martedì 12 aprile 2011

L’Italia di fronte al code Napoléon

Sia nei territori italiani annessi all'Impero francese, sia nei due Stati satellite di Milano e Napoli entrò in vigore il code Napoléon. Si rivelò vano il tentativo di alcuni giuristi italiani di introdurre dei "correttivi"al testo del 1804 all'atto della sua estensione alla penisola. Alcune norme del diritto di famiglia e successorio (matrimonio civile, istituto divorzile, comunione dei beni tra coniugi, parificazione successoria tra maschi e femmine) apparivano in contrasto con il tradizionale assetto di antico regime della famiglia italiana. Dopo il 1814 negli Stati italiani che decisero di conservare il sitema "a codice" sperimentato durante il periodo napoleonico, si ripropose lo stesso problema dell'adattamento del "code", e di alcuni suoi istituti in particolare, alla realtà italiana. Potete approfondire alcuni di questi aspetti, e naturalmente indicare se ci sono questioni non completamente chiare.

41 commenti:

  1. Il carattere laico e civile dell’istituzione familiare caratterizzante il Code Napoleon è strettamente connesso con le tematiche che stiamo affrontando. La fine del sistema feudale guardava ad una società di stampo borghese,egualitaria sul piano civile e nella quale trovasse espressione la libertà individuale.
    In un sistema restio al cambiamento,era evidentemente essenziale rompere il legame con la Chiesa Cattolica:
    “La famiglia a tipo napoleonica ha un significato politico-sociale,ma è soprattutto uno strumento di lotta per disgregare la struttura del casato nobile e patrizio,e per attuare in via gradualistica ,nel succedersi delle generazioni,l’ideale democratico del frazionamento della proprietà.
    La legge,scrive Portalis,nel discorso preliminare al codice,non deve vedere che cittadini là dove la religione non deve vedere che credenti. Negli Articoli organici ,emanati dopo il concordato del 1801 si fa un passo al di là di questa linea separatista ,stabilendo che l’eventuale benedizione nuziale debba seguire e non precedere il rito civile,divieto che il codice penale rafforza con le sue sanzioni. Istruzioni del governo imperiale e decisioni di corti sbarreranno d’altro canto la via al matrimonio dei religiosi ,fenomeno che aveva assunto una certa ampiezza.
    Carattere non solo laico ma civile: perché anche quella verso i figli non è privata autorità ,ma potere-dovere attribuito in funzione di fini pubblici,non raggiunti i quali lo stato può sostituirsi alla famiglia. Anche perciò ricorrono in questo campo più frequenti le norme imperative di ordine pubblico,i diritti non rinunciabili e le garanzie contro eventuali situazioni oppressive”.
    In realtà la massima espressione della “nuova” famiglia si era avuta con il droit intermediaire:totale libertà di divorzio ed adozione,parificazione piena dei figli naturali ai legittimi,esclusione dell’autorizzazione maritale, comunione dei beni generalizzata, titolarità della patria potestà per la donna. Così suona il discorso di Mirabeau contro la patria potestà e la libertà di testare:”Quanto meno le leggi accorderanno al dispotismo paterno,tanto più ne verranno rafforzati il sentimento e la ragione. Dite ai padri che il loro principale potere deve racchiudersi nell’autorità delle loro virtù,nella saggezza delle loro lezioni e nelle testimonianze della loro tenerezza”.
    Dopo Termidoro ci sarà,agli occhi dei francesi, un parziale regresso:per evitare che l’adozione possa essere un mezzo attraverso il quale sovvertire l’ordine della famiglie,la facoltà di adottare verrà concessa solo in assenza di prole;i figli vengono richiamati all’obbedienza e riverenza nei confronti dei genitori;si riabiliteranno le prerogative paterne. Nel codice del 1804 troviamo modalità di correzione del figlio ribelle,consenso parentale alle nozze,disciplina degli “atti rispettosi”,limiti al divorzio,disposizioni sull’esercizio della puissance maritale. Diversamente, in Europa e ancor più in Italia il diritto di famiglia codificato “appariva l’immagine stessa della rivoluzione” e l’istituto chiave di questa prospettiva è certamente il divorzio .”Non può più ottenersi,è vero,per volontà unilaterale e incompatibilité d’humeur,come nelle leggi rivoluzionarie del 1792 e successive,ma solo per cause determinate (adulterio della moglie,intrattenimento di una concubina nella casa comune da parte del marito;eccessi,sevizie o ingiuria grave;condanna a pena infamante)o per mutuo consenso”scambievole e perseverante”;né dopo che sian passati venti anni o la moglie abbia raggiunto l’età di quarantacinque. Pur con queste limitazioni il fondamento contrattuale del vincolo e lo spirito individualistico della nuova famiglia non ne escono meno chiaramente scolpiti”.
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  2. La Restaurazione in Italia esprimerà proprio per ciò che riguarda il diritto di famiglia grande diffidenza,inflessibilità”perché la fissità della famiglia ,la continuità attraverso il tempo del suo patrimonio e il conseguente privilegio dei maschi sulle femmine erano altrettanti strumenti di quello sforzo di pietrificazione della società italiana e di irrigidimento programmatico delle sue frontiere di classe che corrispondevano a una tendenza profonda della restaurazione nostrana,difesa di un mondo agricolo e signorile,di un’antica borghesia patriarcale, di artigianati corporativi cittadini,contro i fermenti dissolventi della nostra etica industriale e liberale.
    Generale l’esclusione del matrimonio civile,e naturalmente del divorzio,anche se talora solo per i cattolici. Soprattutto nelle regioni settentrionali della penisola,la presenza di forti comunità ebraiche e di nuclei protestanti,talora muniti di tradizionali privilegi,faceva sì che l’indissolubilità fosse rigidamente codificata per i soli cattolici,come nel codice parmense e poi nell’albertino.Il Codice Civile Universale Austriaco,poi,ammetteva espressamente il divorzio,in concorso di gravi motivi,per quegli acattolici cui la propria religione lo facesse lecito:per gli ebrei,anzi,lo scioglimento del vincolo era possibile”a seguito reciproco libero consenso,mediante il libello di repudio che il marito dà alla moglie”.Al polo opposto ,il Codice per lo Regno delle Due Sicilie,in attuazione del concordato del 1818,escludeva all’art 67 atei e acattolici dalla possibilità stessa di formare una famiglia legittima.
    Ovunque,del resto, i registri dello stato civile tornavano in mano ai parroci,sotto un più o meno penetrante controllo pubblico organizzato con varie modalità. Risorgevano la giurisdizione matrimoniale ecclesiastica e gli impedimento canonici al matrimonio (inclusi la cultus disparitas,i voti e gli ordini sacri)restando ai magistrati laici la cognizione di alcuni effetti,ma quasi esclusivamente patrimoniali. Il potere statale interveniva talora per aggiungere impedimenti specificamente civili (consenso dei genitori,regia autorizzazione per i militari,lutto vedovile)o per disciplinale gli sponsali,sulla linea settecentesca. Per rendere effettivi tali interventi il Codice dei Borboni,di tradizione più statalista ,giungeva a vietare che si procedesse alla celebrazione religiosa prima che i nubendi avessero proceduto alle pubblicazioni civili,disponendo inoltre all’art 181 che il” matrimonio dichiarato nullo dall’autorità ecclesiastica può produrre ciononostante gli effetti civili riguardo ai figli allorchè sia stato contratto in buona fede”.
    L’Albertino si spingerà più avanti,facendo salvi in questa ipotesi anche i diritti del coniuge in buona fede.
    La separazione era in ogni caso guardata con sospetto:il codice albertino la vietava anche quando consensuale,”senza l’autorizzazione del Giudice ecclesiastico”,disponendo l’intervento coercitivo dell’autorità civile per riunire quei coniugi che l’avessero attuata in via di fatto. Lo stesso più liberale codice austriaco imponeva la trafila di tre tentativi di conciliazione ad opera del parroco.
    L’altro grande presupposto comune a queste legislazioni è l’inferiorità della donna,esasperata anche rispetto al più restrittivo Codice Napoleone,tanto nei rapporti personali e patrimoniali fra coniugi quanto in ordine all’educazione dei figli ed ai diritti successori. L’opera dei legislatori consisteva qui nel riassumere in formule generali la massa fluttuante delle formazioni di eredità settecentesca,combinandola con taluni principi napoleonici per giungere – non senza contrasti- ad ammettere una limitata quota indisponibile di legittima e il concorso delle donne alle successioni intestate:alla morte dell’uomo la patria potestà non passa alla moglie,che potrà solo essere la tutrice dei figli,sempre che altri non sia stato designato per testamento,o che la nomina non spetti al consiglio di famiglia ovvero anche,come in Parma e in Modena,al pretore.
    continua....

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  3. . Persino sui beni propri,non costituiti in dote né ricadenti nella comunione (talora neanche ammessa dalle leggi e di fatto quasi ovunque rarissima),la donna non poteva validamente obbligarsi ,né disporre del proprio matrimonio senza autorizzazione del marito.
    Ancora più aggravata ,se possibile,la condizione dei figli. La patria potestà cessava a venticinque anni secondo il codice borbonico;a trenta per i maschi e a quaranta per le femmine nel granducato di Toscana;solo alla morte del padre nelle leggi di Carlo Felice per la Sardegna,così come poi nel codice albertino e ciò anche se il figlio si sposasse generando prole sulla quale la patria potestà spettava all’avo,se non intervenisse emancipazione per atto formale”.
    da “Storia del diritto di famiglia in Italia” P.Ungari

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  4. Riguardo la ricezione del Code Napoleon nei territori italiani si sono alzate diverse voci, tra le quali spicca quella di Benedetto Croce (Intervento di Benedetto Croce sulla famiglia dell’ 11 marzo 1947). Egli non era contro l’idea di un separatismo tra Stato e Chiesa, bensì “si riferiva a quel caso particolare di conciliazione effettuato non con una Italia libera, ma con un Italia serva e per mezzo dell’uomo che l’aveva asservita e che, fuori di ogni spirito di religione come di pace, compieva quell’atto per trarne nuovo prestigio e rafforzare la sua tirannia”. Così Croce definisce il Grande Napoleone, colui che aveva dato all’Italia un sistema normativo omogeneo, ma senza alcuna possibilità di scelta. La critica che porta avanti il filosofo italiano è in particolar modo contro alcuni istituti che il Codice francese aveva imposto nel nostro paese, imbevuto di cristianità cattolica. Un esempio di ciò è sicuramente il divorzio. Croce evidenzia come l’indissolubilità del vincolo matrimoniale sia sancita proprio dal Codice civile, oltre che una radicata consuetudine cattolica. Ma ai fini dell’assorbimento del disegno napoleonico si dirà che tale istituto sarà un’assicurazione verso l’avvenire. Si parla dunque di ammettere l’indissolubilità del matrimonio fino a quando una nuova anima civile non si sarà formata in Italia. Per Croce inoltre sarà proprio uno dei fondatori del Partito Comunista Italiano, Palmiro Togliatti, ad accelerare questa formazione. Ricordiamo a tal proposito l’esclamazione del religioso: “e allora poveri Patti lateranensi, povera indissolubilità matrimoniale e povera Costituzione!”. Egli considera tutto ciò come un errore logico, uno scandalo giuridico che offende il senso giuridico italiano che è sempre stato alto e che solo il fascismo ha osato calpestare.

    Ylenia Coronas

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  5. Durante la lezione di oggi si è parlato della traduzione del code francese e non di una stesura di un codice italiano, così ho voluto riportare il pensiero di Giuseppe Luosi che, nel suo incarico di Gran giudice e Ministro della giustizia, fu colui che diede inizio al processo di traduzione in italiano e in latino del Codice Napoleone (il latino fu utilizzato per far accettare il codice straniero non come un codice imposto ma come un codice atteso e preteso dagli italiani). Il code fu introdotto in Piemonte alla sua promulgazione per poi essere esteso in tutta Italia, tranne che nelle isole e nei territori veneti ceduti agli austriaci. Il code aveva il compito di unificare la legislazione italiana: non fu più permesso l’utilizzo del diritto comune, delle consuetudini, dei vincoli feudali, degli statuti…Con il terzo Statuto costituzionale (1805) il code assunse forza di legge e venne posto il divieto di emendamenti (artt. 55-56-57). Luosi permise la traduzione del testo del code ma non riteneva necessaria una codificazione nazionale: nominò De Simoni, (fu il primo a proporre un codice ispirato al francese ma adattato alla situazione in Italia) a capo della commissione che aveva il compito di tradurre il code. Il 1° aprile 1806 la traduzione fu approvata dallo stesso Napoleone, che aveva il potere di veto sulla legislazione, così furono private di forza di legge tutte le fonti del diritto diverse dal code. Luosi il 6 marzo del 1806 inviò una circolare a tutti i tribunali in cui tesseva le lodi del code e della persona che lo aveva realizzato. Napoleone fu definito grande, colui che ha assicurato una forma di governo e ha fatto un dono prezioso all’Italia, poiché gli ha regalato il suo codice di leggi. Da tanto tempo nel paese si richiedeva questo cambiamento ma solo il genio di Napoleone è stato in grado di ottenerlo. Luosi si sofferma particolarmente a parlare di diritto di famiglia (patria potestà, donazioni, matrimonio,uguaglianza dei figli…tutto ciò di cui si è discusso oggi a lezione) perché sa che è il punto più difficile da far accettare ai giudici e c’è bisogno di più tempo per assimilare determinati cambiamenti. Il code tende ad una legislazione veramente nazionale per la prima volta perché è il “risultato della ragione illuministica e dell’osservazione dell’esperienza”. La circolare era rivolta ai giudici ma Luosi vuole convincersi della bontà del code; affermando che il codice sarà veramente nazionale solo quando i giudici (“sacerdoti della giustizia”) avranno fatto penetrare lo spirito del codice nel popolo, solo allora questo potrà apprezzarlo. Il codice equivale al diritto nazionale quindi necessita dell’interprete per divenire tale: l’interprete deve ricercare il vero codice nazionale. In questo pensiero Luosi si ispira a Portalis che richiede il compromesso tra innovazione e tradizione.

