mercoledì 20 aprile 2011

Savigny e l'Università

Se trovate testi sulla riforma universitaria di von Humboldt e sul contributo di Savigny al riassetto delle università tedesche inserite commenti a questo post.

24 commenti:

  1. La sconfitta della Prussia da parte della Francia ha portato ad una riforma dell'istruzione da parte di Berlino studioso Wilhelm von Humboldt (1767-1835). La sua riforma nelle scuole secondarie hanno plasmato il sistema tedesco educazione al giorno d'oggi. Ha richiesto a livello di formazione universitaria per insegnanti delle scuole superiori e modernizzato la struttura e il curriculum del Gymnasium, la scuola preparatoria. Ha anche proposto una fase di orientamento, dopo la palestra e un esame di qualifica conosciuta come la maturità per l'ammissione all'università. Nel 1810 fondò l'Università Humboldt di Berlino, che oggi porta il suo nome. Humboldt ha anche introdotto i tre principi guida che le università tedesche fino al 1960: la libertà accademica, l'unità di insegnamento e di ricerca, e di auto-governo da parte dei professori.

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  2. Ho trovato questo link che trovo di particolare interesse: http://books.google.it/books?id=aRW-4q_QUm0C&pg=PA234&lpg=PA234&dq=savigny+universit%C3%A0&source=bl&ots=lS9kgRSa_j&sig=oM05a4PB1Ut_Jq67Grf09A5eHjA&hl=it&ei=qRCwTZUdy5w6sqHFiAk&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=7&ved=0CE0Q6AEwBg#v=onepage&q=savigny%20universit%C3%A0&f=false

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  3. In genere, è possibile riconoscere, attorno agli inizi del XIX secolo, una crescente affermazione dell’istruzione universitaria quale istituzione socialmente necessaria; questo ne faceva un organismo potenzialmente aperto ad ampi strati della popolazione.
    D’altra parte, se cerchiamo i prototipi strutturali dell’Università contemporanea, sono ben individuati i paesi cui prestare attenzione: si tratta di Germania, Francia e Gran Bretagna (gli Stati Uniti infatti, possono in tale contesto essere assimilati alla “madrepatria”). Questi, del resto, sono anche i paesi in cui si può attestare la nascita e lo sviluppo di processi rivoluzionari, contrassegnati chiaramente da una diversa natura (filosofica, per quanto attiene la Germania; politica, per quanto attiene la Francia; industriale, per quanto concerne l’Inghilterra).
    Quello che avviene in Germania ed in Francia, nel periodo ricordato, traccia una vera e propria ristrutturazione ab imis dell’istituzione universitaria, la quale, com’è noto, poteva vantare una storia plurisecolare: le prime università fanno la loro comparsa in Europa verso il XII secolo, contrassegnate in origine da una sostanziale autonomia, anche dal punto di vista organizzativo; le comunità universitarie infatti, rimanevano ben distinte dal potere politico, cui tuttavia l’élite intellettuale del tempo era partecipe. Si trattava dunque di organismi lontani dal poter essere assimilati ad istituzioni di natura pubblica, poiché non necessitavano, per portare avanti la loro attività, di una concessione regia, né tantomeno di un riconoscimento da parte del potere pubblico. Il che era legato al loro carattere “privatistico”, tenuto conto del fatto che si basavano su una sorta di patto associativo tra docenti e discenti.
    Solamente col Rinascimento le università si elevano ad istituzioni pubbliche, assumendo il carattere di strumenti posti al servizio del potere pubblico. A questo asservimento rispetto allo Stato corrisponde una sostanziale gestione di segno religioso, che dà un’idea dell’effettivo azzeramento di quell’autonomia originaria e della generica assunzione di un’unica finalità, ossia quella di creare personale qualificato da impiegare all’interno degli apparati statali.
    Arriviamo dunque al XIX secolo che, a fronte di università oramai totalmente assorbite nei meandri dello Stato, dà spazio alla prospettazione di progetti di riforma, per lo più volti a riportare le stesse ad un certo grado di indipendenza e di capacità autodeterminativa (secondo alcuni, importante in tal senso è lo sviluppo della scienza giuridica amministrativa, attestabile diffusamente a livello continentale).

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  4. (continua)

    Se in Francia prevale la necessità di rifondare un’istituzione abolita nel 1793, sotto i colpi della Rivoluzione, in Germania prevalgono linee guida filosofiche: si cerca di creare un’università che giunga all’elaborazione di una scienza funzionale, e che si conformi quale libera comunità fondata sulla collaborazione di ricercatori, insegnanti e allievi.
    Il paradigma tedesco è fornito da Wilhelm von Humboldt, fondatore nel 1809 dell’ Alma mater beroliniensis, dal 1949 conosciuta appunto col nome di Humboldt-Universität. Principale ispiratore e teorico di questa nuova fondazione, von Humboldt promosse un'idea di università riassunta dal motto “libertà e solitudine” (Freiheit und Einsamkeit), ad indicare la sua (recuperata) autonomia ed il suo allontanamento dal flusso delle contingenze sociali.
    Humboldt aderiva al c.d. filantropismo, un movimento pedagogico riformista sorto in Germania nel XVIII secolo sotto l’influenza dell'illuminismo. L'idea di base del filantropismo consiste nel coltivare il rispetto e l'amore per ogni uomo, per favorire uno sviluppo equilibrato ed armonico dell'individuo. Come è possibile leggere nello scritto di Silvia Caianiello “Scienza e tempo alle origini dello storicismo tedesco”, Liguori, 2005, p. 214:
    “Il rapporto di Humboldt con il filantropismo era stato diretto ed intenso. Joachim Heinrich Campe era stato precettore dei fratelli Humboldt dal 1769 al 1776, prima di assumere la direzione del Philantrhopinum di Basedow a Dessau”.
    Del resto, seguita la Caianiello:
    “Il progetto dei filantropisti per una riforma del sistema educativo va collocato nel contesto di una crisi profonda dell’istruzione, specie superiore, e dell’idea di cultura sulla quale era incentrata: la crisi del modello dello allgemeines Gelehrtentum, privo ormai di prestigio sociale, che appariva così irreversibile che Campe propose, nel 1792, l’abolizione delle università, e la ristrutturazione della educazione superiore in nuove Hochschulen e in accademie professionali”.

