapporti con giuristi italiani tra cui Sclopis. Fu proprio Sclopis a confutare la tesi di Savigny sull’evoluzione insita nell’ordinamento giuridico: per il giurista italiano, formatosi sulla base del giusnaturalismo cristiano, la natura eterna ed immutabile dell’idea di giustizia era fondata nell’ordine divino. Il fine di Sclopis era quello di difendere la codificazione in Piemonte. La scuola storica non può essere contrapposta all’idea di codificazione civilistica in quanto, prendendo in prestito le parole di Ungari, le codificazioni furono “il risultato di uno scontro di forze reali”. Esempio emblematico della strumentalizzazione delle tesi di Savigny si ritrova nel Granducato di Toscana, in cui il diritto romano comune era fonte sussidiaria del diritto. Qui non fu accettata una codificazione perché avrebbe immobilizzato il diritto, come aveva affermato Savigny; si era favorevoli a leggi ed istituzioni che permettevano un’evoluzione giurisprudenziale che rispecchiasse le necessità e gli sviluppi di un’epoca nuova. Le tesi di Savigny furono usate come strumento per combattere la codificazione; alcuni giuristi erano propensi a dei lavori di codificazione solo per riforme parziali della disciplina legislativa di singole materie. Il diritto romano comune non doveva mutare la sua funzione sussidiaria del diritto: questa posizione rappresentava il rifiuto ma anche un’alternativa alla codificazione. I giuristi toscani volevano che il diritto romano comune fosse preso come modello nazionale italiano e non appoggiavano la diffusione del codice napoleonico, che ormai riproduceva la società liberale e borghese. Le tesi della scuola storica furono utilizzate solo per salvaguardare il vigente ordine giuridico e sociale.

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  2. TENTATIVO DI CODIFICAZIONE IN INGHILTERRA E NON SOLO AD OPERA DI BENTHAM
    Jeremy Bentham fu filosofo,politologo radicale e fra i primi proponenti del movimento dell’utilitarismo e sostenitore del liberismo. Egli non accolse le idee del giusnaturalismo riguardo la concezione dello Stato,a suo parere esso non si basa su di un contratto sociale,ma sulla ricerca utilitaristica della felicità collettiva,il piacere comune,il quale deriva dalle azioni buone imposte dalla legge. Ciò che riprende dalle teorie illuministiche però sono i principi di chiarezza,certezza,semplicità ed universalità che il diritto deve rispettare.Ritiene necessaria una riorganizzazione del diritto, tale da assicurare sistematicità e razionalità al sistema normativo inglese;da qui la critica al common law. Egli fu quindi a favore della codificazione,e nella sua opera “Papers on Codification”,propone un progetto codificatorio che doveva essere articolato in tre parti:codice civile,penale e costituzionale.tale progetto non doveva essere opera di una commissione di giuristi o di giudici,ma di una sola persona scelta tramite concorso e non retribuita:massima espressione del mito illuministico del legislatore razionale ed universale. L’opera è rivolta alle autorità legislative degli Stati Uniti d’America,Grecia,Spagna,Portogallo,America centrale e del Sud, e alla Russia,e sollecita questi stati affinchè esse si adoperino per porre in essere un “Code of Law”(codice di leggi).Tenta di persuaderli dell’utilità del suo progetto,e in cambio non chiede altra retribuzione se non il fatto di accettare la sua proposta. Il codice deve basarsi su una rigorosa analisi logica delle azioni umane,e deve essere organizzato in un corpo di leggi onnicomprensivo e argomentato,affinchè fosse compreso dai cittadini.L’obbiettivo conformemente con il pensiero utilitarista è raggiungere la massima felicità per il maggior numero di persone,fine che non poteva essere perseguito dall’opera creativa dei giudici. Può essere definita una voce fuori dal coro in Inghilterra,che di fatto fu ascoltata ma non appoggiata nella pratica nel suo paese,poiché come sappiamo bene,una codificazione non fu mai raggiunta.


    Chiara Mele

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  3. Papers on codification fonti:
    http://oll.libertyfund.org/?option=com_staticxt&staticfile=show.php%3Ftitle=1925&chapter=116866&layout=html&Itemid=27

    oppure


    http://books.google.it/books?id=d64GAAAAMAAJ&printsec=frontcover&dq=Papers+on+codification&source=bl&ots=_PJTzSrxYm&sig=jHZamdlBtp7HIeTRfBk9w1nQ7fs&hl=it&ei=bJatTb6WLYPzsgaO37zXDA&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=8&ved=0CFwQ6AEwBw#v=onepage&q&f=false


    Chiara Mele

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  4. Savigny e la Scuola Storica

    Ho ritenuto opportuno, visto il discorso affrontato a lezione su Sclopis e la sua opposizione a
    Savigny, affrontare i punti salienti che caratterizzano la scuola storica in Germania .

    Il giusnaturalismo francese da cui poi scaturiscono gli ideali rivoluzionari che portano alla formazione del Code Napoleon, viene gestito da filosofi e da giuristi a stretto contatto con la giurisdizione nazionale, per cui ebbe riflessi molto pratici e politici. La stessa situazione non si presentò invece in Germania, in cui il movimento che portò alla codificazione fu sviluppato invece da professori d’ università e da governanti, che si trovavano in una situazione di frammentazione politica e giurisdizionale. I giusnaturalisti tedeschi erano lontani dalla pratica, con la conseguenza che il loro insegnamento rimase legato alla giurisprudenza “elegante” di tipo umanistico. È in questo ambito che nasce la scuola storica il cui fondatore può essere considerato Friederic Carl von Savigny (1779-1861).