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  6. Sul Regno Sardo…

    Dopo che la Sardegna cercò di essere riorganizzata a livello sociale, politico, economico e culturale con Carlo Emanuele III, anche la Francia cercò di diffondere i suoi principi rivoluzionari nell’isola. Infatti nel 1793 un’armata francese occupò Carloforte e Sant’Antioco, per poi attaccare Cagliari. Ma gli aristocratici e gli ecclesiastici convinsero le popolazioni a resistere evidenziando la pericolosità dei francesi, considerati come nemici di ogni religione, violenti e schiavisti. Così furono liberate le città occupate e i sardi si illusero di una gestione autonoma della propria isola. Dunque nel 1784 essi insorsero, allontanando tutti i Piemontesi da Cagliari, Alghero e Sassari. Si scatenò un movimento rivoluzionario, intrecciandosi con le rivolte antifeudali delle campagne. Ricordiamo in questo periodo la figura di Giovanni Maria Angioy, che guidò la popolazione dell’isola contro il feudalesimo e gli stessi Piemontesi. Tuttavia nel 1796 egli morì esule in Francia, per evitare l’arresto dopo essere stato sconfitto. Ma le rivolte non si conclusero e le repressioni portate avanti dai Piemontesi furono molto sanguinose.
    Ritornò il potere baronale, la carestia e i gravosi carichi fiscali. Inoltre il Piemonte emanò l'Editto sopra le Chiudende, che autorizzava la chiusura, con siepi o muri, dei terreni sui quali i privati avevano qualche diritto. Ma le chiusure avvennero spesso in modo illegale e affrettato e coloro che ci rimisero furono i piccoli contadini, non avendo i mezzi per costruire siepi e muri di divisione subirono gli abusi dei grandi proprietari.
    Si arrivò al 1839, in cui Carlo Alberto abolì il feudalesimo, non volendo però scontentare la nobiltà feudale. Infatti decise che i nobili fossero ripagati della perdita delle rendite feudali con un compenso che fu addebitato alle comunità rurali. Nel 1847 furono poi le stesse classi dirigenti sarde a proporre l’unificazione di Sardegna e Piemonte sotto un’unica legislazione: l’isola rinunciò alla propria autonomia e accettò leggi e modi di amministrazione diversi da quelli che avevano regolato per secoli la sua vita. Nel 1861 la Sardegna passò sotto i colori del tricolore, con l’unificazione del regno. Tuttavia l’unità politica non portò sostanziali cambiamenti: l’isola era in ritardo rispetto alle altre regioni ed i trasporti marittimi erano insufficienti e costosi. Quindi la terra sarda, dopo una storia pluralista e travagliata, viene annessa allo Stato italiano, senza tuttavia adeguarsi immediatamente alla penisola.

    Ylenia Coronas

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  7. Alla lezione di oggi, ci siamo soffermati molto sulla figura di Napoleone Bonaparte e del ruolo che ebbe durante la rivoluzione e nell'approvazione del Code civil. Ho trovato un manoscritto singolare pubblicato nel 1817 che prende il nome di "Vita di Napoleone scritta da lui medesimo". Si tratta di un libretto scritto in prima persona come un'autobiografia che alcuni hanno definito "una confessione dello stesso Napoleone". In realtà, non si ha alcuna certezza che lui l'autore. Molte sono state le voci che hanno circolato a riguardo. Alcuni hanno sostenuto la teoria che fosse stato scritto da un ginevrino: Federico Lullin de Chateuvivieux. Altri hanno individuato l'autore in Madame de Stael, convertitasi dopo i cento giorni al pensiero napoleonico.
    Nonostante ciò, il 'Manoscritto" passò alla storia come autobiografia dell'Imperatore, rappresentato come "campione della libertà e campione contro la reazione". Il Gourgand lo esaltò, "C'est un ouvrage qui marquera, et qui fera époque", sottolineando la futura importanza storica che inevitabilmente il Manoscritto avrebbe rivestito. Leggendo questo testo, che descrive dettagliatamente i pensieri di Napoleone durante le sue campagne militari, mi sono soffermata su quei pensieri inerenti al diritto e alla codificazione. Napoleone dichiara che il suo potere non era altro che un derivato di una magistratura temporanea che sarebbe caduta, e vide nel potere unico l'unico sistema per salvaguardare lo stato dai nemici, ovvero dai "tribuni faziosi", che dovevano essere "eliminati".
    Attraverso questa cosiddetta eliminazione, Napoleone ruppe ogni legame con la Repubblica e procedette alla stesura di una nuova costituzione, eliminando la rappresentanza nazionale. Napoleone sembra legittimare il proprio potere ed il proprio progetto con queste parole, " La rivoluzione aveva dei nemici troppo accaniti, all'interno ed all'esterno, per non essere obbligata ad adottare una forma dittatoriale...le autorità che l'equilibrio non sono buone che in tempo di pace. Bisognava al contrario, rinforzare l'autorità che mi s'era affidata ogni volta che aveva corso un pericolo, per prevenire elle ricadute.", aggiungendo, " questa autorità veniva a mettersi nelle mie mani da se stessa....si esercitava di fatto, se non di diritto, e bastava per superare la crisi e salvar la Francia".
    Napoleone si fissò l'obiettivo di completare la rivoluzione ed attribuirli un carattere legale " tale da da farla riconoscere e legittimare dal diritto pubblico d'Europa". Tre sono i pilastri del suo pensiero: fissare i principi della Rivoluzione, consolidarne la legislazione e distruggerne gli eccessi,
    "La premessa della Rivoluzione era la fine delle caste, cioè l'uguaglianza: io l'ho rispettata. La legislazione doveva regolarne i principii : in questo spirito ho fatto delle leggi.
Gli eccessi si rivelavano nell'esistenza delle fazioni: ne ho tenuto conto, e sono sparite. Si rivelavano nella distruzione del culto: l'ho ristabilito. Nell'esistenza degli emigrati: li ho richiamati. Nel generale disordine dell'amministrazione: l'ho regolata. Nella rovina delle finanze : le ho restaurate. Nell'assenza di un'autorità capace di contenere la Francia : quest'autorità gliel'ho data, prendendo le, redini dello Stato."

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  8. Nell'affermare ciò, esalta pure la sua capacità nel non usare arbitrariamente il suo potere e di aver fatto solo leggi chiare, rigide e precisa così da non consentire eccezioni, " Le ho fatte rigorosamente osservare, perché questo è il dovere del trono; ma le ho rispettate io stesso." Individua anche gli antagonisti della stabilità dell'ordinamento nell'antipatia fra il nuovo e il vecchio. Tutti i vecchi governi erano minacciati dai principi della rivoluzione e ad essi si opponevano, " lo ero alla testa della grande corrente che voleva distruggere il sistema, su cui girava il mondo dopo la caduta dei Romani...Era necessario, allora, che vi fosse unità nel governo, perché potesse essere forte; unione nella Nazione, perché tutti i suoi mezzi potessero tendere allo stesso fine; e fiducia nel popolo, perché aderisse ai sacrifici necessari per assicurarsi la conquista". Divenuto console e poi Imperatore, diede l'avvio al progetto di riforma del sistema francese. La situazione in Francia era infatti radicalmente cambiata; il potere non era più nelle mani dei ceti più alti, non vi era una rappresentanza nazionale, la forza non era più nel clero. Sostanzialmente la Repubblica non aveva soddisfatto i nuovi principi mentre l'impero li garantiva. Gli interessi della nuova società si incarnavano nell'immensa maggioranza, nella garanzia dell'uguaglianza e nella democrazia di fatto e di diritto, " La Francia voleva dormire al riparo della mia spada". Napoleone pose le basi di un nuovo ordinamento separato dalle abitudini e dai pregiudizi, non più basato sulla fede ma sulla forza e sui fatti. Il Manoscritto descrive le azioni attuate dall'Imperatore nei territori conquistati. Affida i troni vacanti ai membri della sua famiglia e si assume la corona lombarda paragonandosi a Carlo Magno. Inizia così la sua opera come unificatore del diritto, " Era necessario diventare legislatore, dopo d'essere stato guerriero". Sente l'esigenza di rendere perpetua la legislazione creando istituzioni definitive per dare origine ad una forma a metà tra trono e democrazia: "Ho fatto delle leggi la cui azione è immensa, ma uniforme. Esse avevano per principio il mantenimento dell'uguaglianza, che è così fortemente impressa in questi codici, da essere essi soli sufficienti a conservarla.
Sostituii una classe intermedia, che era democratica, perché vi si entrava sempre e dappertutto, ed era monarchica perché non poteva morire.
Questa corporazione doveva sostituire nel nuovo regime la funzione che la nobiltà era chiamata a compiere nel vecchio: cioè, quella d'appoggiare il trono". Questo è l'esaltazione che Napoleone fa delle sue azioni. Riconosce la necessità di ristabilire l'ordine come espressione di forza e di durata con amministratori e giudici impegnati nell'esecuzione delle leggi. L'impero così poggiava su una forte organizzazione costituita dall'armata e dai funzionari civili. Ha migliorato l'agricoltura con leggi protettive della proprietà e ripartendo egualmente le cariche. Concludendo, " Serrai così l'Impero in un vincolo comune, che univa attraverso gl'interessi tutte le classi della Nazione, perché nessuna fosse subordinata o esclusa".

    Rebecca Lentini

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  9. La recezione del Codice Napoleonico avviene in Italia in maniera graduale, prima nei territori piemontesi, liguri, poi a Parma e a Piacenza, nel Regno d’Italia, nel Principato di Lucca, nel Regno di Napoli,nel Granducato di Toscana e infine nello Stato Pontificio,non senza opposizioni, più o meno forti.
    Nel Regno d’Italia(con capitale Milano) Il Codice fu emanato il primo Gennaio del 1806,senza però particolari resistenze della classe politica e di governo italiana,le cui modalità di attuazione vennero stabilite all’interno del Terzo Statuto Costituzionale del Regno,emanato a Milano nel 1805.
    Il Codice fu il frutto del confronto fra Napoleone e i giuristi italiani,avvenuto a Milano fra il maggio e il giugno dello stesso 1805, anno in cui fra l’altro si discusse di come attuare le modifiche istituzionali necessarie per consentire il cambiamento costituzionale del Regno:infatti,l’evoluzione delle vicende politiche francesi investiranno anche la prima Repubblica Italiana,che appunto da repubblica diviene monarchia,venendo annessa al nascente Impero francese capeggiato da Napoleone.
    Ritornando ad analizzare il profilo privatistico,il Terzo Statuto Costituzionale sancisce i tempi e le modalità dell’introduzione del codice,stabilendo inoltre all’art.57 che: ” Non vi potrà essere fatto cambiamento alcuno per lo spazio di cinque anni. Dopo questo tempo il Tribunale di Cassazione e gli altri tribunali essendo stati consultati, il Consiglio di Stato propone una legge tendente a modificare ciò che sarà ritenuto difettoso nel Codice”.Desumiamo dalla disposizione ,che il Code sarebbe potuto essere sottoposto a revisione,nel qual caso si fossero resi necessari degli adattamenti alla realtà locale.
    Quindi,appurato che fu un unificazione “imposta” da Napoleone, e che nonostante ciò venisse vista come “il più grande evento della nostra storia del diritto dopo l’introduzione in Italia della codificazione giustinianea avvenuta dodici secoli prima”(Ghisalberti)e come assoluta rottura con il passato,veniva data la possibilità di rendere il codice legislazione veramente nazionale. Esso fu recepito in maniera quasi integrale,ad eccezione delle modifiche formali degli artt.427 e 2261,e tradotto in italiano e in latino. La seconda traduzione si giustifica come forma di legittimazione del testo legislativo,al fine di renderlo più vicino alla cultura giuridica italica di stampo romano. Ulteriore legittimazione fu fatta da Luosi,Presidente della Commissione adibita alla traduzione del codice civile e Ministro di Giustizia,ad opera della sua propaganda di “persuasione” al Code Napoleon,trasformandolo da codice imposto a codice atteso dagli italiani.Ne tesse le lodi nella circolare che invia ai giudici italiani per annunciare l’avvenuta emanazione:compito dei giudici,afferma,è di interpretare le disposizioni in modo tale che venga apprezzato dal popolo stesso,e cerca in tutti i modi di convincere “i sacerdoti della giustizia”della bontà del testo(forse cercando di convincere anche se stesso).
    Chiara Mele
    continua....