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  5. (continua)

    Quanto alla fondazione di istituti di insegnamento a contenuto tecnico, sarà necessario attendere la seconda metà dell’Ottocento, quando lo sviluppo industriale e la necessità di una maggiore specializzazione dal punto di vista professionale, si rifletteranno sul mercato del lavoro, rendendo imprescindibile la disponibilità di un’istruzione di tipo specialistico; è in questo periodo difatti che si può assistere alla creazione di Technische Hochschulen: risale al 1879, per esempio, la fondazione della Technische Universität Berlin, continuazione di antiche istituzioni scientifiche come la Bergakademie (1770), la Bauakademie (1799), e la Technischen Schule (1821). Questi nuovi tipi di Hochschulen sono peraltro destinati a guadagnare, sul piano internazionale, la funzione di modello, entrando in competizione con il modello delle facoltà universitarie: in proposito, può notarsi come i sudetti Politecnici assicurassero da una parte, la garanzia di una nuova dinamica al sistema educativo-formativo tedesco, dall’altra, la possibilità di allentare il legame che avvolgeva le università allo Stato (se non altro in vista della circostanza per cui l’istruzione di tipo tradizionale risultava essere volta alla formazione di una classe dirigente successivamente incamerabile nei ranghi dell’organizzazione statale, mentre l’istruzione offerta dai Politecnici, era funzionale alla formazione di competenze professionali direttamente spendibili nel nascente mercato del lavoro).

    Tornando alla riforma humboldtiana, la cui originalità e validità sono confermate dal fatto che le trasformazioni da essa apportate costituiscono, ancor oggi, parte integrante della politica per l’istruzione superiore in diversi paesi europei, si legge nell’articolo “Lineamenti dell’evoluzione dei sistemi universitari in Europa”, tratto dalla rivista dell’Unspur (Unione Sindacale Professori Universitari di Ruolo), UNIVERSITA’/notizie n. 4 – 2009:

    “In Germania gli anni decisivi per l’evoluzione del sistema universitario sono quelli del primo decennio del XIX secolo, durante i quali è W. Von Humboldt a reggere il dipartimento dell’istruzione e del culto del ministero prussiano dell’interno. Le idee guida, essenziali per il processo di realizzazione di un’università moderna ed efficiente, sono state innanzitutto quelle dedotte dalla nozione di università vista sotto il profilo di un’istituzione per l’educazione e la formazione accademica che interagisce con uno spazio culturale che travalica gli angusti confini del singolo Stato nazionale. E’ stata proprio l’idea di un “ente senza confini” a suscitare un forte interesse a livello internazionale. Molti Stati europei hanno impresso in questa direzione una forte spinta innovativa dalla quale mutuarono gli elementi strutturali più importanti. In effetti, il contributo maggiore per il superamento di un modello “nazionale” è derivato dalle idee di Humboldt, la cui essenza si può schematicamente condensare nell’unità dell’insegnamento e della ricerca, nella libertà delle arti e delle scienze e, soprattutto, nell’autonomia delle università di disciplinare i propri affari interni e accademici”.

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  6. (continua)


    Sostanzialmente, si individua il tratto saliente del modello tedesco ideato da Humboldt nella capacità di unificare in una sola istituzione l’insegnamento e la ricerca scientifica, per realizzare una forma di preparazione che non fosse puramente professionale e burocratica, ma che consentisse, al contempo una crescita culturale della nuova borghesia tedesca in formazione.
    Si legge ancora nell’articolo citato:
    “Gli altri punti distintivi, che hanno fatto del modello tedesco un esempio cui ispirarsi, sono la spiccata autonomia, la dichiarata libertà di ricerca, lo stretto collegamento fra scienza e insegnamento, ed infine, ma non ultimo per importanza, la concomitanza delle proprie finalità con le esigenze concrete del potere politico. E’ lo Stato stesso, infatti, che fa convergere con le proprie le finalità dell’istruzione superiore”.
    Per quanto concerne la cultura giuridica, deve peraltro sottolinearsi come l’Università di Berlino arriverà ad ottenere un ruolo di primo piano, anche grazie al contributo di Savigny, chiamato da Humboldt quale professore di diritto romano – senza dimenticare nomi egualmente significativi e prestigiosi della cultura tedesca, come Fichte, il filosofo e teologo Schleiermacher, il filologo classico Wolf (altro esponente del neoumanesimo tedesco, ed allievo, con Humboldt, di Heyne nell’Università di Gottinga), senza dimenticare lo storico Niebuhr.
    Come si legge nel libro di Marini “Friedrich Carl von Savigny”, pubblicato Guida Editore nel 1978, p. 74:
    “Nel 1810 Savigny è a Berlino, professore di diritto romano. Humboldt lo aveva segnalato come colui “dal quale il re si poteva aspettare l’approfondimento della coscienza giuridica”. Fece parte del cenacolo degli organizzatori del nuovo centro di studi; volle che gli studi giuridici si svolgessero su una salda base romanistica. Comincia le sue lezioni berlinesi il 10 ottobre 1810; stringe, di lì a poco, rapporti d’amicizia con Niebuhr e con Eichhorn; è ammesso all’accademia delle scienze”.

    L'ambiente berlinese si contraddistingue dunque, fin dall'inizio, per la possibilità di instaurare relazioni culturali ricche e varie, bel lontane dalle ristrette cerchie provinciali. Forse proprio le novità di questo ambiente consentiranno a Savigny di gettare le basi delle tesi programmatiche della scuola storica, permettendo un approfondimento del carattere storico del diritto.