    La scuola storica è un prodotto tedesco del XIX secolo: si pone il problema dell’ interpretazione e della dispositio del sistema (che in Francia era stato affrontato portando poi al codice, mentre in questo movimento viene trattato solo come problema di organizzazione, di sistema che pensa a un ordine interno dei principi generali tedeschi). In Francia si afferma infatti l’ idea del primato legislativo e della posizione ancillare della scienza del diritto rispetto al testo legislativo ( ricordiamo infatti la visione negativa avutasi durante il droit intermediaire della figura dei giuristi, poi parzialmente riabilitata da Napoleone, visione tra l’ altro tanto osteggiata attualmente da Grossi), mentre in Germania il principio è capovolto: è il testo legislativo a dover essere considerato subordinato rispetto alla scienza del diritto.
    Dobbiamo dire innanzi tutto che incatenare la scuola storica tedesca a una definizione non è facile: si è detto che questa sarebbe un esito strettamente legato al Romanticismo, al Classicismo e al Neoclassicismo per il suo rifarsi al Corpus Iuris Giustinianeo, si è teso anche a creare una contrapposizione tra la scuola storica tedesca, che tende all’ attualità del diritto romano, e i movimenti Germanisti che invece recuperavano le vecchie tradizioni barbariche germaniche. In realtà la scuola storica ha vari agganci con l’ epoca e non può essere collegata a un unico movimento generatore: esiste però un collegamento con l’ Umanesimo giuridico del XVII secolo, ovvero un movimento giuridico teso al recupero di testi giuridici, molto storicizzante, che poi subì i colpi dell’ illuminismo, ma sopravvisse nei vari Stati come elemento minore per l’ importanza data all’ elemento storico.
    (continua)

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  5. Prima che in Savigny, la Scuola Storica trova impulso presso i Maestri di Goethinger, città dove insegnava Gustav Hugo, la cui importanza per il movimento sta nella sua enfasi posta sulla necessità di far uscire il diritto da situazioni filosofeggianti, insistendo sul diritto positivo. Il discorso non è nuovo ed era già emerso tra i glossatori e i commentatori, che sporadicamente accennavano a un ius conditum, contrapposto al ius naturale.
    Ha così sviluppo la dicotomia teoria-pratica: prima del 1500 erano inesistenti i giuristi che facevano riferimento alla teoria, mentre vi era un’ esaltazione del momento pratico (come ad esempio in Baldo degli Ubaldi). Il momento teorico era sottodimensionato rispetto al momento pratico, per cui la “praxis” indicava la procedura giudiziaria, il diritto dei tribunali o il diritto che trovava concreta applicazione, mentre il teorico indicava il diritto non odiernum, che non trovava applicazione. La dialettica vera tra teoria e pratica si sviluppa invece in Germania tra il 1500 e il 1600: Volteius distingue tra usus scientia e usus prudentia, in cui comunque balza all’ occhio l’ importanza della pratica, ma comincia a considerare l’ importanza del momento teorico, se legato comunque alla pratica. Nella scuola storica il problema della dicotomia teoria- prassi è ancora dibattuto e la soluzione viene data nell’ elaborazione della scienza del diritto, che compone la dicotomia e introduce un quid pluris rispetto alla tradizione: la “Rechtswissenschaft” (giurisprudenza) trova corrispondenza nella scientia iuris latina, ma ha qualcosa in più, perchè non è uno studio finalizzato solo al sapere, ma indica il “sapere scientificamente”, un grado superiore rispetto al mero sapere, per cui ha un carattere rafforzativo rispetto al semplice termine “iurisprudens”. La “rechtswissenschaft” è la creazione di un modello giuridico superiore, contrapposta alla Rechtsfilosophie. La rechtswissenschaft quindi ricompone la dicotomia tra momento teorico e pratico mettendoli insieme e assimilando il momento pratico al diritto storico: è questo l’ atteggiamento programmatico da cui parte Savigny.

    (continua)

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  6. Savigny è il vero creatore della scuola storica, anche se prima di lui aveva posto le basi come abbiamo visto Hugo. Analizziamo i punti fondamentali del discorso di Savigny:

    - La sua concezione è prodotto dell’ irrequietezza del tempo: possiamo muovere da uno scritto di Savigny del 1814, in cui reagisce in maniera violenta a uno scritto di Thibaut, in cui questo affermava l’ esigenza di realizzare una codificazione generale di tipo francese per tutta la Germania. Savigny nella sua risposta feroce si focalizza su un’ argomentazione: sostiene il rifiuto assoluto dell’ idea di codice civile per la Germania in quel momento storico, e devolve alla scienza del diritto le funzioni di provvedere nel frattempo ai compiti del codice e di elaborare il diritto tedesco sulla base della tradizione romanistica. Uno dei meriti di questa visione è di aver saputo staccare la scienza del diritto tedesca dalla metodologia del giusrazionalismo, allontanandosi dai postulati di questo e riaprendo il campo a un’ indagine che muove dalla realtà (elemento di connessione tra la scuola storica di Savigny e i movimenti dell’ umanesimo giuridico).

    - L’ esclusione che Savigny e la scuola storica fossero reazionari: si possono considerare reazionari rispetto alla maggior parte dell’ Europa e al Code Napoleon, ma è una definizione semplicistica. Il clima culturale in cui si sviluppa il movimento è sì reazionario, ma definire lo stesso Savigny reazionario non è corretto, come non lo è definirlo restauratore: egli è piuttosto un innovatore. Esiste anche un collegamento di Savigny con il mondo inglese: infatti riprende uno scritto di Edmund Burke, “Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia” del 1790,in cui Burke sostiene testualmente « Fare una rivoluzione significa sovvertire l'antico ordinamento del proprio paese; e non si può ricorrere a ragioni comuni per giustificare un così violento procedimento. […] Passando dai principî che hanno creato e cementato questa costituzione all'Assemblea Nazionale, che deve apparire e agire come potere sovrano, vediamo qui un organismo costituito con ogni possibile potere e senza alcuna possibilità di controllo esterno. Vediamo un organismo senza leggi fondamentali, senza massime stabilite, senza norme di procedure rispettate, che niente può vincolare a un sistema qualsiasi. [...] Se questa mostruosa costituzione continuerà a vivere, la Francia sarà interamente governata da bande di agitatori, da società cittadine composte da manipolatori di assegnati, da fiduciari per la vendita dei beni della Chiesa, procuratori, agenti, speculatori, avventurieri tutti che comporranno una ignobile oligarchia, fondata sulla distruzione della Corona, della Chiesa, della nobiltà e del popolo. Qui finiscono tutti gli ingannevoli sogni e visioni di eguaglianza e di diritti dell'uomo. Nella "palude Serbonia" di questa vile oligarchia tutti saranno assorbiti, soffocati e perduti per sempre. >>. Burke considerava ogni Costituzione come prodotto di una lenta gestazione e non di una rivoluzione: Savigny riprende il suo discorso, non limitandolo alla costituzione, ma ampliandolo a livello di fenomeno giuridico.