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  10. Qui riporto la circolare:


    «Il GRANDE, che all’Italia divisa stese la destra operatrice di prodigj, e la ricondusse a figurare tra le Potenze
    dell’Europa, sottraendola al destino fatale di sempre nuovo signore, e di sempre costante servaggio; il GRANDE,
    che le assicurò una forma di governo non soggetta ad oscillazioni politiche, che preparò a’ suoi popoli un
    carattere nazionale; compie ora i disegni della sua magnanimità generosa col dono prezioso di un Codice di leggi, che
    porta in fronte il suo nome immortale.
    Il diritto romano, questo ricco deposito delle norme eterne di giustizia, che viva ci conservò per tanti secoli
    la sapienza del primo popolo della terra, più non bastava alle nuove istituzioni ed ai cangiati costumi. La riforma
    delle leggi del Lazio era il grido universale della ragione. Da lunga età si ripeteva che la collezione di Giustiniano
    confusa e sconnessa per colpa de’ suoi compilatori, presentava un’indigesta unione di casi speciali, piuttosto che
    una concatenazione di principij, ed una conseguente emanazione di regole e di massime. Da lunga età il cittadino
    giustamente si doleva, che le leggi regolatrici delle sue azioni e di ogni transazione sociale, fossero scritte in una
    lingua non più intesa dal popolo, e fossero divenute per tal modo, come ai tempi di Papirio e Flavio, il segreto di
    pochi. Ciò in fine che eccitava maggiori querele, era la continua collisione di leggi con leggi, e di queste con gli
    statuti e le consuetudini fra loro diverse, quante in numero si contavano città e comuni d’Italia.
    Era riservato al GENIO, che presenta all’Universo l’esempio di un nuovo sistema di rigenerazione politica,
    di ordinare anche la rigenerazione delle leggi civili. I sommi giurisprudenti della nazione, che primeggia per
    grandezza d’ Impero, e per esuberanza d’ogni genere di coltura, rifusero la sapienza della romana legislazione, e vi
    aggiunsero quanto esigevano la situazione ed i bisogni dei popoli moderni.
    Questa grande opera è compiuta. Il CODICE NAPOLEONE, che per il terzo Statuto Costituzionale
    divenne legge dello Stato con la edizione italiana, si offre all’intelligenza d’ogni ordine di persone, e diffonde una
    luce pura quanto brillante per guidarle sicuramente alla cognizione dei reciproci loro diritti.
    I matrimonij, il governo delle famiglie, lo stato dei figlioli, le tutele, le condizioni del domicilio, i diritti degli
    assenti, le diverse qualità dei beni, i differenti mezzi di acquistarli e di accrescerli, le successioni, i contratti, sono i
    principali oggetti di un Codice civile.

    Chiara Mele

    continua...

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  11. Quadro Storico sul Codice Civile Francese e la sua influenza nei Codici italiani:
    Il Codice civile francese, promulgato con legge del 21 marzo 1804, fu immediatamente vigente in quelle parti del territorio italiano già annesse alla Francia (Piemonte e Repubblica di Genova), per poi essere esteso tra il 1805 ed il 1810 ai rimanenti Stati sotto il controllo francese. Le uniche regioni dove esso non fu introdotto furono le isole di Sardegna (sotto la monarchia dei Savoia) e di Sicilia (sotto la monarchia dei Borboni) e la Repubblica di San Marino, la cui libertà era stata rispettata anche da Napoleone. La generale ed integrale estensione in Italia del Codice civile fu fermamente voluta dall'Imperatore ed imposta contro qualsiasi tentativo di codificazione autonoma , perché rispondeva ad un disegno politico ben preciso: quello di unificare i diversi Stati italiani fino ad allora esistenti mediante l'unificazione legislativa.
    Con la fine dell'epoca napoleonica (1814 -1815) il Codice civile viene formalmente abrogato in tutti gli Stati italiani restaurati dal Congresso di Vienna, ad eccezione del principato di Lucca, per motivi storici particolari. Ma, nonostante fosse stato vigente per pochi anni soltanto, il Codice napoleonico esercitò un'influenza molto profonda sui Codici civili degli Stati italiani della prima metà del XIX secolo, sul Codice civile italiano del 1865 e su gran parte del Codice civile italiano del 1942. Le ragioni di questa influenza sono individuate nella sintesi, da esso realizzata, tra principi di libertà ed uguaglianza tra cittadini, provenienti dalla Rivoluzione Francese. Proprio per questo infatti molti degli Stati italiani restaurati si resero conto che era inevitabile la redazione di un Codice civile e non si poteva ritornare al sistema delle fonti del diritto romano comune non codificato. L’Italia dopo il Congresso di Vienna si presentava così : nel Nord esisteva il Regno di Sardegna, che comprendeva le attuali regioni nordoccidentali italiane, la Sardegna e le regioni (attualmente francesi) della Savoia e di Nizza, ed il Regno Lombardo Veneto, formato da Lombardia e Veneto, che era una parte dell'Impero di Austria. Nell'Italia centrale furono restaurati il Ducato di Parma e Piacenza, comprensivo di queste due città e del loro territorio, il Ducato di Modena e Reggio Emilia, comprensivo di queste due città e del loro territorio, il Principato di Lucca, formato da questa città e dal suo territorio, il Granducato di Toscana, che includeva quasi tutta l'attuale regione omonima, e lo Stato Pontificio, formato dalla Romagna (con la città di Bologna), Marche, Umbria e Lazio. Infine nell'Italia meridionale fu restaurato il Regno delle Due Sicilie, comprensivo di tutte le regioni meridionali della penisola italiana e della Sicilia.


    Giulia Onesti

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  12. Il CODICE NAPOLEONE presenta su questi oggetti quanto le antiche e recenti istituzioni offrivano di
    meglio, rigettati egualmente e gli abusi che non avevano altro appoggio che quello di essere antichi, e le illusioni
    che la smania sconsiderata d’innovare aveva potuto produrre.
    Per esso il matrimonio è investito di tutta la sua dignità, e circondato da quelle prescrizioni che gli
    convenivano. Per esso la podestà paterna, questo utile supplemento della podestà civile, vien ristabilita nei suoi
    giusti limiti. L’adozione, appoggio consolante della vecchiaja, e sostegno d’una troppo fresca ed abbandonata età
    vien determinata con mezzi che correggendo gli abusi di questa benefica istituzione , ne assicurano i vantaggi. La
    facoltà di disporre è conciliata sapientemente coi diritti della libertà, del pari che con quelli della natura. Può il
    cittadino essere grato a coloro che gli sono stati utili, può correggere l’ineguaglianza che la natura o gli eventi
    abbiano posta tra ‘suoi figlioli’; ma non può lasciare nella famiglia l’infausta memoria di avere con eccessive
    liberalità traditi i doveri di padre o di figlio. I figli nascenti trovano in questo CODICE delle forme sicure onde il
    loro stato civile non abbia mai a soffrire dubbiezze. I coniugi in questo CODICE trovano e di che aumentare i
    legami della loro unione, e di che provvedere, se sciagurato caso mai sorga, coll ’estremo rimedio all’estremo male
    di un nodo divenuto per essi un tormento. La sapienza del Legislatore, offrendo inoltre il rimedio della
    separazione di corpo, mette nel cittadino in istato di non aver a lottare fra la tranquillità del riposo e le angosce di
    una coscienza agitata.
    Giovanni Cazzetta
    Materiali per il Corso di Storia delle Costituzioni e delle Codificazioni moderne
    3
    L’antica legislazione, in mezzo al chiarore solenne di ordinazioni ammirabili, apriva ampie fonti di funesti
    scandali e d’infiniti litigj, ed accordava talvolta in danno del terzo diritti licenziosi.
    Il CODICE NAPOLEONE ha purgato la legislazione da questi torti. Non più s’udiranno presso i tribunali
    le querele di un figlio diseredato costretto dall’interesse della propria sussistenza a detrarre alla memoria del padre.
    Non si parlerà più né della necessità d’instituire l’erede, necessità fondata sopra meri sofismi, né delle regole di
    successione fiduciaria, né della legittimazione per rescritto, sì ingiuriose alle unioni legittime, né della interdizione
    per titolo di prodigalità, lesiva ad un tempo e del diritto di proprietà del cittadino e del suo onore, né della
    imprescrittibilità del dominio pubblico, fonte eterno di vessazioni fiscali.
    E le donazioni reciproche, cagioni tante volte di atroci fatti, e i lucri dotali introdotti dagli statuti d’Italia, che
    disponevano di ciò, che la sola libera volontà deve accordare e il privilegio del proprietario della casa, che poteva
    romper l’affitto con sommo imbarazzo del padre di famiglia, tranquillo dianzi sulla fede del suo contratto, e la
    vendita scioglitrice delle locazioni ruinosa per l’agricoltore: ecco molta parte d’errori consacrati nella vecchia
    legislazione, e tolti di mezzo dal CODICE NAPOLEONE.
    Magistrati, le grandi innovazioni in materia di politica e di leggi, comunque approvate dalla sapienza
    calcolatrice del filosofo, hanno bisogno del tempo, affinché la moltitudine resti persuasa della loro utilità. Ma voi,
    sacerdoti della giustizia, cui non le cieche abitudini, non un’ostinata avversione a tutto ciò che sente l’impronta
    della novità, ma il sentimento della prosperità nazionale, guidano nell’esercizio delle auguste vostre funzioni: non
    tarderete a convincervi che i principj tutelari della morale, del diritto di proprietà, della sicurezza del terzo; sono le
    basi principali di questa legislazione, e che dessa è il più bel dono, che il Genio e la Sapienza potessero fare al
    popolo italiano.

    Chiara Mele
    continua

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  13. Penetratevi adunque dello spirito di queste leggi, e con una saggia e ragionata applicazione presentate al
    popolo nuovi motivi per farle apprezzare. Nel silenzio della legge, che non poteva né doveva tutto prevedere,
    consultate la vostra coscienza, i vostri lumi e quella tradizione di regole, di massime e di dottrine sparse nella
    giurisprudenza, che forma lo spirito dei secoli, e che fu sempre riguardata come il vero supplemento di ogni civile
    legislazione. Se nell’applicazione di queste leggi ai singoli casi, che formeranno l’oggetto dei dibattimenti
    giudiziarij, ne’ avvertiste alcuna che fosse per avventura inconciliabile con il carattere, con le abitudini, con la
    situazione del popolo italiano, sia vostra cura di additarmela.
    Rischiarato dai vostri lumi e da quelli del tribunale di Cassazione, centro del poter giudiziario,
    sarò abilitato a proporre quelle utili riforme o supplementi, che SUA MAESTA’ nell’alta sua saggezza si prefisse
    con la disposizione del terzo Statuto Costituzionale, diretta ad imprimere a questo CODICE il carattere di una
    legislazione veramente nazionale, con quelle modificazioni che siano il risultato della ragione illuminata
    dall’osservazione e dall’esperienza, vero ed unico crogiuolo della bontà delle leggi.»
    Chiara Mele

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  14. Il primo degli Stati italiani restaurati dal Congresso di Vienna ad adottare un Codice civile fu il Regno di Napoli e di Sicilia, che aveva assunto il nuovo nome di Regno delle Due Sicilie per indicare il suo carattere di Stato unitario. Il re Ferdinando I di Borbone, nonostante il Trattato di alleanza con l'Impero austriaco, lasciò provvisoriamente in vigore tutte le diverse parti del Codice francese, ad eccezione di quelle relative al matrimonio e al divorzio, e poi nel 1819 promulgò un proprio Codice civile, composto da tre libri e 2187 articoli, che con pochi emendamenti ricalca il modello francese tanto nella impostazione sistematica quanto nel contenuto normativo. L'anno seguente, il 1820, fu la volta del Ducato di Parma e Piacenza ad avere un Codice civile, emanato dalla Granduchessa Maria Luisa. Questo Codice, formato anch'esso da tre libri, ma da 2376 articoli, presenta una maggiore autonomia dal Codice napoleonico rispetto al Codice delle Due Sicilie, e soprattutto adotta un linguaggio più preciso e più tecnico molto apprezzato ai suoi tempi.Fu approvato poi il Codice civile del Regno di Sardegna, conosciuto anche con il nome di Codice albertino, in quanto fu promulgato dal re Carlo Alberto nel 1837. Infatti in questo Regno in un primo momento si rifiuta ogni idea di codificazione civile e solo con l'ascesa al trono di Carlo Alberto nel 1832 si nomina una commissione di giuristi per la preparazione di un Codice civile, che venne promulgato dopo 6 anni di lavori. Anche questo Codice, in tre libri e con 2415 articoli, si ispira largamente a quello napoleonico. Ultimo dei quattro fu il Codice civile del Ducato di Modena e Reggio Emilia, la cui Commissione preparatoria comincia i lavori nel 1849 per ordine del duca Francesco V, tenendo soprattutto conto del Codice vigente nel confinante Ducato di Parma e Piacenza. Il progetto viene redatto in due anni e nel 1852 fu promulgato il Codice civile, che si compone di quattro libri e 2580 articoli.
    Naturalmente, il codice civile Napoleonico influenzò vastamente i Codici Italiani. La divisione del Codice napoleonico in tre libri (I. Delle persone, II. Dei beni e delle differenti modificazioni della proprietà, III: Dei differenti modi coi quali si acquista la proprietà) fu ripetuta da tutti e quattro i Codici, che così accettano la tricotomia delle Istituzioni di Gaio e Giustiniano.La distribuzione del codice civile napoleonico fu seguita senza mutamenti dal Codice delle Due Sicilie con la sola aggiunta nel libro terzo, tra i contratti, dell'enfiteusi, e dal Codice del Regno di Sardegna, che si limita a riunire le disposizioni sulle successioni testamentarie con quelle sulle successioni legittime, separandole dalle donazioni, e nella sostanza anche dai Codici di Parma e Modena, dove nel libro secondo si introduce l'enfiteusi insieme agli altri diritti reali e si trasferiscono al terzo libro i modi di acquisto della proprietà a titolo originario.