    Alessia Guaitoli

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  7. La riforma universitaria di Humboldt e l’opinione di Savigny sugli atenei italiani
    Wilehlm Von Humboldt, uomo di stato, filosofo e linguista si occupò molto del sistema scolastico nell’800. Egli ha concepito l’istruzione universitaria come istruzione non specialistica. Infatti era compito dello stesso studente costruire il suo curriculum in base ai suoi interessi, non solo generali, ma anche specifici e concreti rispetto al mercato culturale offerto in quel periodo. Inoltre nell’università tedesca tradizionale non erano visti di buon occhio coloro che avevano studiato nella propria città: rappresentava una forma di pigrizia mentale. Ma comunque la cosa più importante era sicuramente la Bildung, ossia la formazione. Il modello di Humboldt ha avuto una larga diffusione su scala mondiale, anche se nell’età positivistica si è confrontato col fatto che le università fossero centri di ricerca piuttosto che centri di formazione dell’uomo. Non si formava dunque più l’uomo humboldtiano, ma l’uomo specialista, all’interno di laboratori dentro le stesse università. Humboldt ambiva ad un’università in cui veniva realizzato il binomio ricerca-didattica in nome del progresso della nazione. Ciò naturalmente col fine di formare l’elite. Modello poi travolto nel secondo dopoguerra a causa della proliferazione di luoghi di creazione della conoscenza, della nascita dell’università di massa e dell’indebolimento degli stati nazionali a favore di spazi sovranazionali.
    Savigny studiò presso il modello universitario di Humboldt, ma fu da subito interessato al mondo universitario italiano, pur non dimenticando il riferimento tedesco inteso come sede naturale della ricerca scientifica. Quando egli arrivò in Toscana, si fermò solo a Firenze, città senza ateneo, ma espresse giudizi negativi sui professori delle Università di Pisa e Siena, dediti per lo più all’attività forense e all’insegnamento del diritto romano, in uno Stato ordinato secondo un sistema di diritto comune, solo su vecchi testi e senza una corretta prospettiva storica ed un adeguato inquadramento sistematico. Tali valutazioni sono apparse nel saggio über den juristischen Unterricht in Italien, pubblicato nel 1828 nella rivista fondata da egli stesso assieme a Karl Friedrich Eichhorn, la Zeitschrift für geschichtliche Rechtswissenschaft. Ma la situazione didattica in cui era La Sapienza di Roma, sembrò a Savigny, migliore di quelle precedenti università. Ciò è ricavabile dalla lettera a Capei, pubblicata dal Maffei e dall’Unterricht, ma anche dagli appunti conservati a Marburg. Dunque le lezioni di diritto romano di C.G.Villani colpirono lo studioso tedesco non solo per l’utilizzazione del Gaio veronese, ma anche per la forma seminariale e per la ricerca dal docente del colloquio con gli studenti. Esse segnavano un definitivo superamento dell’antico sistema di dettatura, già proibito dalla riforma di Leone XII. Tuttavia il livello di preparazione scientifica dei professori della facoltà giuridica romana era piuttosto basso. Anche riguardo l’Unirvesità di Napoli Savigny non riportò un’impressione positiva. Registrò di nuovo la preminenza dell’attività forense svolta dai docenti e la mancanza di un aggiornato indirizzo didattico-scientifico nell’insegnamento e nello studio del diritto romano. Sempre dai suoi appunti si può ricavare il nome del suo principale informatore: il giurista Nicola Nicolini, uno dei maggiori esponenti della tradizione storico-giuridica di Vico della cultura meridionale ed estimatore della Geschichte. Perciò possiamo notare come nel 19° secolo esisteva in Italia una vera e propria contraddizione tra il mondo universitario caratterizzato dalla tradizione scientifica ormai inaridita e condizionata dalla censura ed il mondo dei circoli intellettuali e delle istituzioni culturali (accademie, biblioteche) con il quale Savigny strinse legami stimolanti e duraturi.

    Ylenia Coronas

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  8. In Germania furono la rivoluzione francese e le guerre napoleoniche a porre le fondamenta per una riforma del sistema educativo. L'effetto di tale riforma si estese sino a coinvolgere prima le superiori, considerata la culla delle future èlites, poi tutti gli ambienti educativi. La particolarità della riforma nell'ambiente tedesco fu quello di eliminare lo stretto rapporto esistente tra lo stato, l'economia e l'istruzione superiore. Infatti nel periodo delle crisi economiche, le università e le scuole superiori rappresentarono uno sfogo alla disoccupazione, in quanto mezzo per accedere alla pubblica amministrazione. Purtroppo ciò non portò ai risultati sperati e finì per contribuire alla creazione di un "proletariato intellettuale". Sino al 1810, anno della riforma di Von Humboldt, il sistema prussiano era un sistema aperto, amministrato dallo stato e staccato dal sistema educativo. Le idee del ministro Von Humboldt si contrapponevano a quelle napoleoniche preferendo un sistema universitario fondata sulla ricerca. Essa si basava su due caratteri importanti, la presenza dello stato e la divisione di status socio-culturale tra il curriculum classico e quello scientifico-pratico. Entrambi erano legati all'ambiente economico e sottoposti all'influenza statale. Per tutto l'ottocento, due erano le carriere esistenti; quella accademica ottenuta con un curriculum classico che apriva le porte alla burocrazia e alla professioni intellettuali, e quella pratica che invece permetteva l'ingresso nel mondo dell'industria e del commercio.
    L'accesso alle università era poi subordinato all'ottenimento dell'Abitur che si acquisiva solo con il curriculum classico o il Gymnasium alle scuole superiori. Non si otteneva invece con le scuole tecniche che prendevano il nome di Realschulen. In questo modo si garantiva una selezione sociale degli studenti universitari tale da portare alla formazione di un'èlites ed a università costituite dal binomio ricerca-didattica.
    La situazione in Francia fu influenzata dalle riforme di Napoleone che posero al vertice del sistema educativo le facoltà universitarie ed al centro le Grandes écoles. Si mirava ad un'istruzione pratica e professionale in ogni campo. Modificarono i curriculm scolastici così da evitare lo scontro fra il percorso classico e quello moderno. Molti erano però anche le analogie tra i due sistemi. Apparvero infatti nel 1802 i Lycess sul modello dei Gymnasium tedeschi e l'introduzione del Baccalaurate analogo all'Abitur. Uguali erano anche gli obbiettivi delle riforme nei due stati. Esse miravano alla laicizzazione dell'istruzione, l'esclusivo dominio statale e la formazione delle èlites nazionali e professionali. Nonostante tutto ciò, in Francia molti settori dell'educazione rimasero nelle mani del potere ecclesiastico.