    - Rapporto teoria-pratica secondo Savigny: sono considerati due diversi stati e professioni e due momenti essenziali dell’ attività del giurista, che ha il compito di ricomporre tale dicotomia, perché i due momenti sono intimamente connessi. Per Savigny si possono individuare due funzioni del giurista : una teorica con compiti altissimi di critica del testo e delle fonti (analisi esegetica) da cui è possibile cogliere il sistema (perché interno alla giuridicità, emerge tramite l’ analisi delle fonti, non esterno) e di attenzione ai fatti, l’ altra pratica, per cui non ci si deve limitare al contenuto delle fonti, ma l’ analisi deve individuare l’ attuazione delle fonti al mondo vivente( organicismo). In questo modo Savigny fa dell’ attività scientifica un organo di diritto consuetudinario, in modo che possa produrre diritto e diventare essa stessa quindi fonte del diritto.
    (continua)

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  7. - Savigny si fa portatore di una visione allo stesso tempo unitaria e plurima del fenomeno giuridico. Unitaria perché abbraccia insieme popolo e Stato, affermando che tra entrambi vi è una intrinseca unità, identità: l’ intero diritto è un tutto unico in sé distinto in due campi per il suo oggetto, ovvero il diritto privato e lo Stato, però il diritto privato non può vivere se non nello Stato e nell’ apparato giudiziario. Plurima, perché la produzione del diritto non si ha solo nel popolo e nello Stato, ma anche nei più piccoli organismi intermedi. Emerge quindi una nuova visione di Stato come legato al reale.

    - L’ edificio ordinamentale di Savigny: si compone di tre piani che sono, partendo dal basso, rapporto giuridico, istituto giuridico e sistema giuridico.

    1. Rapporto giuridico: è il dato originario che si può cogliere in un dato ordinamento. È la relazione tra più persone e ha natura organica , avendo carattere fattuale e reale e venendo dalla vita pratica (è caratterizzata da un forte aggancio alla realtà);
    2. Istituto giuridico: è il risultato di un operazione concettuale attraverso cui si arriva a una concettualizzazione e che consente di individuare singoli rapporti giuridici separati senza perdere di vista l’ unità che li collega. In questa fase il rapporto giuridico finisce in secondo piano, essendo l’ istituto in rapporto di genus ad speciem con esso;
    3. Sistema giuridico: rappresenta il momento di armonia e coesione in cui tutti gli istituti si collegano in maniera organica. Il sistema non si sovrappone al dato giuridico del contesto storico, ma è connesso al dato reale non creato dal giurista, ma che il giurista estrapola dalla realtà.

    - L’ idea di una spontaneità del diritto positivo: il diritto non è considerato come un corpo statico, ma in continuo movimento. Esso è il prodotto dello spirito del popolo vivente e operante in una certa realtà. Il fondamento del diritto è da ricercarsi in tre elementi che corrispondono a tre fonti: la consuetudine, la legge-legislazione, il diritto scientifico.

    1) Consuetudine : Savigny la considera il fondamento del diritto del popolo. Essa sorge in modo invisibile, è insita nel modo di essere del diritto del popolo, e si palesa quando si esterna in atti, usi, e solo allora diventa indizio di diritto positivo, rimanendo tuttavia ancora segno di un diritto consuetudinario organico del popolo;
    2) Legislazione: si ha quando l’ elemento consuetudinario di manifesta e viene rivestito di forma linguistica che gli dà autorità assoluta. La veste autoritativa viene data dallo Stato, che è un’ entità unica con il popolo;
    3) Diritto scientifico: è quello dei professori di diritto, dei giuristi, che sono comunque parte del popolo secondo la visione unitaria. I giuristi hanno un doppio compito: materiale, perché costituiscono il livello più elevato di percezione del diritto insito, e formale, perché hanno il dovere di dare scientificità al tutto.

    - Differenza tra lo storicismo di Savigny e quello di Hegel: entrambi hanno come matrice comune l’ illuminismo ed entrambi reagiscono a questo, però mentre Hegel con lo storicismo critica il razionalismo astratto perché è più razionalista degli illuministi, Savigny non considera il sistema dei giuristi come staccato dalla realtà , ma come un prodotto che fa parte del popolo e quindi a questo intimamente legato e organico.

    - Ruolo centrale dell’ opera dei giuristi nel processo creativo del diritto: il ruolo dei giuristi è un ruolo creativo e essenziale, perché tramite necessario al procedimento di acquisizione di evidenza della normazione. Il ruolo del giurista è mitizzato, però è importante perché Savigny ne riafferma la centralità , mettendosi agli antipodi di ciò che succedeva in Francia con i doctores legum. Savigny rovescia la concezione giusrazionalista di tipo logico-deduttivo, per enfatizzare la logica di tipo induttivo che deve essere utilizzata dal giurista.

    (continua)

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  8. - Metodo storico: per Savigny è quello da utilizzare, ma cominciano ad avere importanza anche gli elementi sistematici. Il metodo storico tende a riconoscere i fatti giuridicamente rilevanti, non viene più inteso come semplice racconto di vicende, ma come volto a cogliere attraverso i fatti e le cause legate il principio che li unifica e produce: si ha la formazione del metodo storico come metodo scientifico, per cui la concezione del diritto appare dinamica e viene rivalutata la posizione del giudice. Per Savigny quindi sistematica e metodo sistematico sono connessi intimamente con il metodo storico, costituiscono due momenti di uno stesso processo, e questo è il segno di una fuga dall’ astrattismo a favore di una concretezza della propria analisi (questo rapporto sarà poi alterato da Puchta, che accentuerà l’ allontanamento dal dato reale focalizzandosi sul sistema).

    Evoluzione della scuola storica: Puchta e la Pandettistica

    L’evoluzione degli ideali di Savigny , estremizzati però, si ha con il suo allievo Georg Friedric Puchta (1798-1846), fondatore di un altro movimento che si è evoluto dalla scuola storica, la Pandettistica ( il movimento prende il nome dall’ opera principale di Puchta,” Lehrbuch der Pandekten “, 1838).
    Gli elementi della Pandettistica sono per la maggior parte coincidenti con quelli della Scuola Storica di Savigny, mentre si differenzia in maniera estrema su alcuni punti:
    - Sopravvalutazione del metodo sistematico rispetto a quello storico: come abbiamo detto precedentemente, Puchta si distacca dalla visione di Savigny che vedeva il metodo storico come metodo scientifico, considerandoli due momenti di uno stesso processo. Puchta ridà al sistema un carattere astratto, accentuando il ruolo del sistema rispetto al dato reale: il sistema si stacca dalla visione del diritto legato alla società, diventa un dogma assolutizzato avente vita propria. Si ha la preminenza di una tendenza razionalistica.
    - Con Puchta si comincia a parlare di genealogia dei concetti: i diritti soggettivi sono posti su una scala ideale di concetti graduati, alcuni superiori altri inferiori. Il compito del giurista in questa concezione è di creare tali princìpi e colmare i vuoti: ha inizio con la Pandettistica la giurisprudenza dei concetti. Tale concezione viene criticata da Rudolf von Jhering, che la definisce giurisprudenza degli interessi, e che vuole rivincolare il dato normativo con il momento storico.
    - Aspetto positivo della pandettistica è che la scienza del diritto raggiunge un livello altissimo, ancora oggi influente.