    Giulia Onesti

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  15. Si rileva poi che tutti e quattro i Codici italiani seguono il modello napoleonico nel premettere al libro primo un titolo preliminare con le disposizioni sulla pubblicazione, gli effetti e l'applicazione delle leggi in generale. I settori dove si verificano maggiori divergenze tra le codificazioni italiane e la francese riguardano il diritto delle persone, della famiglia, dei rapporti patrimoniali tra i coniugi e delle successioni ereditarie.
    Tra le poche diversità dei Codici italiani, vanno ricordate:
    -la novità introdotta dall'art. 440 del Codice albertino, in base al quale "le produzioni dell'ingegno umano sono proprietà dei loro autori" con osservanza delle leggi e dei regolamenti relativi. Con questa disposizione infatti era colmata una grave lacuna del Codice francese ed erano superati i dubbi della dottrina e giurisprudenza francesi sulle possibilit¨¢ di tutela della proprietà intellettuale.
    - La conservazione dell'istituto dell'enfiteusi. Contrariamente al Codice francese, che con l'abolizione dei vincoli feudali lo aveva eliminato, i Codici delle Due Sicilie, di Parma e di Modena la prevedono e disciplinano, in quanto era un diritto reale di lunga tradizione in molte regioni italiane e rispondeva bene alle loro necessità agricole.
    -Una normativa dettagliata sul regime giuridico delle acque private e pubbliche, che il Codice albertino, ispirandosi al principio della natura pubblica di tutti i fiumi e torrenti, introduce innovando sul punto le poche disposizioni generali contenute nel Codice francese.
    -La previsione, assente nel Codice napoleonico, nel titolo "Della proprietà" di alcuni articoli relativi alle azioni a difesa della proprietà e del possesso.
    Tutta l'ampia parte, dedicata nel terzo libro del Codice francese, alle obbligazioni e contratti fu, frutto di una recezione abbastanza integrale dei principi del diritto romano comune, che erano sempre stati applicati nella precedente tradizione giuridica francese. Ciò spiega perchè i Codici italiani, anche in questo caso, seguono il modello francese, accogliendone sia il sistema sia le disposizioni. Tra le poche diversità si possono segnalare una più attenta regolamentazione giuridica dei contratti di affitto dei fondi rustici, e l'introduzione da parte del Codice di Modena dell'istituto della trascrizione, assente nel Codice francese e negli altri Codici italiani, che imponeva l'obbligo di rendere pubblici, attraverso appositi registri, tutti gli atti tra vivi a titolo gratuito o oneroso, traslativi o dichiarativi della proprietà o di altri diritti reali su beni immobili, come condizione della loro efficacia riguardo ai terzi.

    Giulia Onesti

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  16. Alla lezione di oggi, il professor Notari ha fatto un riferimento alla morte civile. Cercando su internet ho trovato alcune, poche, nozioni a riguardo. Essa è prevista dall'articolo 22 del code civil di Napoleone e presenta le caratteristiche di una finzione giuridica. La morte civile è stata un istituto giuridico sviluppatosi sino al XIX secolo in tutta Europa. Essa consisteva nella privazione della capacità giuridica come conseguenza di una condanna giudiziale. Il soggetto veniva sostanzialmente privato dei propri diritti civili e paragonato ad un defunto. Conseguenza di tale istituto era la privazione di una qualsiasi forma di proprietà, l'apertura della successione agli eredi come se la persona fosse morta senza aver scritto un testamento, lo scioglimento di un eventuale vincolo di matrimonio, il venir meno dei rapporti di parentela, l'impossibilità di prestare testimonianza, l'incapacità di concludere negozi giuridici e l'incapacità di stare in giudizio di persona.
    Vediamo che si trattava di un istituto che finiva per sottrarre al soggetto tutti quei diritti che ne costituivano l'esistenza individuale e sul quale si basava il riconoscimento giuridico. Notiamo anche che il codice non si ferma ad annullare ogni rapporto di tipo economico ma anche affettivo sino a costringere il soggetto a lasciare la società. Gli eventuali beni lasciati dalla persona venivano poi devoluti nei confronti dello stato. Nel corso del XIX secolo, la morte civile venne abrogata in molti stati europei, primi tra tutti il Belgio nel 1831 e la Prussia nel 1848. La norma nel code civili fu parzialmente abrogata per i casi di deportazione nel 1850 ed infine del tutto con la legge del 1854. In altri stati rimase in vigore, come in Cile dove infatti fu usato sino al 1943 con riferimento solo ai religiosi.

    Rebecca Lentini

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  17. L’età napoleonica avvia un grande rinnovamento in diversi campi compreso quello del diritto; cambiamenti che non sono ripudiati dalle monarchie restaurate dopo il Congresso di Vienna e sono destinati a perdurare. In Francia il vecchio sistema del diritto di famiglia è rivisto fin dal 1789, mentre in Italia le Repubbliche giacobine rigettano gli ordinamenti civili degli antichi Stati ed elaborano proprie costituzioni.
    In quei documenti vengono limitati i diritti personali dei membri delle case già regnanti, abolite le distinzioni di nascita, organizzato lo stato civile, i criteri di successione delle proprietà ed è ribadito il ruolo di educazione patriottica e democratica assegnato alla famiglia dallo Stato-nazione. In alcuni casi, come nell’ordinamento repubblicano per il Piemonte del 1796, compare la prima, quanto isolata, affermazione in favore del divorzio della storia italiana.

    Questi principi, fondamentali per l’edificazione di una nuova società, vengono ripresi dal Codice napoleonico del 1804 che diventa legge in tutta la penisola e in gran parte dell’Europa continentale. In tema di famiglia e di successioni il Codice rappresenta una rivoluzione con effetti di lungo periodo: l’idea cara a Napoleone è quella di una famiglia forte in un forte Stato e proprio all’imperatore si deve un decisivo rafforzamento della potestà paterna e maritale, anche se il modello di famiglia proposto è individualistico, ovvero, basato su una costellazione di persone che col divorzio e la maggiore età possono seguire ciascuna il proprio destino.
    La nuova famiglia – laica e civile – stabilisce libertà nella scelta del coniuge, ma la figura del marito e del padre domina su tutte, tanto che la moglie non può fare donazioni, alienare, ipotecare e acquistare senza il consenso del coniuge. Ed è ancora a questo che la moglie deve obbedienza insieme all’obbligo di coabitare e seguire ovunque il marito fissi la sua residenza. Forte è anche il potere del padre sulla vita dei figli i quali non possono lasciare la casa paterna o viaggiare senza la sua autorizzazione: dotato di ampi poteri correttivo-repressivi il padre può percuotere, chiedere l’arresto e la detenzione dei figli in caso di cattiva condotta.
    Il Codice napoleonico, che di fatto sacrifica i principi di eguaglianza e libertà proclamati dalla Rivoluzione, offre però diverse tutele in tema di rapporti patrimoniali quando, per esempio, decretando la fine del sistema dell’erede unico migliora la condizione successoria dei figli non primogeniti, siano essi maschi o femmine, o naturali purché riconosciuti.

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  18. Ora vorrei concentrarmi sull'istituto del divorzio che , nel codice napoleonico, viene descritto nel libro I titolo VI.
    Il titolo VI inizia con l'analisi delle cause del divorzio, poi disciplina il divorzio per causa determinata, il divorzio per reciproco consenso, per poi passare alla descrizione degli effetti e alla separazione personale.
    Riporto ora alcuni articoli relativi alla disciplina del divorzio per reciproco consenso:
    275.Il reciproco consenso de’ conjugi non sarà ammesso, se il marito è minore di venticinque anni, o se la moglie è minore di anni ventuno.
    276. Non sarà ammesso il reciproco consenso se non dopo due anni di matrimonio.
    277. Parimente non si ammetterà il divorzio per reciproco consenso dopo venti anni di matrimonio, nè quando la moglie sarà nell’età d’anni 45.
    278. In nessun caso il reciproco consenso de’ conjugi sarà sufficiente, quando non sia autorizzato dai loro padri e dalle loro madri, o da altri loro ascendenti viventi, a norma delle regole prescritte dall’articolo 150, al titolo del Matrimonio.

    Questa precisa disciplina dell'istituto divorzile fa capire l'importanza che il codice da a questo istituto e l'avanzamento della società francese in questo senso già più di duecento anni fa.

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  19. Vi proponiamo le prime reazioni dei giuristi italiani di fronte all’imposizione del codice napoleonico (1806-1849):
    • Regno d’Italia: si manifesta in anticipo l'orientamento dei legislatori della Restaurazione (o meglio: di quei legislatori che decideranno di puntare sul modello d'Oltralpe per disciplinare i rapporti inter privatos). Ci sono stati tentativi di epurare il code civil da taluni istituti ritenuti in contrasto con i costumi italiani (come già sottolineato a lezione), ad esempio possiamo indicare l’art. 57 del terzo Statuto costituzionale del 1805 che prevede un periodo di rodaggio applicativo di cinque anni, al termine del quale la Cassazione, su istanza dei tribunali, può inviare osservazioni in merito alle disposizioni che si sono rivelate «difettose». Lo stesso Ministro Luosi, inviando una circolare ai tribunali nella quale si annuncia la promulgazione del Code civil, accenna con enfasi a questa possibile revisione, frutto dell'«alta saggezza» di «Sua Maestà». Anche De Simoni ne è una testimonianza in quanto a distanza di soli due mesi dall'entrata in vigore del code civil, ha presentato un progetto diretto a inserire la disciplina del contratto di «censo e livelli». Inoltre un anonimo autore ha scritto una memoria in cui esorta ad effettuare un doveroso recupero della tradizione armonizzando le massime che appaiano in contrasto con quelle della religione cattolica e delle specificità economiche del paese.
    • Parma: la Commissione incaricata di redigere il codice ha subito un rallentamento dovuto all’azione di disturbo degli antinapoleonici.
    • Regno di Napoli (successivamente Regno delle due Sicilie): la figura del Ministro Donato Tommasi sin dal 1813 ha fatto comprendere al Sovrano, non troppo incline che il code civil è uno strumento imprescindibile per il consolidamento del potere monarchico. E alla fine il testo gabellato come tutto nazionale dal Tommasi, che semplicemente si preoccupa di effettuare semplici innesti sul tronco napoleonico, è quello che tra i codici della Restaurazione appare maggiormente esemplato sul modello francese.
     
    E sul destino dei principali istituti di ambito civilistico oggetto di oggetto di modifiche nel periodo rivoluzionario:
    • Matrimonio:
    o Napoli: compromesso fra Stato e Chiesa, poiché vengono richiesti taluni adempimenti civili che debbono precedere la celebrazione del matrimonio religioso –disciplina mista-.
    o Torino e Modena: impostazione confessionale
    • Enfiteusi: riappare in tutti i codici tranne quello sardo.
    • Equiparazione figli naturali e legittimi:
    o Torino e Parma: la condizione del figlio naturale è destinata a peggiorare in maniera drastica in quanto al nato fuori del matrimonio viene riconosciuto, in concorso con discendenti legittimi, il solo diritto agli alimenti .
     