    Rebecca Lentini

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  9. In Germania le cattedre universitarie ospitavano una concentrazione di grandi pensatori che contribuivano a tenere vivo lo studio delle discipline filosofiche, ormai subentrate alla teologia nella leadership intellettuale dell'epoca, soprattutto a partire da Kant. A differenza di quanto accade in altre aree geografiche, fra il XVIII e il XIX secolo i massimi esponenti della cultura tedesca erano professori universitari, ed in non pochi casi decani o rettori. La vivacità culturale delle università tedesche fa sì che si mantengano vivi gli ideali di libertà di ricerca e l'apprezzamento per le discipline speculative, proteggendo l'istruzione, almeno per il momento, da una sua involuzione pragmatica. Molti di questi pensatori dedicano un'esplicita riflessione a temi educativi e alla vita universitaria: da Il conflitto delle Facoltà (1798) di Kant, a L'insegnamento della filosofia nelle università (1816) di Hegel; dalle Quattordici lezioni sul metodo dello studio accademico (1803) di Schelling, alle Considerazioni occasionali sulle università in senso tedesco (1808) di Schleiermacher. Fichte, primo rettore eletto nella nuova università di Berlino (1810) si occuperà dell'università in diversi saggi, fra cui le celebri Lezioni sull'essenza del Dotto e le sue manifestazioni nel campo della libertà (1806) ed il Piano dedotto di un Istituto da fondare a Berlino (1807). Ma saranno soprattutto i numerosi scritti di Wilhelm von Humboldt, direttore del Dipartimento di Culto e di Pubblica Istruzione del ministero degli interni di Prussia, a rivestire un’influenza più duratura. Principale ispiratore e teorico della nuova fondazione berlinese, Von Humboldt si fece promotore di un'idea di università riassunta dal motto «libertà e solitudine» (Freiheit und Einsamkeit), termini che indicano la sua autonomia ed il suo relativo distacco dal flusso e riflusso delle contingenze sociali, due atteggiamenti indispensabili per conservare quella prospettiva di saggezza capace poi di tramutarsi in efficace servizio alla comunità umana.
    Il modello universitario proposto per Berlino da Wilhelm von Humboldt, e successivamente esteso a tutta la Germania, non si pone l'obiettivo di trasmettere professionalità e tanto meno di fornire una formazione specialistica, quanto piuttosto di configurarsi come una comunità di formazione e ricerca che contribuisce all'elaborazione e allo sviluppo di una scienza disinteressata, organica e “unitaria”. Tale comunità è caratterizzata da due concetti articolati nella pratica in cui si condensa lo spirito dell'università ideale secondo Von Humboldt: libertà e solitudine (Freiheit und Einsamkeit). La libertà si esprime concretamente nella rivendicazione della libertà d'insegnamento e di ricerca da parte dei docenti, nella strenua difesa dell'autonomia/autogestione(Selbstverwaltung) della comunità universitaria rispetto a eventuali pressioni provenienti dalla società, a proposito della gestione delle risorse e dell'assegnazione delle cattedre, e nella libertà dei discendenti di sottoporre a dibattito, critica e confutazione, l'insegnamento dei docenti. La “solitudine” è quasi una diretta conseguenza della libertà, esprime l'idea di una comunità scientifica che vive un'esperienza esistenziale con forti connotazioni di “sacerdozio laico” o addirittura di comunità claustrale. Il rifiuto di matrice humboldtiana, di una funzione professionalizzante di università è una ragione non secondaria della particolarità del sistema formativo superiore tedesco in cui esistono le Fachhochschulen, istituzioni apposite, distinte dalle università in cui trova posto la formazione professionale superiore.

    (continua)

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  10. testo di Lucio Maria Lanzetti su Humboldt e l'Università:
    Modelli di Università a confronto
    ho trovato nella rete vari articoli, alcuni anche recentissimi data l'importanza attuale del tema della riforma dell'Università Italiana. cerco di riassumere per quanto possibile le nozioni che ho ritenuto importanti, per altre cose posto in calce i link ai materiali.
    - come prima cosa, è chiaro che la nascita dell'Università "moderna" deve esser fatta risalire al Medioevo, con Bologna, Irnerio e i 4 dottori, più o meno intorno al X-XI secolo: fenomeno centrale per la diffusione e la conservazione del diritto e della cultura durante l'età di mezzo, ha sicuramente un fine non soltanto di formazione ma anche economico: erano gli studenti a pagare personalmente i corsi dei Docenti, mediante un canone detto "collecta" in un rapporto che potremmo quasi definire contrattuale, di apprendistato. I professori infatti crearono ben presto una forte corporazione con un proprio status, mentre gli studi accademici non erano orientati a formare una professione tranne che all'insegnamento stesso, ma comunque costituivano il punto di partenza per incarichi di prestigio: consilia nei tribunani, ambasciatori e diplomatici. di rilevante va sottolineato come pressochè ovunque nell'Europa medievale i principi, i sovrani, gli imperatori, tendessero a fondare con delle patenti gli atenei, forse aspettandosi la gratitudine dei fruitori ma soprattutto qualcosa di più tangibile: un sostegno intellettuale contro le tendenze centrifughe coeve. tra gli interventi normativi va citata la Costitutio Habita del 1155, concessa da Federico Barbarossa, che riconosce lo Studium bolognese, concede privilegi a docenti e discenti ponendoli sotto la tuitio imperiale (diritto e privilegio della sicurezza del movimento e di residenza in ogni sede universitaria;la giurisdizione sugli scolari poteva essere esercitata dai maestri, un po' come accadeva per i Chierici). da tener presente come il termine "universitas" sia successivo alla nascita dei primi atenei: si parlava di "comitivae", "communitates", "consortia". solo nel XIII secolo il termine universitas inizia a comparire e a designare l'insieme delle comitivae, che si riferiscono ormai al gruppo di studendi più vicini al Maestro. Universitas quindi come frutto della tendenza associativa del medioevo, che nel significato del tempo indicava il fenomeno corporativo (tra docenti, tra discenti, tra entrambi) che ne stava alla base; altro termine spesso usato nei testi è quello di "studium generale", con significato più preciso, sia che in quel luogo convenivano studenti di varia provenienza, sia che il titolo rilasciato era accettato ovunque. questa struttura rimarrà pressochè inalterata fino al 1800
    continua