    (continua)

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  9. Verso una Pandettistica di ritorno?
    Al giorno d’ oggi l’ Unione Europea si pone come diritto uniforme e questo crea il problema del suo impatto con i singoli diritti nazionali: il diritto Europeo è il risultato dell’ odierno, dell’ attuale, della lex mercatoria, del Trattato di Roma e dei dialoghi tra giudice nazionale e giudice europeo. Ci si è chiesti quindi se si può pervenire a un’ organizzazione di codici verbali e concettuali di ciò che è già diritto europeo, assegnando un ruolo significativo alla scienza del diritto, che deve tenere però anche conto della realtà e del fondamento storico dei diritti nazionali, delle fonti formali e sostanziali, queste ultime individuabili solo grazie a particolare sensibilità e conoscenza storico-giuridica. Alcuni autori hanno quindi posto il problema se sia ipotizzabile una Pandettistica di ritorno da applicare per costituire un sistema di diritto europeo. Si è parlato di “Pandettistica di ritorno” con riferimento al diritto Europeo per l’ introduzione dello studio di ‘Fondamenti di diritto Europeo’ e quindi per la necessità di ritrovare tali fondamenti.

    La Pandettistica in realtà, accostata alla costruzione di un sistema europeo, è inattuale per la sua metodologia, caratterizzandosi come una ricerca di un sistema logico-formale chiuso, con la prevalenza del sistema sulla storicità del diritto, con la sua esasperazione sotto Puchta che arriva all’ assurdità della costituzione di una “matematica dei concetti”. Tale visione formalista risulta completamente insufficiente e inadeguata nell’ approccio alla realtà europea, caratterizzata dal continuo variare della realtà e delle situazioni, per cui non si può prescindere da valori etici o realtà storico- sociali empiriche. Questo significa quindi escludere la possibilità di una Pandettistica di ritorno.

    Fonti:
    - Mannino V., “ Questioni di diritto”, 2007, Giuffrè Editore
    - Ascheri M., “Introduzione storica al diritto moderno e contemporaneo”, 2003, Giappichelli Editore
    - Appunti personali delle lezioni di Diritto Romano del Prof. Mannino V., comprensive di seminari di approfondimento.

    Eleonora Fardellotti

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  10. Sulla vita di questo conte…

    Federigo Sclopis nacque nel 1798 da una famiglia nobile torinese, si laureò in Giurisprudenza e fu subito chiamato da Prospero Balbo fra i collaboratori diretti della Segreteria degli Interni.
    In seguito egli entrò nella magistratura sabauda, di cui divenne presidente di Cassazione.
    All’età di soli trent’anni, Sclopis, divenne socio dell'Accademia delle Scienze. Nel 1831 il re Carlo Alberto nominò Sclopis nella ristretta commissione per la redazione del codice civile. Erano quelli gli anni in cui si discuteva sul mantenere o meno una forma di codificazione di ispirazione napoleonica. Nella lotta per la codificazione si inseriscono soprattutto Savigny, alter-ego del giurista torinese in quanto rappresentante della scuola storica, Thibaut e Bentham.
    Dal 1853 al 1878 Sclopis fu presidente della Deputazione.

    Nel 1840 uscì il primo volume della sua opera più nota, Storia della legislazione italiana, tradotta in francese, inglese, tedesco. Egli vi si è occupato della storia generale della legislazione italiana dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Dapprima ha analizzato quali fossero gli ordini costituenti i governi civili e quali fossero gli atti esposti sotto la forma di precetto comune. La sua opera si presenta divisa in tre parti:
    - nella prima parla delle origini della legislazione italiana, evidenziando dunque le fonti principali da cui derivavano le leggi delle varie contrade della penisola dal 13° secolo in poi;
    - nella seconda tratta i progressi della legislazione, ossia il procedimento naturale dei fatti, arrivando alla fine del 18° secolo;
    - nella terza parte invece espone lo stato presente della legislazione italiana.
    Dal declino del reggimento forestiero, nel 15° secolo, l’Italia, per Sclopis, si costituì in quattro “nobilissime” regioni: Sicilia, Napoli, Lombardia e Sardegna. Si ha così l’introduzione del governo assoluto. Tra le cause, quelle generali predisponenti, della soggezione politica dell’Italia, possiamo scorgere la prevalenza nei grandi dell' interesse individuale all'amor di patria, l'inerzia e l'avvilimento nelle moltitudini. Anche se per lo stesso Sclopis a salvare il nostro paese da tale soggezione sarebbero forse bastati solo i divisamenti di Lorenzo il Magnifico, statista veramente italiano che riuscì a tener l ' ago della bilancia in fra i principi d'Italia e a rimuovere ogni pretesto di invocare l’aiuto straniero. Ma la vita di quest’uomo venne meno troppo presto.

    È importante sottolineare però come, nel 1848, Sclopis si prodigò per la concessione dello Statuto Albertino da parte del re. Infatti, concesso lo Statuto, egli fu scelto dal sovrano per formare il primo governo costituzionale. Compito che poi Sclopis affidò all’amico Cesare Balbo.
    Nel 1849 entrò in Senato con la nomina regia. Tuttavia nel 1864, anno della Convenzione di settembre, con la quale l'Italia si impegnava a trasferire la propria capitale da Torino a Firenze, Sclopis, deluso perché attaccato ai valori della tradizione piemontese, si dimise dalla sua carica. Nello stesso anno divenne presidente dell'Accademia delle Scienze.