     
    Aurora Filippi, Michele Gallante, Lucio Maria Lanzetti

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  20. Ho trovato del materiale interessante e molto ben strutturato su G.Luosi e code civil di un professore dell'università di Rovigo che ha tenuto un corso analogo al nostro: "Storia delle costituzioni moderne".
    Dapprima viene effettuta una panoramica generale sull'entrata in vigore del codice Napoleone in tutta la penisola tra il 1805 e il 1809 ad eccezione di Sicilia e Sardegna e dei territori veneti ceduti da Napoleone all'Austria.Dopodichè,afferma il professore,
    la temporanea uniformità legislativa creata dal codice straniero fece cessare di esistere il diritto comune,le ordinanze,le consuetudini generali e locali,gli statuti,sciolse i vincoli di feudalità,abolì i fedecommessi,introdusse il sistema della pubblicità e specialità delle ipoteche.In riferimento a questa svolta,e riecheggiandoancora una certa enfasi risorgimentale,la recezione del Codice Napoleone è stata presentata come "il più grande evento della nostra storia del diritto dopo l'introduzione in Italia della codificazione giustinianea avvenuta 12 secoli prima" (così C.Ghisalberti).
    Per comprendere la fortuna del modello-codice in Italia è utile prendere le mosse da una vicenda specifica,quella della traduzione in italiano e latino del code civil nel Regno Italico;una vicenda che si lega strettamente a quella della mancata codificazione autonoma italiana.
    L'impulso alla organizzazione del processo di "traduzione" provenne da G.Luosi che dal 9 giugno 1805 era stato nominato Gran Giudice e Ministro della Giustizia al posto di Giovanni Buonaventura Spannocchi che aveva ricoperto l'incarico dal 1802.
    A seguito della decisione imperiale l'antecedente processo di "codificazione nazionale" si trasformò in un mero processo di traduzione in italiano e latino del code civil.Alberto De Simoni che era stato l'artefice del tentativo di codificazione venne posto nella commissione chiamata ad occuparsi della traduzione in latino. I traduttori avanzarono alcune osservazioni critiche nei confronti del testo ma esse vennero ignorate e così,il 16 gennaio 1806, una delegazione italiana capeggiata da Luosi si recò a Monaco di Baviera per consegnare il Manoscritto della traduzione a Napoleone.Il Codice entrò in vigore il 1° aprile con solo pochi mesi di ritardo rispetto alla previsione del Terzo statuto costituzionale.

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  21. ...continua..
    GIUSEPPE LUOSI E LA "PERSUASIONE AL CODICE".
    Il codice come svolta,il codice come innovazione che guarda all'avvenire rompendo con il passato, fu simbolicamente costruito sulla memoria del passato,fu legittimato da una costruzione del passato destinata ad affermarsi grazie al dono del codice.Un primo aspetto rilevante era dato proprio dalla traduzione del code non solo in italiano ma anche in latino.Il decreto di pubblicazione del codice del 1°aprile affermava: "le leggi romane,le ordinanze,le consuetudini generali o locali,gli statuti o regolamenti cesseranno di aver forza di legge generale o particolare nelle materie che formano oggetto delle disposizioni contenute nel Codice Napoleone". Si aggiungeva poi:"la sola traduzione italiana potrà essere citata ed aver forza di legge nei tribunali". Che senso aveva allora accompagnare una così netta rottura con il passato con la predisposizione ufficiale di un testo in latino?
    La traduzione latina è parte di una più ampia costruzione simbolica volta a propagandare e a far accettare il codice straniero,volta si può dire a persuadere al codice, trasformandolo da codice imposto in codice atteso e preteso dagli italiani.Una circolare del 6 marzo 1806 (postata sopra da anonimo!)inviata dal ministro Luosi ai tribunali per annunciare la promulgazionedel code civil mette bene in luce la sovrapposizione dei diversi elementi.Il testo è ben inserito nella specifica vicenda del Regno d'Italia ma ha una valenza ulteriore,è una sorta di manifesto pubblicitario per il Codice,intende annunziare il codice e persuadere i giudici riguardo ai benefici insiti in quel dono prezioso.
    La circolare è rivolta ad un pubblico preciso,i giudici("voi,sacerdoti della giustizia"),esso contiene però anche elementi non delimitabili alla sfera del dovere d'ufficio del Ministro del Regno italico intento a presentare la bontà del nuovo prodotto legislativo. Luosi non intende solo convincere ma intende anche convincersi della bontà del codice che è magnificato anche nelle parti su cui si nutrivano più dubbi(è il caso del divorzio brillantemente non menzionato attraverso il richiamo all'"estremo rimedio all'estremo male di un nodo divenuto per i coniugi un tormento"). L'insistenza sul diritto di famiglia muove dai propri dubbi e dalla consapevolezza che su quel punto maggiori sarebbero state le resistenze dei giudici.
    Il codice sarà destinato a divenire solo in futuro VERAMENTE NAZIONALE. A renderlo tale sono chiamati proprio i sacerdoti della giustizia: sono gli interpreti che devono penetrarne lo spirito,farlo apprezzare dal popolo,integrare i suoi silenzi attingendo alla memoria di sempre.
    ...continua...

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  22. ...Il codice è annunciato come DIRITTO NAZIONALE che ha bisogno dell'interprete per divenire VERAMENTE tale. Questo è il messaggio attorno a cui ruota l'argomentazione. Il vero compromesso tra l'astrazione del codice e le specifiche esigenze della realtà nazionale italiana(quel compromesso per altri versi già realizzato dal codice respingendo "egualmente" sia gli abusi che non avevano altro appoggio che quello di essere antichi, sia le "illusioni" generate dalla smania sconsiderata d'innovare, è ancora tutto da realizzare e sarà realizzato nei singoli casi dagli interpreti. I giudici non sono chiamati a misurare ( a fronte di un codice che non può prevedere tutto)tradizione e innovazione, a fondere la sapienza della romana legislazione e i bisogni dei popoli moderni.
    La memoria bloccata del codice è aperta per gli interpreti che sono retoricamente chiamati ad applicare e,nello stesso tempo, a ricercare quotidianamente il VERO codice nazionale nel contatto tra il proprio passato e il futuro, tra le proprie abitudini e i benefici presenti nella legge di "Sua Maestà". Luosi intende persuadere e non esita a rifarsi al più celebre discorso di Portalis. L'enfasi sul ruolo dell'interprete, il richiamo al compromesso tra innovazione e tradizione,tra instabile legicentrismo rivoluzionario e stabilità di un codice veramente costruito solo dal tempo,riproducono letteralmente Portalis. D'altronde anche il discorso di Portalis era funzionale ad un uditorio,anche quel discorso inventava l'immagine del codice ritenuta più appropriata per annunziare il codice e per persuadere al codice. Il prestito,dunque,doveva apparire a Luosi naturale,dovuto. Come Portalis,il ministro Luosi era ben consapevole che l'operazione di persuasione al codice legittimava una scelta legislativa che aveva una chiara valenza politica,portatrice com'era di un disegno legicentrico,di un progetto di "assolutismo giuridico" che il min istro aveva sperimentato di persona. Nonostante questo,l'immaginaria attribuzione agli interpreti della costruzione del codice nazionale era operazione retorica che funzionava come attribuzione di una memoria nazionale a un codice nato senza memoria.
    L'operazione retorica di Luosi è ancora fragile;troppo forte è infatti il contrasto tra l'imposizione subita e il modello da propagandare, troppo evidente è in questo momento la negazione di una codificazione autonoma posta lì a segnalare l'assoluta preminenza della volontà politica di Napoleone e a sottolineare l'artificiosità propagandistica della circolare del Ministro. In questo momento la persuasione al codice non riesce a dissolvere l'evidenza del contrasto tra imposizione e scelta del codice. Si mette in campo però un modello retorico destinato a grande fortuna.
    Tratto da Giovanni Cazzetta,"Materiali per il Corso di Storia delle Costituzioni moderne",Università di Rovigo.

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  23. Come abbiamo detto più volte a lezione, caduto Napoleone si aprì il periodo della Restaurazione, la quale si poneva l’obbiettivo del ritorno allo “status quo ante”, riportando i vecchi sovrani sui loro troni e riaffermando l’assolutismo dello Stato. Tuttavia, era difficile cancellare di colpo tutte le innovazioni portate dalla Rivoluzione francese. La situazione in Italia portò ad adottare una strada diversa per le diverse realtà degli Stati preunitari. Quindi, accanto a Stati che mantennero, anche in via provvisoria, il Code Napoleon, vi furono altri Stati che, invece, rifiutarono il modello stesso del codice. Il Congresso di Vienna fece espresso divieto ai sovrani di concedere il principio di rappresentanza al popolo, sulla base del fatto che la sovranità doveva essere concepita come un potere che derivava non dal basso ma per concessione divina: gli atti del sovrano non erano in alcun modo sindacabili.
    Tutto ciò portò ai moti rivoluzionari prima del 1820-1821 e poi del 1830-1831, proprio per l’insoddisfazione del popolo per la mancanza di un potere di rappresentanza, di un garantismo costituzionale e dei diritti del cittadino.
    Ecco che a partire dal 1837 Carlo Alberto, l’allora Re di Sardegna, prese una serie di provvedimenti, tra cui l’adozione di un codice civile e penale e creando una Corte di Revisione (Cassazione), per consentire una certa uniformità di diritto nello Stato.
    Nel 1848, il Re delle Due Sicilie, Ferdinando II, concesse una Costituzione al suo Regno e sulla base di questo, anche in Sardegna di avanzarono richieste al sovrano di concedere una Costituzione. L’8 febbraio 1848, Carlo Alberto emanò un proclama di 14 articoli in cui saranno racchiusi i principi fondamentali del codice. Come abbiamo visto oggi a lezione, innanzitutto è stabilito il carattere confessionale dello Stato, ammettendo anche la tolleranza dei culti diversi da quello cattolico; inoltre, si stabilisce la forma della MONARCHIA COSTITUZIONALE, nella quale il sovrano esercita una serie di poteri (tra cui quello esecutivo) stabiliti e regolati da una Costituzione, anche se poi attraverso varie modifiche si passò da tale forma a quella della monarchia parlamentare; è prevista la limitazione dell potere legislativo del sovrano, il quale potere potrà essere esercitato solo unitamente alle due Camere (una eletta “sulla base di un censo da determinarsi” e l’altra “composta da membri nominati a vita dal re”: art.7); si garantisce la libertà individuale e di stampa, anche se quest’ultima sarà soggetta a “leggi repressive”.

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  24. (continuo)
    Questo segna il tramonto dello Stato assoluto. Si affermano i tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario che nello Stato assoluto venivano esercitati tutti dalla persona dal sovrano. In questo momento, invece, si comincia ad affermare un certo potere del popolo che si esprime attraverso la elezione dei rappresentanti. Si tratta, comunque, sempre di una costituzione “octrayee”, ovvero CONCESSA dal sovrano al popolo. Questo emerge dal preambolo dello stesso statuto in cui si legge: “con lealtà di Re e con affetto di Padre, Noi veniamo oggi a compiere quanto avevamo annunziato ai Nostri sudditi col Nostro proclama dell’8 dell'ultimo scorso febbraio, con cui abbiamo voluto dimostrare in mezzo agli eventi straordinari che circondavano il paese, come la Nostra confidenza in loro crescesse colla gravità delle circostanze, e come prendendo unicamente consiglio dagli impulsi del Nostro cuore fosse ferma Nostra intenzione di conformare le loro sorti alla ragione dei tempi, agli interessi ed alla dignità della Nazione”. Nelle intenzioni del sovrano avrebbe dovuto essere anche una costituzione rigida, ma si è rivelata essere, invece, una costituzione FLESSIBILE, potendo essere modificata con semplice legge ordinaria. E’ proprio tale carattere di flessibilità che ne consentì la vigenza per circa un secolo, consentendo di interpretare il testo in conformità ai tempi e alle situazioni. Inoltre, altro carattere dello Statuto è quello di essere una costituzione BREVE, nel senso che si limita ad affermare i diritti ed individuare la forma dello Stato, senza però dettare norme sulla convivenza o sui rapporti tra i consociati.

    Claudia Zennaro

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  25. A lezione abbiamo già ampiamente trattato i motivi per cui vi era opposizione della maggioranza dei giuristi nei confronti del recepimento del Code Civil di Napoleone, ma mi sono comunque soffermata su alcune testimonianze a favore del codice.
    A riguardo si può nominare Pietro Giordani, autore dell'opera il Panegirico a sua Maestà Napoleone. Qui lo descrive come “sapientissimo e fortissimo benefattore del genere umano”, “sovrano lume, nato ad onore e felicità della terra”, “esempio unico di quella umana perfezione, che niun popolo possedette mai”. Fra i benefici introdotti dall' “Augusto Legislatore”, così viene definito dal Giordani, vi sono anche il pareggiamento successorio dei sessi “vendicando dalla ingiustizia le femmine ...ai genitori ha tolto l’arbitrio di essere ingiusti colle figliuole”, la concessione, sia pure a precise condizioni, del divorzio. Istituti che per molti altri hanno rappresentato motivo di diniego del codice,
    L'opinione di Paolo Grossi risulta essere in parte differente. Sostenitore dell'assolutismo giuridico, egli afferma che "con riguardo all’ampio pluralismo giuridico preesistente, la codificazione rappresentò un esproprio: il diritto privato da diritto dei privati si cambiò radicalmente nel diritto pubblico avente ad oggetto i rapporti tra i privati", stessa tesi sostenuta dall'inglese Kelley.
    Ungari sostiene invece che "il Codice Civile non è il complesso dei principi morali da cui vuolsi governata la civiltà moderna, non abbracciando esso la vita intera, ma soltanto l’ordine dei privati interessi”.
    Numerosi sono i sostenitori del codice ma ancora di più sono coloro contrari e non sorprende che con la restaurazione, molti degli istituti introdotti da Napoleone vennero abrogati.
    Riporto anche le opinioni di due cittadini inglesi riguardo al fenomeno della codificazione e di Napoleone.
    Il primo di Bentham favorevole alla codificazione ed il secondo di Kelley, antagonista del pensiero napoleonico.