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  11. - il modello tedesco fondato sulla ricerca può ritenersi esistente grazie all'opera di Savigny ma soprattutto di Wilhelm von Humboldt, fondatore dell'università di Berlino nei primi anni dell'800. la costruzione humboldtiana ruota intorno a due perni centrali: la "Lernfreiheit", libertà di studiare, il precursore del nostro fantomatico diritto allo studio e la "Lehrfreiheit", libertà di insegnare. questi principi si traducono nell'assoluta libertà per i professori di esprimere ogni opinione e nell'assoluta libertà per gli studenti di studiare ogni tipo di argomento in qualsiasi ateneo vogliano. la critica di Humboldt riguarda la distinzione tra le facoltà c.d. scientifiche che utilizzano la ricerca e le facoltà c.d. umanistiche che operano un insegnamento dogmatico dei testi: secondo lui, è necessaria una compenetrazione di queste tecniche didattiche, proponendo un "equilibrio" tra le facoltà, abbandonando distinzioni tra le varie discipline, perchè scopo della ricerca è contribuire comunque alla formazione conoscitiva dello studente. nasce qui la valorizzazione del "seminario", come metodo fondamentale per il sistema di studio nell'Università, che riunisca docenti e discenti interessati ad un certo tema in un contatto reciprocamente proficuo. questo modello ha molta fortuna in Germania, trova sostenitori in Max Weber ("le università devono rispondere alle due esigenze della ricerca e dell'insegnamento") e in Karl Jaspers che identifica 3 funzioni inscindibili dell'università: ricerca, insegnamento, trasmissione della cultura, in quanto l'università è "simultaneamente una scuola professionale, un centro culturale e un istituto di ricerca". il compito di rendere tutto ciò possibile, da Humboldt in poi, spetta allo Stato, poichè cosi prepara i giovani a partecipare attivamente alla società. l'altro punto chiave delle teorie humboldtiane sta nell'aver reso il mondo accademico indipendente dall'economia e dalla politica: con queste riforme, anche durante parte del '900 gli atenei tedeschi sono stati il modello da seguire in Europa per efficienza e qualità.
    continua

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  12. - l'Università-Impresa: dagli anni '60-'70, è iniziato il processo verso una riforma che non dovrebbe intaccare in superficie il modello humboldtiano, ma che ha in definitiva finito per sovvertirlo. parliamo dell'università imprenditrice, creata da Margaret Thatcher in Inghilterra e diffusa in tutta Europa: l'università che si fa imprenditrice, entra in concorrenza con tutte le altre e si appropria di vocaboli impensabili ai tempi di Irnerio e Humboldt: bilancio, eccellenza, innovazione, studenti-clienti, produttività, ranking e graduatorie. lo strumento per ottenere questi risultati è stata la burocratizzazione del rapporto tra Stato e Università, la nascita di Università gestite da privati o lentamente trasformate negli organismi civilistici di Società di persone o di Società di Capitali, con un proprio Cda, un proprio bilancio, in una corsa continua per l'ottenimento di finanziamenti (dallo Stato prima, dall'Unione Europea dopo) che forse, forse, può dar luogo a perplessità sulla funzione che esercita l'università nel sistema contemporaneo: è una fabbrica di studiosi e di sapienti, o una macchina per far soldi?
    - il declino e la riforma della Germania: dal secondo dopoguerra il modello tedesco ha iniziato a perdere colpi, il tutto accentuato dalla forma di stato federale, che comporta una ripartizione di competenze legislative ed amministrative tra Bund e Lander: in particolare, al Bund nella materia dell'istruzione superiore spetta la fissazione del quadro normativo generale, ai Lander invece il finanziamento e la gestione degli atenei. il risultato spesso è una inutile duplicazione di interventi e una grande disparità tra Land e Land (ad esempio, a Berlino gli studi accademici sono completamente gratuiti, non si pagano tasse; in Baviera invece le tasse si pagano). nel 2002 c'è stata una riforma che non ha prodotto gli esiti sperati: si è istituito un sistema di 3+2 con il titolo triennale di "Bachelor" (preso dal modello anglosassone) e quello finale di "Master". secondo alcuni, la riforma ha prodotto un abbassamento degli standard qualitativi d'insegnamento e anche in Germania la "fuga dei cervelli". il nuovo progetto riformatore, iniziato da Schroder e continuato dalla Merkel, riguarda la creazione del sistema delle Elite-Universität, delle università d'eccellenza, ossia una selezione di un ristretto numero di atenei (una decina), operata da esperti tedeschi e stranieri, che meritino il patentino di centri d'eccellenza e formino i talenti migliori, con il risvolto economico che questa selezione provoca un maggior introito di finanziamenti per i centri d'eccellenza e una distinzione tra Università di serie A e di serie B, con polemiche già scoppiate e ampiamente prevedibili, in cui si insinuano dubbi se la scelta è fatta con criteri meramente meritocratici o anche politici. una chicca finale: in Baviera, ha aperto la McDonald's University, che forma gli esperti di "Restaurant Assistant Manager". chissà che ne pensa Von Humboldt.
    Lucio Maria Lanzetti
    http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2011-03-31/luniversita-interroga-064722_PRN.shtml
    http://amsdottorato.cib.unibo.it/3160/1/Claudia_Udrescu_Tesi.pdf
    http://www.dirittoestoria.it/lavori/Didattica/Luisa%20Bussi%20-%20Storia%20delle%20Universit%E0%20medievali.htm
    http://www.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/riformista-non-dite-a-von-humboldt-che-oggi-c-e-pure-l-universita-mcdonald.flc

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  13. grazie a quell'anima pia che ha postato il mio intervento!