    Ylenia Coronas

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  11. C'è qualcuno che può dirmi quali argomenti sono stati oggetto della lezione di oggi e se ci sono state comunicazioni di servizio?grazie Monica

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  12. ho trovato un confronto tra Savigny e Bentham, dove sono evidenziate le differenze

    http://www.grupposociologia.altervista.org/files/SAVIGNY-BENTHAM.pdf

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  13. Nei Discorsi Federigo Sclopis si occupa di quelle” investigazioni morali che ricercavano l’arte del governo civile”, guardando e analizzando a tal fine anche le dottrine che erano oggetto di insegnamento nelle scuole della Germania di allora. I Discorsi sono definiti dall’autore un “saggio di idee ragguardevoli alla legislazione”.
    Nel Discorso I ,dedicato alla” compilazione de’ codici di leggi civili”,leggi umane grazie alle quali non si arriva alla purificazione dell’animo,ma almeno a quello stato di pace che dovrebbe caratterizzare ogni società civile, Sclopis risponde a coloro i quali denunciano un eccessivo proliferare di codificazioni e vorrebbero privare la legislazione di ogni autorità di teoria generale …
    ”L’ accrescere,il migliorare delle leggi,il ridurle insieme,il renderle più efficaci serve a reggere l’immensa varietà delle menti,e le leggi hanno tanto maggior vigore quanto meglio s’adattano alle condizioni speciali dei sudditi”
    … e a coloro i quali volevano “sbandire” dalla legislazione ogni valore di teoria generale e guida di principi direttivi:
    “Sostenevano costoro che il senso retto ed una specie di empirismo legale valevano a sciogliere tutte le liti. Dalla considerazione di questa necessità di accomodarsi nelle leggi ai tempi ed ai costumi nacque un’opinione avversa alla formazione di un codice. Si credette per alcuni che la legislazione di un popolo si dovesse desumere dalle relazioni,per così dire quotidiane, introdotte tra gli uomini,approvate dall’uso,propagate da una interpretazione comune,e finalmente confermate dall’autorità del Principe quando già avevano preso forma di consuetudine inveterata. Ma contro tale opinione molti si muovono,affermando che una regola preesistente e coordinata con l’indole di ciascun popolo serve ad assicurare più validamente i diritti dei sudditi,e tanto più è atta a promuovere la pubblica felicità quanto può meglio congiungere il ben presente con il miglioramento futuro di una nazione. Sembra potersi affermare che l’utilità di un codice, raccolta di tutti i precetti della legislazione di un popolo,si dimostra assai più facilmente che non l’opportunità di una consuetudine multiforme e di una tradizione mutabile”.
    Sclopis riprende da Bentham le sette qualità principali-sostanziali che si ricercano in un codice di leggi e che solo questo può dare(rettitudine nella distribuzione dei precetti ;concisione del concetto;chiarezza del dettato;ristrettezza della forma;compita estensione della materia;utilità intrinseca di ogni ordinamento;la giustificazione-motivazione),sottolineando,già allora,come la giustificazione possa servire a dimostrare che le leggi non sono solo atti di potenza, ma soprattutto di saggezza,di giustizia e di ragione.
    “Il procurare ai sudditi il beneficio di una provvida legislazione,consentanea alla loro condizione ed a’ loro costumi,è opera degna di principe magnanimo. Essa non può essere se non applaudita da tutti i buoni;ed i soli avversari a cosi santo proposito saranno coloro che co’ loro atti niegano alla specie umana ogni possibilità di migliorare. La storia ha fatto sacri i nomi de’ Principi i quali impiegarono l’autorità loro in così lodevoli imprese”.
    Sono citati,a tal proposito,Giulio Cesare (dal racconto di Svetonio in vita Julii),Adriano, Giustiniano,Carlo Magno,Ludovico IX re di Francia,i reali di Savoia sino da i primi secoli della loro monarchia.
    continua...