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  26. Jeremy Bentham , nonostante il suo rifiuto del giusnaturalismo che sembra allontanarlo dai principi illuministici, abbraccia pienamente i suoi principi nell'ambiente giuridico con riguardo ai principi di universalità, semplicità, e certezza. Egli considera inefficiente il sistema della Common Law individuando i suoi difetti nella mancanza di sistematicità e di chiarezza. Propone anche un progetto di sistemazione delle regole giuridiche inglesi con un codice diviso in tre parti: diritto civile, penale e costituzionale. Egli si fa portavoce della necessità del codice e di limitazioni dei poteri dei giudici. La grande novità riguardava la stesura del codice. Egli riteneva che fosse necessario attribuire tale funzione ad un unica persona scelta mediante pubblico concorso cosi da garantire organicità e semplicità. Sostanzialmente si distacca dalla credenza della necessità di una commissione di giuristi appositamente costituita con lo scopo di redigere il codice. Caratteristiche del testo dovevano essere la massima felicità della popolazione, l'esclusione della creazione del diritto da parte dei giudici e le norme dovevano essere chiare, precise e motivate da permettere ai cittadini di conoscere la ratio della loro esistenza. Chiaramente Bentham cerca un sistema giuridico inglese opposto al sistema della Common Law e del principio del precedente. Egli si presenta come massimo sostenitore dell'opera di codificazione Napoleonica sostenendo che nessuno potrebbe opporsi ad un sistema legislativo così razionale e civile..
    Diversa è l'opinione di D. R. Kelley che critica fortemente il code e la figura di Napoleone. Egli vede nell'imperatore l'ambizione di trasformare tutto il diritto privato in pubblico e di politicizzarlo sino ad usarlo a proprio favore, "intended to organize all private law (especially law of person and property) into a single system and so, whether directly or indirectly, to politicize it.". “conceptually the Code was a prototype of game theory, from which the less serious games of ‘Monopoly’, ‘Diplomacy’ and ‘Class Struggle’ were derived” Ironizza sulla strategia di Napoleone affermando che da esse nascono i giochi da tavolo come Monopoli ed altri.

    Rebecca Lentini

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  27. I Codici: dal razionalismo rivoluzionario allo storicismo della Restaurazione

    Come abbiamo visto la situazione giuridica rivoluzionaria si presenta in totale antitesi con quella che si realizza nella Restaurazione. La prima infatti si basava sul razionalismo che scontra in pieno lo storicismo della seconda. È interessante vedere come l’immagine che si crea dello Stato di diritto appare fermamente collegata ad una visione del necessario intervento del potere nella vita sociale ed alla subordinazione di questa alle norme poste dallo Stato. Dunque la statalizzazione in questo periodo è considerabile più come un limite posto tra la sfera pubblica e quella privata, tra sovranità statale e autonomia individuale.
    Ma allo stesso tempo è bene ricordare come statalizzazione e codificazione non possano essere ricordate come prodotti necessari del liberalismo costituzionale della rivoluzione. Codici e Costituzioni avevano nella maggior parte dei casi origini e destini diversi. Emblematico di ciò è il caso della stessa Italia: le costituzioni giacobine di matrice illuministica per il modello francese erano già cadute al momento dell’entrata in vigore dei codici napoleonici, le norme di queste sopravvissero però alla Restaurazione convivendo con l’assolutismo dei principi riportati sui loro troni a seguito del Congresso di Vienna.
    Il distacco tra esperienza codicistica e costituzionale emerge anche dalle realtà extra-nazionali: nel Regno Prussiano con la promulgazione dell’Allgemeines Landrecht, 1794, e del Codice Austriaco, 1811, era stata resa possibile la coesistenza di una codificazione del diritto privato con l’assolutismo del potere pubblico. Non ci si deve stupire perciò che l’ideologia della Restaurazione italiana giungesse alla giustificazione della divisione tra codici privatistici e costituzioni, ritenendo utili i primi e contrastanti con le loro idee le seconde. Così si arrivò all’abrogazione totale delle costituzioni in favore di una sorta di continuità della tradizione codicistica. Fu quindi lo storicismo giuridico che, esaltando la varietà contro l’uniformità, diede una giustificazione teorica alla ripresa di un’autonoma attività legislativa da parte dei sovrani restaurati. Il senso dello Stato tornava a confondersi con la dedizione alla corona, con la fedeltà al sovrano, visto come unica fonte del diritto. Tutto ciò per dare stabilità alla legalità che si rivoleva nei rapporti civili e sociali dopo i cambiamenti operati dalla rivoluzione. Per questo motivo i codici non vennero abbandonati: essi potevano essere garanti di questa legalità. Quindi possiamo vedere come i codici rimangano sempre parte integrante dell’assetto giuridico-politico degli Stati, nonostante i cambiamenti causati dai vari periodi storici.

    Ylenia Coronas

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  28. Ho trovato interessate l'interpretazione di G. P. Chironi (civilista italiano) e G. Astuti (storico del diritto - "Le code Napoleon in Italia e la sua influenza sui codici degli stati italiani successori" 1969) su "i codici preunitari e 'la seconda vita' del codice". Sono due importanti contributi che, a distanza di quasi settant'anni, analizzarono la questione dell'influenza del codice Napoleone in Italia.
    La presenza del modello codice in Italia nasce da un’imposizione politica: «la generale ed integrale estensione del Code Civil in Italia, fermamente voluta da Napoleone e imposta contro ogni obiezione o resistenza, rispondeva a un preciso disegno politico, fondato sulla convinzione della sua opportunità per consolidare, mediante l’unificazione legislativa, l’assetto unitari della Penisola, e per promuovere il rinnovamento della vita sociale, economica, civile della popolazione italiana». C’è la ferma volontà di Napoleone di applicare nel regno italico il suo codice nella sua integrità, c’è la scelta volta a soffocare l’iniziativa tendente ad una codificazione nazionale (il riferimento va ovviamente alla codificazione promossa da Giovanni Bonaventura Spannocchi e portata avanti da Alberto De Simoni).
    «Il Code Napoléon non sopravvisse in Italia alla fine dell’impero: dopo gli eventi del 1814-1815, i governi della restaurazione ne disposero dovunque la più o meno immediata abrogazione, nel tentativo di ripristinare gli ordinamenti dell’antico regime, eliminando la maggior parte delle riforme portate dalla rivoluzione francese e dalla dominazione napoleonica. […] Ma pur essendo stato applicato nella maggior parte d’Italia per un periodo relativamente breve, non superiore a un decennio, il Codice Napoleone, formalmente abrogato, era tuttavia destinato ad una seconda e più durevole vita, attraverso l’influenza esercitata dapprima sui codici civili della Restaurazione, che
    ad esso largamente si ispirarono, e quindi anche sul codice civile italiano del 1865, dal quale in molte parti dipende ancora quello del 1942 tuttora vigente».
    L’imposizione voluta da Napoleone non costituisce dunque che una parte, per molti aspetti la meno rilevante, della presenza del Codice in Italia; il momento cruciale si realizza infatti con la ‘seconda e più durevole vita’ del codice, quando scompare l’imposizione fermamente voluta da Napoleone ed il codice si afferma ‘di per sé’. La seconda vita del Codice spinge a leggere con occhi diversi il ‘valore storico’ del Codice Napoleone. «La migliore conferma» delle ragioni della «validità e vitalità» del Codice sono date proprio dagli avvenimenti successivi alla Restaurazione, successivi all’abrogazione del Code civil e al ripristino della normativa di antico regime. Nel momento in cui la permanenza di quella normativa ‘antica’ si rivela impossibile, non più adeguata allo sviluppo della vita civile, e si fa ritorno ai codici, si realizza una congiunzione tra la legislazione francese e quella italiana:
    «i codici civili della Restaurazione rappresentano il miglior riconoscimento e la più sicura testimonianza dell’autorità e validità del Code Napoléon, che attraverso questi nuovi codici continuò di fatto ad esercitare, anche dopo il 1814, un’ulteriore e preziosa azione sullo sviluppo della vita civile in Italia, durante il periodo del nostro Risorgimento nazionale. Non occorre ricordare, in proposito, quanto fosse stata positiva e determinante l’esperienza concreta d’un sistema
    di diritto codificato. L’idea della codificazione si era così profondamente radicata anche in Italia che gli stessi governi restaurati, dopo aver nella prima reazione abrogato i codici francesi, riconobbero tuttavia ben presto la indifferibile necessità di sostituire ad essi nuovi codici nazionali».
    Il riconoscimento della indifferibile necessità muta il codice straniero in una conquista irreversibile recepita in forza del riconoscimento della sua autorità come modello.

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  29. «La codificazione, che pure era stata imposta dalla dominazione straniera, fu riconosciuta conquista irreversibile, anche quando, restaurato l’ordine antico, sarebbe stato possibile ritornare al sistema del diritto comune, forte in Italia di una tradizione plurisecolare e gloriosa. Dovunque si affermò e diffuse ben presto la convinzione della necessità di provvedere a una nuova codificazione del diritto privato […] Così, alla abrogazione formale del Code Napoléon seguì l’effettiva e integrale recezione della maggior parte del suo contenuto normativo, con l’ulteriore riconoscimento della sua
    autorità come modello cui i nuovi codici si ispirarono direttamente e largamente, nel sistema, nella forma, nella sostanza».
    Nella seconda vita del Codice l’adesione al modello non è imposta ma è voluta. Le «modificazioni», le «divergenze» dall’astratto modello presenti nei «nostri codici» nascevano – si afferma – dal marcato riferimento al «diritto comune e alle consuetudini nazionali», allo stesso modo però (ed è quello che Astuti tiene più a sottolineare in coerenza con l’assunto di evidenziare l’influenza del modello) l’adesione completa, integrale al Code Civil era determinata dalla consapevolezza di recepire un diritto che era comunque espressione di una tradizione nazionale italiana, della tradizione romanistica ( libro secondo dedicato alla proprietà e libro terzo).
    Il Code Napoléon è frutto di una recezione pressoché integrale del diritto romano comune». L’adesione dei codici preunitari al modello francese era conseguente a questa lettura:
    «Nella parte concernente le obbligazioni e i contratti, forse più che in ogni altra, i legislatori italiani della Restaurazione seguono il modello francese, e ne recepiscono sia il sistema sia le disposizioni […] Sono pertanto evidenti le ragioni per cui i nostri codici riproducono in così larga e integrale misura le disposizioni del Code Napoléon, che non rappresentavano un diritto straniero, comunque divergente dalla tradizione giuridica italiana»
    Il modello dei codici civili degli stati preunitari risulta come espressione di pura necessità: necessità di confermare un diritto che era un (nostro) diritto nazionale, necessità di affermare un diritto rispondente alle reali esigenze dei tempi. Resta infatti, pur immessa entro il quadro di una così marcata continuità con la tradizione romanistica, l’immagine di un codice come necessario portato dell’incivilimento; un incivilimento europeo che si salda con la più genuina tradizione nazionale.
    L’Italia, ancora politicamente divisa si ritrovò unita nella disciplina in gran parte uniforme dei rapporti di diritto privato, nel comune sentimento d’una comune civiltà giuridica, fondata sulla più genuina tradizione nazionale e al tempo stesso ispirata ai grandi princìpi che avevano profondamente trasformato l’Europa intera: e l’unità acquisita in questo campo costituì motivo ed impulso per la conquista dell’unità e indipendenza politica».
    La fusione tra ‘tradizione nazionale’ e ‘grandi principi innovatori’ è anche la linea che guida la lettura del Codice francese il cui «significato» e «valore storico giuridico» è, si può dire, colto in modo speculare rispetto alla lettura fornita riguardo alla recezione italiana. Il Code civil ha «quale massimo pregio … il felice, riuscito innesto dei principi di libertà che avevano ispirato le riforme della Rivoluzione dell’89, sul vecchio tronco della tradizione giuridica, fondata anche in Francia sul
    sistema del diritto romano comune»; si caratterizza per il «prudente equilibrio con cui seppe unire il presente al passato», con cui seppe ‘fondere’ le «conquiste politiche della Rivoluzione con la tradizione giuridica».