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  14. Molti pensano che le prime Università siano nate in Europa ma non é cosi. La prima in assoluto fu l'Universitaà di Costantinopoli, creata nell'omonica città nell' 848 ma mai risconosciuta come università dall'Occidente e chiusa pochi secoli dopo nel 1453.
    A seguire, l'università di Qarawiyyin, situata nella splendida città di Fez (in Marocco), costruita nell'859 e ancora attiva, senza interruzioni da mille anni, come università. Si tratta di uno dei centri spirituali e culturali più importanti del mondo mussulmano e i Marocchini tengono molto a far sapere di essere stati i primi ad aver dato vita ad un centro universitario. Ho avuto modo di visitarla durante un viaggio in Marocco proprio quest'anno e da qui il mio post.

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  15. Ri-posto il mio commento in quanto la seconda parte è stata eliminata:
    In Germania le cattedre universitarie ospitavano una concentrazione di grandi pensatori che contribuivano a tenere vivo lo studio delle discipline filosofiche, ormai subentrate alla teologia nella leadership intellettuale dell'epoca, soprattutto a partire da Kant. A differenza di quanto accade in altre aree geografiche, fra il XVIII e il XIX secolo i massimi esponenti della cultura tedesca erano professori universitari, ed in non pochi casi decani o rettori. La vivacità culturale delle università tedesche fa sì che si mantengano vivi gli ideali di libertà di ricerca e l'apprezzamento per le discipline speculative, proteggendo l'istruzione, almeno per il momento, da una sua involuzione pragmatica. Molti di questi pensatori dedicano un'esplicita riflessione a temi educativi e alla vita universitaria: da Il conflitto delle Facoltà (1798) di Kant, a L'insegnamento della filosofia nelle università (1816) di Hegel; dalle Quattordici lezioni sul metodo dello studio accademico (1803) di Schelling, alle Considerazioni occasionali sulle università in senso tedesco (1808) di Schleiermacher. Fichte, primo rettore eletto nella nuova università di Berlino (1810) si occuperà dell'università in diversi saggi, fra cui le celebri Lezioni sull'essenza del Dotto e le sue manifestazioni nel campo della libertà (1806) ed il Piano dedotto di un Istituto da fondare a Berlino (1807). Ma saranno soprattutto i numerosi scritti di Wilhelm von Humboldt, direttore del Dipartimento di Culto e di Pubblica Istruzione del ministero degli interni di Prussia, a rivestire un’influenza più duratura. Principale ispiratore e teorico della nuova fondazione berlinese, Von Humboldt si fece promotore di un'idea di università riassunta dal motto «libertà e solitudine» (Freiheit und Einsamkeit), termini che indicano la sua autonomia ed il suo relativo distacco dal flusso e riflusso delle contingenze sociali, due atteggiamenti indispensabili per conservare quella prospettiva di saggezza capace poi di tramutarsi in efficace servizio alla comunità umana.
    Il modello universitario proposto per Berlino da Wilhelm von Humboldt, e successivamente esteso a tutta la Germania, non si pone l'obiettivo di trasmettere professionalità e tanto meno di fornire una formazione specialistica, quanto piuttosto di configurarsi come una comunità di formazione e ricerca che contribuisce all'elaborazione e allo sviluppo di una scienza disinteressata, organica e “unitaria”. Tale comunità è caratterizzata da due concetti articolati nella pratica in cui si condensa lo spirito dell'università ideale secondo Von Humboldt: libertà e solitudine (Freiheit und Einsamkeit). La libertà si esprime concretamente nella rivendicazione della libertà d'insegnamento e di ricerca da parte dei docenti, nella strenua difesa dell'autonomia/autogestione(Selbstverwaltung) della comunità universitaria rispetto a eventuali pressioni provenienti dalla società, a proposito della gestione delle risorse e dell'assegnazione delle cattedre, e nella libertà dei discendenti di sottoporre a dibattito, critica e confutazione, l'insegnamento dei docenti. La “solitudine” è quasi una diretta conseguenza della libertà, esprime l'idea di una comunità scientifica che vive un'esperienza esistenziale con forti connotazioni di “sacerdozio laico” o addirittura di comunità claustrale. Il rifiuto di matrice humboldtiana, di una funzione professionalizzante di università è una ragione non secondaria della particolarità del sistema formativo superiore tedesco in cui esistono le Fachhochschulen, istituzioni apposite, distinte dalle università in cui trova posto la formazione professionale superiore.

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  16. (continua)

    La proposta di Von Humboldt si caratterizza per due ulteriori peculiarità: la prima è l'istituzione di un nesso strutturale delle funzioni di ricerca e didattica all'interno dell'università. Un simile nesso, storicamente, non era affatto scontato, anzi in certi periodi si erano formate istituzioni nettamente separate: da una parte le università che dovevano formare i giovani per le future professioni, dall'altra istituzioni come il Gymnasium academicum o le accademie delle scienze e dell'arte. La seconda peculiarità rilevante è il carattere “pubblico” dell'università. Proprio per le sue caratteristiche e per le sue funzioni di elemento propulsore di una scienza disinteressata l'università meritava di essere inclusa tra gli impegni primari dello stato nazionale e non poteva essere affidata ai privati o gestita con criteri privatistici. Alcune caratteristiche dell'università humboldtiana hanno le loro radici in esperienze storiche precedenti e travalicano in confini nazionali originari per iscriversi un contesti culturali molto differenti dall'Illuminismo, dall'Umanesimo e dall'idealismo tedesco. Per esempio, l'Einsamkeit e il forte senso di autoidentificazione della comunità dei docenti e dei discendenti rimandano al carattere iniziatico e coinvolgente delle scuole filosofiche elleniche sorte nei primi secoli della speculazione filosofica occidentale in Grecia e in Sicilia. Il ruolo di soggetti e per nulla subalterni degli studenti, che nella concezione humboldtiana controbilancia alla liberà di ricerca e di insegnamento dei docenti, richiama alla mente ciò che accadeva in alcune università medievali. In particolare ricorda lo Studium bolognese in cui studenti, attraverso le loro rappresentanze elettive, controllavano di fatto la gestine dell'università. A loro era riservato persino il ruolo di rettore. Più interessante è la similitudine con l'influenza che gli studenti delle università medievali esercitavano sui contenuti della didattica. Si pensi al ruolo determinante degli studenti nel proporre gli argomenti delle questiones quodlibetales, cioè di quei confronti organizzativi prima di Natale, Pasqua e Pentecoste in cui i docenti erano tenuti a sottoporre a pubblica discussione le proprie opinioni e le proprie tesi su tali argomenti.