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  14. Nel Discorso II Sclopis si interroga” sull’autorità intrinseca delle leggi civili,la virtù propria per cui la legge tiene il potere razionale di obbligare gli uomini”.
    La legge di natura,non scritta ,ma insita in ogni uomo, che lo porta e lo spinge verso il bene,si applica alle relazioni tra gli uomini e quindi deve essere il modello per i principi fondamentali di tutte le leggi civili :
    ”La legge di natura sarà dunque il vincolo comune delle società,il tipo della giustizia,l’espressione della verità morale. La legge civile poi sarà che l’applicazione,l’estensione di tale principio alle varie emergenze nascenti dalla combinazione delle relazioni degli uomini raccolti in società.”
    Dunque nel diritto naturale deve individuarsi l’espressione più pura della giustizia. Le leggi poi necessitano di avere forza di comando comune ,di un elemento di autorità attraverso il quale possa realizzarsi una giusta proporzione fra i diritti e i doveri degli individui. “Se dunque nella società umana fondamentale e necessaria l’idea di tale proporzione,si vuole ammettere del pari che sieno noti i termini dei diritti e dei doveri ,giacchè non vi può essere misura di proporzione se non si dà certezza di termini . Quale sarà quindi l’ufficio proprio della legge civile?Quello di ricercare con ogni più attenta cura della condizione particolare della società civile,cui essa si riferisce,i modi di mantenere tra gli uomini l’esatta proporzione dell’uso di quel diritto primitivo. Tutti i legislatori solleciti di porre in utile ed amichevole relazione un individuo coll’altro ,dovettero appoggiarsi a principi di un’autorità non contrastata,od almeno ad idee semplici,ed assolute perché,vacillando per dubbi le basi,non crollasse facilmente l’edifizio”
    Sclopis sottolinea come un sistema civile non possa che fondarsi su un principio di autorità. Non una semplice autorità estrinseca,ma “desunta da una rivelazione immediata,comune a tutto il genere umano,attributo morale”.Ed ecco il passaggio successivo : è solo dall’uomo,nel cui animo risiede la verità e l’evidenza della voce della coscienza,che possono provenire precetti comuni ,universali,in grado di proseguire la strada di quei principi primitivi che rispondono all’idea di giustizia. La schiavitù,l’omicidio non giustificato dal diritto di legittima difesa ed altri errori gravissimi “nulla tolgono alla verità,alla sincerità ed alla evidenza della voce della coscienza,la quale,se è spoglia del malagurato corredo aggiuntole della malizia umana,non inculcherà nessun precetto che non sia vero ,che non sia giusto,che non sia pio”.
    Completamente opposto ad un sistema di giustizia civile fondato su un principio di autorità è un sistema che si regge su un principio di utilità. Sclopis dunque riprende la dottrina di Bentham,per analizzarla e criticarla . La dottrina di G. Bentham era fondata sull’identità di giustizia e utilità. Egli pone il bene nel giusto interesse,mentre il male ne è la sua antitesi : chi opera con giustizia ben conosce il proprio utile. Il concetto di utilità per il Bentham assume significato edonistico,cioè tende al piacere che risulta così essere l’unico scopo che spinge l’uomo ad agire.(1)
    I principi morali che governano tale pensiero sono ,secondo l’autore dei Discorsi,nient’altro che parole astratte usate volgarmente ,”punto fisso a cui si appende il primo anello di una catena di deduzioni razionali” : piacere e dolore ,in una parola l’utilità ,non sono giudizi e per questo non possono “governare”l’agire dell’uomo,ma solo condizionarlo dopo averlo regolato ,approvando o condannando, e prospettando chiaramente le conseguenze. ”Il bene,l’utile vero per l’uomo è ciò che risponde al voto ed al fine della sua natura. Se noi collochiamo l’utilità nella sola impressione gradevole alle sensazioni,noi ci abbandoneremo interamente al sensualismo;ogni ordine morale sarà distrutto ; e senza ordine morale non si può sperare d’aver legge che porti con se un carattere di
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  15. universalità né precetti ,di sicurezza nell’osservanza. Se non vogliamo pertanto ripudiare l’esistenza di fenomeni spirituali interni all’uomo non sarà difficile l’avvederci dell’esistenza dell’utile e del bene morale”. Il vero utile è dunque quello che risulta ad una ragione depurata dagli impeti , “i fatti di coscienza sono dunque quelli che accertano il vero utile dell’uomo,e che di lui mantengono retto il giudizio e chiara la vocazione”.
    Per Sclopis la rettitudine è attributo morale della legge civile e fa di questa una legge autorevole ,che diviene provvida quando è governata dalle mire di una ben diretta opportunità. Il “perito legislatore “sarà poi in grado di curarsi delle ragioni dei tempi,della situazione dei luoghi,dell’influenza dei costumi, laddove i due elementi principali della vita civile delle nazioni,che spetta al legislatore conservare e promuovere,sono l’incivilimento e la raccolta dei frutti dell’esperienza.
    (1) Tale conclusione portò numerose conseguenze di carattere sociali che in Inghilterra ebbero pratiche applicazioni-dato il prestigio di cui godeva il Bentham - come la riforma penitenziaria,con la quale alla forma repressiva per la delinquenza venne sostituita quella educativa, l’istituzione della totale gratuità dell’amministrazione della giustizia, i provvedimenti legislativi relativi alla previdenza,la nascita delle Casse di risparmio e delle Società di mutuo soccorso,le quali contribuirono largamente al progresso economico e sociale del suo paese.
    Da “Il pensiero economico nella prima metà del XIX secolo” di Attilio Nobile Ventura ,La grande antologia filosofica,vol XXI