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  30. Il Codice aveva dunque, al di là delle riforme rivoluzionarie, il suo esemplare modello nel sistema del diritto romano comune. Sottolineare la perfetta adesione del Code civil a tale modello confermava ancora la lettura riguardo alla particolarità della recezione italiana. Nella spontanea adesione dei francesi al modello del sistema del diritto romano si poteva scorgere come in uno specchio la spontanea accettazione da parte degli italiani di un Codice (francese) contenente princìpi ‘nostri’. Astuti poteva dunque convenire con Esmein nell’affermare che «la originalità profonda del Codice napoleonico sta non nella novità delle sue norme, bensì nella sapiente unificazione e semplificazione del diritto comune e delle altre norme anteriori, attuata con esperta tecnica legislativa, e nella formazione di un sistema organico ed unitario, espressione non delle
    ideologie rivoluzionarie ma della tradizione giuridica».
    La «vera novità ed originalità del Code Napoléon» sta nel «valore giuridico formale», nella «radicale trasformazione del sistema delle fonti del diritto»: «a un ordinamento fondamentalmente consuetudinario e giurisprudenziale (…) il codice sostituiva un ordinamento interamente legislativo, in cui la volontà sovrana del legislatore si poneva come fonte di produzione unica, o almeno tendenzialmente esclusiva di fronte alla consuetudine e alla giurisprudenza».
    L’interpretazione proposta da Chironi e Astuti fa proprie convinzioni diffuse nell’Ottocento italiano e ben sintetizza le mitizzazione del ‘modello codice’ come Codice della civilizzazione (del
    comune sentimento d’una comune civiltà giuridica) e della Patria (della più genuina tradizione nazionale).
    Cristina Di Florio

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  31. Parlando di costituzionalismo il professor Conte ha citato Maurizio Fioravanti. Riporto un riassunto del suo pensiero tratto da “Il costituzionalismo nella dimensione sopranazionale: il caso europeo”. Fioravanti, prima di analizzare il Trattato di Lisbona, traccia la storia del costituzionalismo che è nato con l’età moderna e non nel medioevo, come alcuni affermano. Il costituzionalismo nello stato moderno ha due vocazioni:la prima è quella di concentrare il potere sul territorio (assolutismo) mentre la seconda è quella di circoscrivere quei poteri con dei limiti e la garanzia della partecipazione del consenso (assemblee rappresentative). Questa doppia attitudine del costituzionalismo europeo, rappresentata dalla resistenza e dalla partecipazione, si costruisce prima della rivoluzione; il giusnaturalismo e il contratto sociale sono l’espressione del dualismo poiché i diritti dell’individuo si scontrano con il potere politico che li garantisce. I diritti degli individui vengono opposti al potere politico come naturali e gli individui stessi affermano i propri diritti come positivi. Da questo si deduce il principio dell’uguaglianza tra i cittadini perché appartengono tutti all’unità politica, ossia al popolo. Nella Dichiarazione del 1789 è la nazione a cancellare i vecchi privilegi e ad affermare il principio di uguaglianza. Anche la Dichiarazione è caratterizzata da una duplice vocazione: la vocazione universalistica dei diritti dell’uomo, fondamento dell’uguaglianza, e il desiderio che la forza della legge positiva e della volontà generale possano servire ad instaurare un nuovo regime. Tra la rivoluzione e noi si pone lo stato liberale di diritto in cui è lo stato nazionale il sovrano. La costituzione perde la sua doppia attitudine perché i diritti non sono più opponibili al re in quanto è lo stato stesso il sovrano; rimane solo la vocazione universalistica e non più quella giusnaturalistica. Il periodo che segue è quello del positivismo giuridico di impronta statualistica in cui il principio di sovranità è al centro. Nella metà del XVIII secolo il carattere dualistico del costituzionalismo viene abbandonato e ricollegato alle esigenze del passato; di conseguenza nello stato moderno non c’è più bisogno di ricorrere ad una fondazione superiore dei diritti rispetto al diritto statale perché lo stato di diritto li garantisce e la costituzione li tutela attraverso le norme dello stato. Gli stati nazionali sovrani non hanno più la doppia attitudine del costituzionalismo: quella di opporre diritti individuali al potere e quella di concepire i diritti sul piano universale, perché questi due aspetti erano legati all’impossibilità di pensare i diritti oltre lo stato. Dopo i regimi totalitari, le costituzioni democratiche del dopoguerra riscoprono la doppia vocazione del costituzionalismo rifiutando la precedente riduzione alla sola vocazione statale e nazionale.

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  32. La discussione sulla codificazione in Francia ha interessato anche il Nuovo mondo, non solo il vecchio continente. Oltre al dominio francese, la Louisiana fu influenzata dalla filosofia dell’utilitarismo dell’illuminista inglese Bentham (“la misura del diritto e del torto è la felicità massima per il massimo numero di persone”). La Louisiana tra il 1600 e il 1700 era chiamata la Nuova Francia; la madrepatria impose alla propria colonia le stesse leggi ovunque, poiché vigevano le consuetudini di Parigi. Nell’800,negli Stati Uniti circolava la traduzione del Code Napoléon che creava un certo interesse: già avevano modellato la propria Dichiarazione di indipendenza sulla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese (influenzata dal diritto naturale). Nel 1808 viene promulgato il Digest, direttamente ispirato al code, però nel 1825 viene sostituito dal Codice civile. quest'ultimo si basa molto sul code ma c'è anche l'influenza del diritto inglese, per quanto riguarda le obbligazioni. Il codice della Louisiana si presenta come quello francese poiché è organico e completo, il suo lessico è semplice come voluto da Napoleone. Al codice, tradotto anche in inglese, seguì un codice di procedura in cui c’era una commistione di diritto francese, inglese e spagnolo. Jefferson accettò il codice e rinunciò ad una completa assimilazione legislativa della Louisiana ma la costituzione del 1812 stabilì che non ci sarebbe più stato un codice di leggi generali. In Louisiana si ha un codice civile ma si vive comunque in un sistema di common law che riconosce il trust; il codice è basato su un antico formante di impostazione francese a cui si aggiungono le leggi federali di common law recepite. Ancora oggi si mantiene l’influenza del codice che è diventata parte della cultura giuridica della Louisiana.

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  33. Il Code Napoléon, promulgato con legge 21 marzo 1804, entrò prontamente in vigore nei territori italici che erano stati annessi alla Francia (ovvero Piemonte e Repubblica di Genova). Negli anni successivi, invece, venne esteso agli altri Stati Italiani, controllati in via diretta o indiretta dal governo francese, all’infuori della Repubblica di San Marino (la cui tradizione di libertà verrà rispettata anche dall’Imperatore), nonché dei territori isolani (difatti il Regno di Sardegna, da una parte, e il Regno di Sicilia, dall’altra, erano rimasti sotto il controllo rispettivamente della monarchia sabauda e della dinastia borbonica).
    L’estensione della codificazione, nella sua traduzione italiana, rispondeva, agli occhi dell’Imperatore, ad un intento ben determinato, ovverosia quello di realizzare un’unificazione legislativa che avvicinasse i diversi Stati Italiani, promuovendo il progresso della vita sociale, economica e civile delle popolazioni italiane. Per questo non si accettarono tentativi di codificazione autonoma (uno su tutti, quello portato avanti da Alberto De Simoni), come si rivelò parimenti vano lo sforzo di alcuni giuristi italiani orientato ad introdurre dei correttivi al testo del 1804, nonostante la disponibilità iniziale mostrata in tal senso da parte del sovrano.
    Del resto, anche dopo il 1815, malgrado la sua formale abrogazione in tutti gli Stati restaurati dal Congresso di Vienna, e quantunque fosse rimasto in vigore solo per pochi anni, il Codice civile di Napoleone seguiterà a lasciare tracce profonde, influenzando la stesura dei Codici civili negli Stati italiani durante la prima metà del diciannovesimo secolo, come pure la redazione del Codice civile del 1865. Un ascendente innegabile dunque, le cui cagioni possono rinvenirsi nella fusione compiuta tra principi rivoluzionari e tradizione giuridica europea, normalmente identificata col diritto romano comune. Il che, è variamente comprovato dal fatto che la redazione di un codice civile sarà vista come obiettivo ineludibile, a fronte dell’impossibilità e dell’intrinseca irrazionalità di un ritorno ad un sistema di diritto non codificato.
    Ebbene, la fortuna del modello-codice in Italia muove i suoi primi passi proprio dalla traduzione in italiano ed in latino del Code Napoléon, un codice imposto, più che recepito, nel Regno Italico, molto lontano dall’essere percepito quale legislazione veramente nazionale (tanto più che lo stesso Luosi, nominato Gran Giudice e ministro della Giustizia nel 1805, animatore del processo di traduzione, sentirà la necessità di “promuoverlo” riconoscendovi un “dono prezioso”).Ma non sarà facile trovare un compromesso tra la realtà codicistica francese e la realtà nazionale italiana, anche dal punto di vista culturale.

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  34. (continua)

    Jean-Luis Halpérin, nel saggio Codes et traditions culturelles, in “Biblioteca per la storia del pensiero giuridico moderno”, Vol. 61 (2000), pp. 223-261, analizza proprio l’ambito dei rapporti intercorrenti tra codificazione e tradizioni culturali. L’autore individua nella codificazione un vero e proprio processo storico, realizzatosi nel corso di diverse epoche, che presenta caratteristiche comuni, anche se si conviene sul fatto che tra la fine del diciottesimo secolo e l’inizio del diciannovesimo, fa la sua comparsa una codificazione definita come “moderna”, con la quale si realizza un salto qualitativo nella storia del diritto. Tutti i codici, infatti, non sono altro che il prolungamento di correnti di pensiero più antiche, e rappresentano il culmine di imprese realizzate su larga scala e di ampio respiro. Si potrebbe dire – secondo Halpérin – che il processo di codificazione rappresenta una sorta di “itinerario intellettuale e politico”, che può considerarsi come una forma di tradizione, di trasmissione dell’ “ideale codificatore” tra più giuristi, o tra più generazioni differenti.
    I primi codici sistematici sono stati voluti e soprattutto sentiti quali novità, incarnanti una frattura rispetto alla tradizione precedente. Di questa sorta di tabula rasa, il Code Napoléon è il paradigma, con la legge 30 ventoso anno XII, che abrogava tutte le fonti del diritto anteriori. Tuttavia obiettivo di Halpérin non è quello di studiare la formazione dei codici, quanto la loro integrazione nelle tradizioni culturali di quei paesi dove la codificazione ha fatto da traino nella storia giuridica. La sua visione dunque non è ristretta al panorama francese, ma si allarga fino a racchiudere il panorama tedesco, e quello italiano.
    L’espressione “tradizioni culturali” è più ampia rispetto a quella di “tradizioni giuridiche”, sembra perciò meglio adattarsi al processo di codificazione: i codificatori moderni hanno infatti avuto l’ambizione di semplificare il diritto, di renderlo praticabile alla massa, racchiudendolo in un libro dalle dimensioni relativamente ridotte, e la cui lettura sarebbe stata resa accessibile a tutti i cittadini. Questa del resto era la concezione ereditata dalla filosofia dei Lumi: lo stesso Beccaria parlava di un codice scritto in una lingua che fosse familiare al popolo, che fosse al contempo “un libro solenne e pubblico” e “un testo privato e domestico”.

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  35. Non riesco a pubblicare la restante parte dell'elaborato, per chi lo volesse, può chiedermelo per e-mail.