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  17. (ultima parte)

    Contrariamente a quanto ipotizzato da Von Humboldt, l'università medievale era un'istituzione di carattere associativo privato o comunque autonomo dei confronti dello stato. Era una universitas studentium e insieme un universitas docentium, anziche un universitas studiorum. Dunque non era tanto connotata da un modello formativo unitario garantito dallo stato quanto da un accordo di tipo privatistico tra chi intendeva apprendere e chi era in grado di insegnare.
    Anche in Inghilterra si riscontra nel XIX secolo questa commistione tra aspetti riconducibili al modello humboldtiano e altri nettamente distinti. Esemplare al riguardo è il modello presentato da John Henry Newman, uno dei fondatori del “Movimento di Oxford” che ha contribuito ad una apertura delle storiche università di Oxford e Cambridge. Ciò che accomuna l'università di Newman e quella di Von Humboldt è certamente il concetto di università intesa come “ambiente formativo”, in cui la crescita personale globale degli allievi deve prevalere sull'acquisizione da parte loro di specifiche competenze e conoscenze immediatamente utilizzabili.
    Anche in altri ambiti nazionali il dibattito sull'università ha toccato nel XIX secolo questi stessi argomenti. È il caso in Italia della nota prolusione di Antonio Labriola all'università di Napoli nel 1896 in cui egli sostiene con forza e autorevolezza il principio della libertà di ricerca e dell'insegnamento nell'università.

    Valeria Nardi

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  18. Ho trovato molto interessante questo saggio della Moscati che è voltoa ricostruire, con profonda conoscenza delle fonti e sicura padronanza di una sterminata bibliografia, le tappe più significative dei viaggi intrapresi da Savigny in Italia specialmente tra il 1825 e il 1827 ed i fecondi contatti che egli riuscì ad instaurare prima, durante e dopo quei soggiorni con molti dotti italiani non sempre legati al mondo universitario.
    L'itinerario spaziale e intellettuale del giurista e storico tedesco risalta adesso con chiarezza dalla documentazione edita e inedita analizzata e ingegnosamente utilizzata dalla Moscati, che ha condotto estese indagini in archivi e biblioteche italiane e straniere e specialmente nel Nachlass Savigny della Universitätsbibliothek di Marburg e nel Von Savigny Nachlass della Universitäts-und Landesbibliothek di Münster. In primo luogo, infatti, soprattutto sulla base di documenti pubblicati ma scarsamente messi a frutto, l'A. può aggiungere «un'altra tessera» al mosaico dei corrispondenti di Savigny gettando luce sui rapporti che il maestro intrattenne sino dal 1807 con il giurista, filosofo e germanista veronese Angelo Ridolfi, docente dapprima nelle Università di Pavia e Bologna – di quest'ultima fu anche rettore nell'anno accademico 1810-11 – e poi di Padova ed intellettuale assai impegnato a diffondere in Italia la conoscenza della cultura tedesca in tutti i campi. Il Ridolfi si rese particolarmente benemerito per avere prestato aiuto a Savigny nella stesura dei primi volumi della Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter mediante il reperimento di testi e opere rare ed attraverso una corrispondenza, rimasta sino ad oggi sconosciuta, che si può ricostruire sulla scorta di alcune testimonianze fino alla metà del secondo decennio dell'Ottocento. Nel medesimo periodo fu ritrovato il testo delle Istituzioni di Gaio in un palinsesto della biblioteca Capitolare di Verona e Savigny fu avvicinato all'Italia anche da quella esaltante scoperta, da lui stesso effettuata sulle trascrizioni ricevute da Niebuhr e Göschen, ma con il grande desiderio di scendere a Verona, come conferma la solida ricostruzione di Cristina Vano ("Il nostro autentico Gaio". Strategie della scuola storica alle origini della romanistica moderna, Napoli, Editoriale scientifica, 2000, p. 174-175).

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  19. continua..
    Successivamente, nei primi anni Venti, mentre preparava il terzo volume della Geschichte, contenente una parte dedicata alle università medievali, Savigny poté avvalersi della collaborazione scientifica di altri studiosi italiani, ma non in modo diretto, bensì tramite Friedrich Bluhme, impegnato a quel tempo nella redazione del suo Iter italicum e nel completamento degli studi sul Gaio veronese. Particolarmente laboriose, in tale quadro, si rivelarono le ricerche che Savigny fece condurre sul diploma di dottorato di Amadeus Kingikolius (1276), professore a Reggio, sulle origini dello Studio di Vercelli e su un prezioso manoscritto giuridico (un exemplar) conservato nella Biblioteca vescovile di Lucca. La fama di Savigny e della sua opera si andava, dunque, diffondendo tra gli intellettuali italiani anche per merito di un suo convinto estimatore come Pellegrino Rossi, già docente nell'ateneo bolognese, che in quegli anni insegnava all'Accademia di Ginevra. I tempi erano ormai maturi per il primo rapido viaggio nelle regioni dell'Italia centro-settentrionale che lo studioso tedesco compì agli inizi dell'autunno del 1825 e sul quale purtroppo i suoi appunti inediti ed i carteggi forniscono scarse notizie: si sa, tuttavia, che non avendo potuto visitare le università del Lombardo-Veneto, chiuse per le vacanze, egli tentò di vedere almeno i cimeli che maggiormente attraevano la sua curiosità, come il palinsesto delle Istituzioni gaiane, il manoscritto ambrosiano del Breviario Alariciano e il celeberrimo codice delle Pandette fiorentine, ma riuscì a prendere visione soltanto del Gaio veronese. Di ben altra importanza e significato fu invece il secondo viaggio, che dall'estate del 1826 si protrasse sino all'autunno del 1827: un vero e proprio iter italicum, preparato secondo le indicazioni dell'esperto Bluhme, sebbene l'intenzione di Savigny non fosse tanto quella di «lavorare nelle biblioteche» quanto piuttosto di assumere informazioni scientifiche, prendere contatti con persone colte e visitare luoghi famosi, specialmente nel Granducato di Toscana, nello Stato pontificio e nel Regno delle due Sicilie. Di certo il mondo universitario degli Stati italiani continuava ad interessarlo, giacché egli teneva presente il modello humboldtiano di università intesa come sede naturale della ricerca scientifica. Giunto in Toscana, soggiornò soltanto a Firenze, città priva di ateneo, ma formulò ugualmente giudizi negativi sui professori delle Università di Pisa e Siena, quasi tutti a lui sconosciuti e dediti per lo più all'attività forense, e sull'insegnamento del diritto romano, che in uno Stato ordinato secondo un sistema di diritto comune, veniva impartito su vecchi testi e senza una corretta prospettiva storica ed un adeguato inquadramento sistematico. Queste valutazioni, che sarebbero apparse nel saggio über den juristischen Unterricht in Italien, pubblicato nel 1828 nella «Zeitschrift für geschichtliche Rechtswissenschaft», non si fondavano su esperienze dirette, bensì su dati ricavati dagli "annuari" del tempo oppure assunti da persone informate.