    Il Discorso III è dedicato ai progressi delle legislazioni europee dopo il risorgimento della civiltà e delle scienze al fine di ricostruire la “storia dell’umano incivilimento” ,guardando come le varie nazioni d’Europa si siano adoperate per godere del beneficio di leggi civili adatte ai loro bisogni. Sono ripercorse le vicende delle legislazioni europee e ricordati i provvedimenti maggiormente significativi cominciando dall’Italia, “madre delle leggi civili,sede della sapienza dei giureconsulti romani,patria dello studio”.
    Storia della legislazione dell’Italia,ma subito dopo della Spagna,della Francia,dei Paesi Bassi,della Germania ,della Danimarca e Svezia,della Russia per sottolineare il bisogno comune di leggi scritte,ordinate,compiute.
    La storia del progresso della civiltà umana è la storia del perseguimento e del miglioramento delle leggi.”La base di tale miglioramento consiste nel provvedere egualmente per tutti alla conservazione e alla difesa dei diritti d’ognuno. La forma di questo miglioramento si appalesa singolarmente nella felicità e semplicità della legge. Noi scorgiamo in ultimo che l’Europa,in ciò che riguarda alla legislazione,sta,per così dire,divisa in due grandi classi;de’ paesi che hanno una legge definita e ridotta in forma di codice,e sono i più possenti,i più forti, i più ricchi,come la Francia e la Germania;di quelli che trovansi sotto l’impero di leggi affastellate ,raccolte in compilazioni non soggette a forma rigorosa di codice ,e sono i meno culti;la Spagna e la Russia. L’Italia per la maggior parte del suo territorio può ascriversi alla prima classe .L’Inghilterra forma di per sè una eccezione in questa come in ogni altra parte d’applicazione delle dottrine sociali”.
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  16. Il Discorso IV è dedicato alla “vocazione del nostro secolo alla legislazione ed alla giurisprudenza” e ci porta alla “controversia tra due sapienti”, Thibaut e Savigny. Questa,sulla spinta del desiderio comune di buone leggi, divenne di interesse per tutti i popoli “inciviliti”.Pur rispettoso del pensiero di Savigny,lo Sclopis è fortemente critico: “a stringere in breve la sua teoria,le leggi sarebbero il prodotto di usi invalsi,approvati,ma senza condizione di determinazione assoluta e senza aspetto immutabile;la legislazione dovrebbe considerarsi nell’aspetto medesimo delle lingue,che seguono le variazioni dell’età e della fortuna dei popoli”.
    In quest’ultimo dei Discorsi l’autore analizza le critiche che Savigny muove alla legislazione francese,spagnola e austriaca. Scrive:
    “A fronte di alcuni errori quali e quanti sono i pregi che ha portato seco il codice civile francese?Quale chiarezza di idee,qual sicurezza di esecuzione è succeduta nel foro alla confusione dei principii,che in parte desunti dal diritto romano,in parte tratti dalle consuetudini,o dalle opinioni delle scuole,raffiguravano un lavoro di tarsìa. I compilatori non rigettarono i dettami dell’esperienza ,non iscordarono che le leggi riposano sui costumi dei popoli,e che le migliori non sono già quelle,che in astratto possono ravvisarsi le più semplici,le più severe, bensì quelle ,che riescono a congiungere con più sicurezza il ben presente col miglioramento futuro di una nazione. Pogniamo che si volessero abolire ad un tratto le antiche abitudini di un popolo per surrogarvi i principi i più razionali,qual confusione non ne nascerebbe, e come si potrebbe sperare che in breve que’ nuovi ordini non fossero sovvertiti dalla forza de’ costumi totalmente ad essi estranei? Il conservare l’indole pretta delle antiche istituzioni di un popolo togliendone gli errori nocivi,avviando i progressi di un benefico incivilimento ,ecco l’ufizio di un savio legislatore. E queste sono le qualità,che a nostro credere risplendono nel codice francese,il quale seppe giovarsi dell’equità romana,non meno che della indigena opportunità delle costumanze francesi. Rassodò lo spirito di famiglia,levò di molte soggezioni individuali,pose un termine a varie questioni,che si ventilavano indecise nel foro,e recò l’idea della giustizia civile alla porta di ciascun suddito”.
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  17. Al codice austriaco Savigny muoveva due rimproveri: la ristrettezza che lo rendeva insufficiente per risolvere la maggior parte dei casi particolari di diritto e l’aver aperto a due sole fonti,insufficienti,di supplemento al silenzio della legge,vale a dire l’analogia di altri casi decisi dal codice stesso, ed il diritto naturale. Sclopis all’opposto reputa la “sugosa brevità”un pregio perché “i codici producono buoni frutti laddove contengono regole generali” né teme che il sussidio del diritto naturale si tramuti in arbitrio della mente del giudice “primieramente perché le nozioni del giusto e dell’onesto non sono così indefinite da trascendere nell’iniquo,di poi perché lo spirito della legge scritta dee reggere anche l’interpretazione dei casi omessi”.
    Nel finale la critica a Savigny si acuisce: “Pensa il Savigny che i tempi che corrono non sono dotti di sufficiente esperienza per procurare un corpo di leggi stabili e compiute , e mentre affretta coi voti un’intera riforma degli ordini giudiziari e delle leggi penali che giudica potersi eseguire con buon successo,aspetta che il diritto civili si formi da quella specie di consuetudine originata da costumi e dalle opinioni del popolo,confermata quindi dalla giurisprudenza;produzione di una forza interna,che opera tranquillamente e non già per l’arbitrio di un legislatore. Non abbisognano al certo lunghe parole per dimostrare la necessità di aver leggi;l’ordine di tutto il creato è esempio di tale necessità,nessuna creatura ragionevole lo ignora. Leggi certe,uniformi,compiute,ed ordine conforme dei tribunali sono elementi essenziali della tranquillità pubblica. Noi ci rivolgiamo ai fatti perché nelle cose civili i fatti soli hanno un’autorità irrefragabile.E quando scorgiamo che per ogni dove in Europa si chiede e si cerca di avere leggi ordinate e compiute,che dove esse sonosi stabilite,la fiducia e l’ordine veggonsi cresciuti nei sudditi,non possiamo andar in traccia di un sistema diverso. Il lasciare che la legge sia formata dall’uso, egli è lo stesso che il porre l’opinione transitoria dell’uomo invece del precetto costante della ragione. Nè si dica che le occorrenze dei tempi mutandosi convien pure che le leggi si mutino. Egli è verissimo che in un lungo giro d’anni e di vicende diverse si cangia l’aspetto della società civile,onde debbono pure cangiarsi gli ordini pubblici che la ragguardano,ma questa che è la condizione comune delle istituzioni umane non impedisce tuttavia che si abbiano dei non brevi riposi,nel corso dei quali durano efficaci i provvedimenti che si son fatti con giustizia e con equità. Ed anzi una parte delle regole del gius civile,quelle che,per valermi di distinzioni romane si riferiscono al diritto delle genti,sono eterne,immutabili come l’idea di giustizia. Siccome poi vi può essere pericolo che i pregiudizi o le disordinate voglie degli uomini guastino cotali regole nell’applicarle,non avranno esse custodia migliore di quella che nasce dall’essere ridotte in forma di precetto,e circondata dall’attiva vigilanza che ispira lo scambievole interesse degli uomini nell’osservarle. Un codice civile ben composto ed adatto alla civiltà presente diverrà pertanto un elemento di tranquillità,di sicurezza e di comune prosperità poiché è principio riconosciutoda tutti i savi statisti,che senza un’esatta legalità non può esistere un vero ordine pubblico,unica sorgente di una felicità durevole”.
    Della legislazione civile. Discorsi, Torino 1835
    Monica De Angelis

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  18. Qualche cenno relativo alla polemica sulla codificazione:


    Com’è noto, alla promulgazione del Code Civil, avvenuta nel 1804, ha fatto seguito l’estensione della sua vigenza in tutti i territori annessi all’Impero; anche nei c.d. regni satelliti tuttavia il codice napoleonico verrà recepito, svolgendo peraltro una funzione di assoluta centralità, quale modello per tutte le codificazioni civilistiche realizzate in Italia a partire dalla Restaurazione.
    Riporta Dezza in “Lezioni di storia della codificazione civile”, Giappichelli (2000), p. 93:
    “Nel 1814, alla caduta dei regimi napoleonici, l’applicazione del Codice Napoleone risulta estesa pressoché a tutta l’Italia (a eccezione delle isole di Sardegna e di Sicilia, conservate al dominio delle dinastie sabauda e borbonica).Le tappe di tale estensione sono collegate alle complesse vicende politiche e militari degli anni rivoluzionari e napoleonici, che portano al consolidarsi al di qua delle Alpi di una tripartizione politica che vede i territori centroccidentali entrare a far parte direttamente dell’Impero francese, i territori centrorientali formare il Regno d’Italia (con capitale Milano), e i territori meridionali costituire, nella loro parte continentale, il Regno di Napoli sotto il controllo francese”.
    Nel Regno d’Italia si realizza una vera e propria traduzione (il “Codice di Napoleone il Grande pel Regno d’Italia”), in latino e in italiano, curata dal nuovo ministro della giustizia Giuseppe Luosi, che l’11 giugno nomina all’uopo una commissione di sei membri. Nel Regno di Napoli è viceversa Gioacchino Murat ad approvare la traduzione del Codice realizzata dietro suo ordine, nel 1808.
    Con la caduta dei regimi napoleonici, il sistema di diritto codificato vive un periodo di crisi; in Italia il Code Civil viene abolito (come accade nello Stato della Chiesa, nel Regno di Sardegna, a Modena e nel Granducato di Toscana) o comunque messo in discussione, anche dove mantiene la sua vigenza, anche se verrà presto preso come modello per una nuova opera di codificazione civilistica, realizzata in Italia per tutto il corso del XIX secolo.
    In terra tedesca, si fa parimenti sentire l’esigenza di una codificazione. Nel 1811 finalmente viene promulgato l’ABGB, il “Codice Civile Generale per i Territori Ereditari Tedeschi della Monarchia Austriaca”, cui si accompagna l’abrogazione di tutte le fonti vigenti concorrenti, a partire dal diritto comune. Diverso dal Code Napoleon per scelte strutturali e per indirizzi normativi, il codice austriaco risalta per il rigore concettuale e sistematico, cui si accompagnano elasticità e raffinatezza legislativa non sconosciute al codice del 1804.