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  36. Guardando al settore pubblicistico,nell’intento di comprendere quanto dello Stato napoleonico sia rimasto dopo il Congresso di Vienna,mi sembra interessante sottolineare come l’organizzazione amministrativa importata dai francesi abbia, almeno nei primi decenni della Restaurazione, avuto un destino diverso rispetto all’assetto costituzionale. Non poteva che risultare totalmente in antitesi con le aspirazioni conservatrici dei sovrani restaurati uno Stato subordinato e limitato da una carta costituzionale; “di più, la definizione di un sistema parlamentare fondato su una sia pur limitata rappresentanza elettorale a base censitaria e sulla divisione del potere legislativo tra il re e le due Camere sembrava la negazione di quel principio monarchico ancora identificato da loro con l’assolutismo”. Le istituzioni amministrative del periodo napoleonico,invece, risultarono funzionali all’attuazione della cosiddetta “monarchia amministrativa”.
    Una “monarchia amministrativa” certamente appariva il mezzo più idoneo al raggiungimento di un organizzazione statale in grado di garantire massima efficienza e felicità pubblica,ma soprattutto rese possibile ,seppur nel breve periodo,un intesa con la classe borghese,motore economico- sociale della rivoluzione.” Fu questo,sicuramente,il motivo per cui a Napoli Luigi De Medici nel quinquennio seguito alla Restaurazione fece promulgare dal Borbone una legislazione quasi completamente analoga a quella che aveva costituito l’ordinamento amministrativo del periodo murattiano,come attestano le leggi organiche sull’amministrazione civile del 12 Dicembre 1816 e sul contenzioso amministrativo del 21 Marzo 1817…;
    Fu questo,ancora, il motivo della sopravvivenza della legislazione francese in forma pressoché totale nel Ducato di Parma, e fu questa,inoltre,la causa determinante del ritorno,anche se parziale,tardivo e confuso,come nello Stato Pontificio, o soltanto tardivo ma completo e perfezionato,come nel Regno di Sardegna ,al modello costituito dalla legislazione napoleonica,ritorno al quale si addivenne sia perché i sovrani erano spinti dalle istanze dei cittadini sia anche perché quelle istituzioni rappresentavano l’optimum in materia di organizzazione amministrativa.
    Né contrasta con tale visione il fatto che nel Lombardo-Veneto sotto l’austriaco dominio,venissero ad introdursi norme di ispirazione nettamente absburgica,in quanto la moderna organizzazione amministrativa dell’impero,sorte dalle cure di Giuseppe II e di Maria Teresa si era venuta progressivamente perfezionando anche per l’incontro e il contrasto con il mondo napoleonico.
    E giudizio non dissimile deve darsi anche per il Granducato di Toscana,ove il ritorno alla legislazione amministrativa precedente l’occupazione francese si accompagnò con un più accentuato controllo governativo sull’autonomia locale,come dimostrano le norme che trasformavano i priori e i gonfalonieri,e cioè i magistrati locali,in veri e propri funzionari dipendenti dal potere centrale e ciò in considerazione forse, della necessità di stringere maggiormente i legami tra il vertice e la periferia dello Stato….
    Fu il Blanch ,un esponente del liberalismo moderato meridionale ,ad offrire una giustificazione teorica della “monarchia amministrativa” analizzando l’opera politica di Luigi de’Medici. Sottolineando,infatti,il carattere strumentale di quel sistema amministrativo di marca francese fondato sulla più rigida centralizzazione burocratica rispetto al conseguimento dei fini propri di ogni Stato moderno,l’abolizione della differenza tra provincia e provincia,dei privilegi di classe,di corporazione,dei parlamenti comunali di origine medievale ,la protezione dell’attività economica, agricola,industriale e commerciale,le opere pubbliche,in una parole il progresso civile in una visione organica della pubblica amministrazione,il Blanch aveva lodato Luigi de’ Medici per averlo mantenuto in vigore durante il quinquennio del suo governo,tra il 1815 e il 1820.
    continua...

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  37. Certo al Blanch non sfuggivano i limiti di questa forma di governo,che poteva separare il potere dalla società rendendo l’amministrazione un pesante onere per questa e interessando alla cosa pubblica solo gli agenti governativi:pure egli riteneva che “in un periodo di transizione tra il regime dei privilegi e quello della libertà,era l’unico sistema di governo possibile”,e costatava come infatti fossero”ben accolte nel Regno le disposizioni date per conservarlo,mentre dispiacque ai pochi che tenevano al sistema feudale,e molto più ai prepotenti locali che avevano sostituito i baroni stabiliti nella capitale e che mal vedevano un potere forte e sostenuto come quello dell’intendente”.Esaltando il ruolo dell’intendente,cioè dell’autorità prefettizia,il Blanch mostrava di condividere la funzione di tutela della legge e di rappresentanza dello Stato che questi doveva esercitare in periferia nell’interesse di tutti,e quindi anche dei più deboli,contro la sopraffazione dei potenti ,anche se lamentava l’eccessiva tendenza a sottomettere al potere centrale tutta l’amministrazione provinciale e comunale…”
    Dopo poco tempo la monarchia amministrativa, che prospettava uno Stato con finalità esclusivamente amministrative ed escludeva dalla politica la classe borghese, dovette lasciare il passo al costituzionalismo europeo e al diffondersi del pensiero liberale e democratico. Si arriva così ai movimenti costituzionali che in Italia portano alla rivoluzione del 1820-1821,si guarda alla carta francese del 1814,alla costituzione di Cadice,ma soprattutto si avvia la politica riformistica di Metternich.
    “Il fautore della” monarchia consultiva” tendeva a sopperire all’assenza di organi rappresentativi con un sistema piramidale di organi consultivi della pubblica amministrazione avente alla base i consigli comunali e provinciali e al vertice un Consiglio o una Consulta di Stato capace di trasmettere al sovrano,nelle forme e nei modi più adeguati,le istanze della popolazioni e di esprimere al governo e ai suoi rappresentanti i pareri necessari alla migliore amministrazione della cosa pubblica a livello comunale,provinciale,statale.
    Che in tale concezione si riflettesse il ricordo della tradizione,particolarmente gloriosa soprattutto nel Regno d’Italia e a Napoli,del Consiglio di Stato e degli organi consultivi periferici della pubblica amministrazione,i consigli dipartimentali e municipali dell’ordinamento francese creati nel periodo napoleonico,è indubitabile”.
    Da “Dall’Antico Regime al 1848” C.Ghisalberti
    Monica De Angelis

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  38. Alla fine del settecento, la situazione del diritto di famiglia italiano appariva ancora come un insieme di fonti eterogenee con influenze del Corpus Iuris Giustinianeo (come reinterpretato dalle glosse bolognesi e dalla tradizione romanistica),del ius feudale, del diritto canonico, oltre che dei vari statuti e delle innumerevoli consuetudini locali. Questo fu il quadro che si presentò all’ avanzata delle truppe francesi in Italia, e che creò numerosi problemi all’ adozione del Code Napoleon in questi territori: il codice francese infatti era il figlio ( sebbene molto più moderato, una sorta di compromesso tra ideali rivoluzionari e Ancien Régime) degli ideali della rivoluzione, del droit intermediaire che aveva portato su un piatto d’ argento soprattutto l’ uguaglianza, cercando di realizzarla in ogni settore anche in quello del diritto di famiglia, ed aveva introdotto in primis istituti come il divorzio, l’ equiparazione tra filiazione naturale e legittima e la parità nella successione tra uomini e donne. L’ Italia dei primi dell’ ottocento non poteva, con il suo retaggio storico, accettare di sana pianta principi che non erano condivisi dalla società, e i problemi più grandi si ebbero appunto nell’ ambito della famiglia, che toccava il sociale da vicino, suscitando profonde reazioni da parte della società. Anche durante il periodo della Restaurazione infatti la politica legislativa si fissò su un elemento comune: anche dove l’ eredità della codificazione napoleonica fu accettata in parte o fu presa a modello successivamente, i problemi sorsero nell’ ambito del diritto di famiglia e degli istituti successori ad esso collegati ( cosa che invece non si verificò per istituti come la proprietà, le obbligazioni, il commercio e i contratti ad esempio). Significativo è il decreto del 5 maggio 1814 del governo repubblicano di Genova che esprime in maniera sintetica le linee principali del compromesso realtà napoleonica- italiana:
    “ è abolito il Codice civile per tutto ciò che riguarda gli atti dello stato civile, circa le formalità delle celebrazioni dei matrimoni, il divorzio, la comunione dei beni fra coniugi, le successioni intestate e il diritto di legittima a contare dal giorno 11 aprile 1814. Sono ripristinate per questi oggetti, a cominciare da detta epoca, le antiche leggi della Repubblica, che erano in vigore sia nell’ anno 1797 che nell’ anno 1805, prima dell’ epoca della promulgazione nello Stato Genovese del Codice Civile”.
    Si ritorna quindi a un problema di rapporto tra diritto civile e canonico in ordine alla famiglia, escludendo il matrimonio civile e il divorzio; i registri famigliari (nascita, matrimonio, morte) tornavano nelle mani dei parroci. Con l’ eccezione dell’ ABGB, la figura della donna tornava alla sua condizione di inferiorità, sia nei rapporti con il marito che nelle successioni : si regredisce a un sistema famigliare settecentesco, con un generale ritorno alla famiglia di tipo agnatizio.

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  39. scusate manca la prima parte. Non riesco a pubblicare i miei commenti, chi fosse interessato mi contatti per mail.

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  40. Percorso riassuntivo delle fasi più importanti della Storia dell’Italia dalla sua unificazione al 1900:

    - Nel 1949 nominato Presidente del Consiglio Massimo D’Azeglio, che si propose tra i suoi obiettivi principali quello della difesa della Costituzione. Infatti egli proponeva un’interpretazione alla lettera dello Statuto Albertino (nulla di più, nulla di meno dello Statuto).
    - In contrasto con l’opinione di D’Azeglio spicca, in quegli anni, la figura di Camillo Benso conte di Cavour, che detestava la politica carlo-albertina tanto da militare tra le file della Giovine Italia, anche se ne definirà poi i suoi seguaci dei cervelli bruciati. Inizialmente si occupò soprattutto di politiche agricole. Ma espresse il suo impegno politico nel 1847 con la fondazione del quotidiano Il Risorgimento, che prevedeva una ristrutturazione delle istituzioni politiche piemontesi e la creazione di uno Stato unito anche territorialmente. Cavour fu poi chiamato a far parte del gabinetto D’Azeglio come ministro dell’agricoltura, del commercio e della marina. In seguito fu nominato Ministro delle Finanze e infine Ministro del Consiglio nel 1852. Per quanto riguarda la politica interna egli voleva fare del Piemonte uno Stato costituzionale, fondato su di una base liberal-moderata. Egli rafforzerà il potere del Parlamento e del Governo per sopperire alle ambiguità che lo Statuto aveva creato riguardo il rapporto re-governo. Inoltre nonostante lo Statuto attribuisse al Presidente del Consiglio un mero ruolo da primus inter pares, Cavour, assunse un ruolo primario all’interno del gabinetto riuscendo ad imporre la propria linea politica a tutto l’esecutivo. Da qui si evince la posizione cavouriana di aggiornare ed interpretare lo Statuto Albertino.
    - Nel 1859 i Savoia, con i francesi, sconfiggono gli Austriaci ottenendo la Lombardia, l’Emilia Romagna e la Toscana.
    - Nel 1860 con lo “sbarco dei mille” di Garibaldi si avrà l’annessione del Regno delle Due Sicilie.
    - Il 17 Marzo del 1861, con la prima seduta del Parlamento Italiano, nasce il sistema politico italiano.
    - Guerra Austro-prussiana, grazie alla neutralità italiana, ottenute le regioni del Veneto e del Friuli.
    - Nascita del Regno d’Italia vista come un continuum di quello di Sardegna: lo Statuto Albertino era già stato adottato nel 1848 e la numerazione dei re continua da quella sabauda.
    - 1861-1876, governo della destra storica: cerca di unificare lo Stato con l’aiuto delle potenze europee, garantire l’ordine pubblico combattendo il brigantaggio e risanare il bilancio.
    - 1876-1900, governo della sinistra storica: prima De Pretis, sinistra liberale, e poi Crispi. Si delinea in questi anni lo Stato di diritto che possiede una sua sovranità non identificabile né nel re, né tantomeno nel popolo. Crispi cerca infatti di riformare l’organizzazione centrale e periferica dello Stato per rafforzarne lo Stato.

    Ylenia Coronas

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  41. Dopo l’approvazione dello Statuto Albertino, Massimo D’Azeglio, a capo del governo, attua un programma di riforme degli istituti giuridici del Regno di Sardegna. La separazione tra Stato e Santa sede inizia nel 1848 quando viene concessa la libertà di culto ai valdesi e viene garantito il principio di non discriminazione. Il guardasigilli Siccardi propone delle leggi in cui abolisce alcuni privilegi goduti dal clero, conformando la legislazione piemontese al resto di Europa. Le leggi Siccardi (leggi separatiste) n°1013 del 9 aprile 1850 e n°1037 del 5 giugno 1850 sono sostenute dalla società mentre si oppongono ad esse i cattolici. La Chiesa, infatti, perde tre dei suoi più importanti privilegi, risalenti all’antico regime:
    1) il diritto di asilo: rendeva impunibili coloro che si rifugiano nelle chiese;
    2) il foro ecclesiastico: era il tribunale che sottraeva gli uomini di chiesa alla giustizia laica;
    3) la manomorta: rendeva inalienabili i possedimenti ecclesiastici, quindi, gli immobili non potevano essere venduti senza l’autorizzazione organizzativa.
    Le Leggi Siccardi rappresentano una violazione unilaterale del Concordato tra Santa Sede e il Regno di Sardegna, questo attrito porterà all’istituzione del matrimonio civile. L’opinione dei cattolici, all’entrata in vigore delle leggi, si divede: i cattolici intransigenti oppongono resistenza mentre i cattolici liberali accettano di buon grado questa riforma. Cavour, in seguito, essendo anticlericale inasprisce il suo atteggiamento contro la Chiesa sopprimendo sia le Dame del Sacro Cuore che la Compagnia di Gesù, i cui componenti, non piemontesi, furono espulsi. Questo atteggiamento anticlericale sarà ripreso dalla Legge Rattizzi che abolisce i benefici semplici (fedecommessi) e gli ordini ritenuti privi di utilità sociale (educazione, assistenza…) espropriando i conventi. Inoltre, Rattizzi istituisce la Cassa ecclesiastica, una persona giuridica distinta dallo Stato, che requisisce i beni sottratti ai conventi.

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