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  19. (continua)

    Si discute però sull’opportunità di una codificazione in Germania: famosa la polemica che divise sul merito due famosi giuristi del tempo, Anton Friedric Justus Thibaut e Friedrich Carl von Savigny. Thibaut, professore di Heidlberg sensibile alle idee illuministiche, “fu nel 1814 il più tenace sostenitore della necessità di una codificazione generale per la Germania”, come riporta Marini in “Friedrich Carl von Savigny”, 1978, p. 29. Avversario per eccellenza della scuola storica del diritto, sosteneva l’origine del diritto dalla legislazione, anziché dallo spirito del popolo.
    La sua opinione in merito, si ritrova in un libello, Uber die Notwendigkeit eines allgemeinen burgerlichen Rechts fur Deutschland (1814), ovvero “Sulla necessità di una legge generale borghese per la Germania”, dove sostiene la necessità di una riforma diffusa del diritto civile, nella convinzione che solamente un codice esteso a tutta la Germania, nella sua vigenza, sottratto all’arbitrio dei sovrani e creato sulla base di un comune sforzo di tutti gli Stati tedeschi potesse rendere possibili “buone relazioni civili” (come emerge dal contributo di Costanza Badii e Pasquale Costanzo nel “Codice di Drafting”, Libro I Sezione I, disponibile al seguente collegamento http://www.tecnichenormative.it/draft/storia1.pdf).
    Per ottenere quanto proposto, Thibaut indica due condizioni da soddisfare, ossia la perfezione nella forma e nel contenuto, esponendo le disposizioni in modo chiaro ed esauriente, e garantendo un ordinamento sistematico delle istituzioni civili.
    Visione totalmente opposta è invece riconducibile al fondatore della Scuola Storica, Savigny, che in un libello pubblicato ad Heidlberg sempre nel 1814, il famoso Vom Beruf unserer Zeit für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, generalmente tradotto come “La vocazione del nostro tempo per la legislazione e la giurisprudenza” (consultabile in un’edizione italiana del 1857 al seguente collegamento http://books.google.it/books?id=FDEbAAAAYAAJ&pg=PA36&dq=della+vocazione+del+nostro+tempo+per+la+legislazione+savigny&hl=it&ei=hU6wTeG0DoXysga58cD2Cw&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CCoQ6AEwAA#v=onepage&q=della%20vocazione%20del%20nostro%20tempo%20per%20la%20legislazione%20savigny&f=false), critica ferocemente i tentativi di codificazione intrapresi in Europa nel XVIII secolo.

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  20. (continua)


    Secondo Savigny, “si era destato un ardore creativo assolutamente cieco”, perdendosi “il senso della grandezza e della peculiarità di altre epoche, nonché dell’evoluzione naturale dei popoli e delle costituzioni, di tutto quanto insomma deve rendere la storia salutare e proficua”. I tempi presenti però, erano cambiati, perché si era ridestato il senso della storia, ed era caduta quella presunzione che aveva fatto ritenere agli illuministi di poter realizzare la perfezione assoluta, realizzando “nuovi codici che con la loro completezza garantissero una sicurezza automatica all’amministrazione della giustizia, dispensando il magistrato da ogni giudizio proprio e limitando la sua funzione all’applicazione letterale della legge”. Ora era finalmente possibile rimeditare certe teorie giuridiche, che portavano a considerare come fonte di ogni diritto solamente la legge.
    La storia, secondo Savigny, doveva invece essere interpellata; riporta Petronio in “La lotta per la codificazione, p. 57:
    “Era proprio questo il punto su cui riflettere, interrogando la storia “per sapere come sia veramente avvenuta l’evoluzione del diritto presso i popoli di nobile stirpe”; ma la ricerca storica mostrava che “il diritto civile ha già un carattere determinato, peculiare per quel popolo così come lo sono la lingua, i costumi, la costituzione” e tutte queste manifestazioni di quello che ancora Herder aveva chiamato, settecentescamente, il “genio” di un popolo erano intimamente collegati tra loro dal “comune convincimento del popolo”, dall’uguale “sentimento di una necessità interiore che esclude ogni idea di un’origine accidentale e arbitraria”.
    Lo Stato, doveva dunque esaminare e registrare l’intero patrimonio giuridico, in modo da creare un testo che potesse valere come unica fonte di diritto e si sostituisse a tutto quello previamente vigente. Se questo era però il compito del codificatore, allora il codice non poteva che avere un duplice contenuto: in parte leggi vecchie, in parte leggi nuove. Tuttavia, non poteva essere risolto il problema della sua presunta completezza, difatti il codice, per essere completo, avrebbe dovuto contenere la risoluzione di ogni caso pratico che si fosse presentato, cosa assolutamente impossibile tenuto conto delle infinite varianti dei casi.
    Un ulteriore elemento, ricavabile dallo scritto in esame, è quello della prevalenza della scienza giuridica rispetto alla legislazione, che si risolveva nel primato dei giuristi rispetto al popolo, ben lontano dallo spirito ugualitario che aveva caratterizzato la Rivoluzione Francese, e ben delineava uno dei tratti essenziali della codificazione in Francia: proprio rispetto al Code Napoleon, Savigny sottolineava come gli elementi politici della legislazione avessero avuto un maggior influsso di quelli tecnici, che solo la scienza del diritto avrebbe potuto fornire – gli unici aspetti, peraltro, che fanno tutto il valore di un codice.
    Solo la Rechtswissenschaft dunque, ossia la scienza del diritto, è la fonte giuridica da prendere in considerazione, e Savigny, pur riconoscendo a Thibaut il perseguimento di un obiettivo che li accomuna, ovvero il fondamento di un diritto certo e sicuro, non può accettare come mezzo di raggiungimento dello stesso la realizzazione di un codice: l’unico mezzo è l’elaborazione di una scienza giuridica comune a tutta la nazione.

    Alessia Guaitoli

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