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  20. continua..
    . Al qual proposito occorre rilevare che la Moscati ha integrato accuratamente le notizie fornite nell'Unterricht tracciando profili dei più autorevoli docenti delle facoltà giuridiche sia del Granducato che degli altri stati visitati dal giurista tedesco e illustrando le differenze esistenti tra il modello humboldtiano e gli ordinamenti di molti atenei della Penisola, specialmente con riguardo alle modalità di reclutamento del personale docente che in Italia avveniva spesso senza tenere conto della produzione scientifica dei candidati, ma solo obbedendo a criteri di carattere pratico e ideologico. La situazione didattica nella quale versava la "Sapienza" di Roma parve a Savigny migliore di quella dell'Università di Pisa e non lo si apprende soltanto dall'importante lettera a Capei, pubblicata dal Maffei, e dall'Unterricht, ma anche dagli appunti conservati a Marburg: le lezioni di diritto romano di Carlo Giovanni Villani colpirono lo studioso tedesco non soltanto per l'utilizzazione del Gaio veronese, ma anche per l'uso della forma seminariale e per la ricerca, da parte del docente, del colloquio con gli studenti, nel superamento definitivo del sistema di dettatura, già proibito dalla riforma di Leone XII. D'altra parte, il livello di preparazione scientifica dei professori della facoltà giuridica romana era piuttosto basso e di lì a poco lo avrebbe riaffermato il cardinale camarlengo di S.R.C. Galleffi, arcicancelliere della Sapienza, nel rimettere a Pio VIII una relazione nella quale si attribuivano i «disordini esistenti» al fatto che i docenti erano privi di «gravità nel loro procedere o di sapere nell'insegnare». Anche dell'Università di Napoli Savigny non riportò un'impressione positiva: ancora una volta dovette registrare «la preminenza dell'attività forense» svolta dai docenti e la mancanza di un aggiornato indirizzo didattico-scientifico nell'insegnamento e nello studio del diritto romano. Dai suoi appunti si conosce il nome del suo principale informatore, che era il giurista Niccola Nicolini, esponente della «migliore tradizione storico-giuridica vichiana della cultura meridionale» ed estimatore della Geschichte del «sommo giureconsulto prussiano», com'egli stesso ebbe a definirlo, al punto di auspicarne al più presto la traduzione in italiano. Sempre dagli appunti savignyani si apprende che l'illustre ospite, assistendo ad una lezione del romanista Francesco Maria Avellino, dovette constatare come costui non fosse al corrente della più recente dottrina e neppure della scoperta dei Fragmenta Vaticana, sebbene godesse fama di esperto in discipline ausiliarie della storia come l'archeologia e la numismatica e risultasse iscritto da tempo all'Accademia di Berlino, nonché in contatto con numerosi studiosi tedeschi.

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  21. continua..
    A maggior ragione risultò deludente la lezione del civilista Domenico Criteni, anche per le sue modeste qualità didattiche, senza contare che a Napoli «il diritto civile veniva strutturato sul modello del codice francese» e che francese era il pensiero giuridico dominante, retaggio della dominazione napoleonica. Infine, dagli appunti molto più che dall'Unterricht emerge la consapevolezza acquisita da Savigny circa il ruolo delle scuole private di diritto in Napoli e altrove nel Regno, che egli, basandosi sull'esperienza personale e su una memoria preparata dal Nicolini e rimasta inedita, finì per ritenere più vicine al modello tedesco dei corsi universitari, sia per la durata dei cicli di lezioni sia per il metodo d'insegnamento di tipo seminariale. Come osserva la Moscati, negli anni Venti del sec. XIX esisteva in Italia una vera e propria antinomia tra il mondo universitario «caratterizzato da una tradizione scientifica ormai inaridita» e per giunta condizionato dalla censura e piegato ad esigenze di natura tecnico-professionale ed il mondo dei circoli di intellettuali e delle istituzioni culturali come le accademie e le biblioteche, con il quale Savigny poté stringere legami stimolanti e duraturi. Così fu soprattutto a Firenze, dove egli frequentò, com'è noto, il Gabinetto scientifico-letterario del Vieusseux e allacciò relazioni con storici e filologi come Tommaso Tonelli e Giuseppe Micali, con il giurista Giuseppe Poerio esule da Napoli e soprattutto con l'avvocato Pietro Capei, che sarebbe divenuto convinto divulgatore delle sue idee attraverso le traduzioni sintetiche dei volumi della Geschichte sull'«Antologia» e seguace scrupoloso ed entusiasta della sua metodologia dalla cattedra senese di "Istituzioni di diritto civile". A questo fondamentale capitolo dell'influenza savignyana in Italia la Moscati offre un prezioso contributo di approfondimento, cui deve aggiungersi un apporto ulteriore, di rilievo non trascurabile, dato contemporaneamente da Andrea Labardi con il volume La Facoltà giuridica senese e la Restaurazione, con il testo delle Istituzioni Civili di Pietro Capei (Milano, Giuffrè, 2000). Finalmente, di passaggio da Firenze durante il viaggio di ritorno in Germania, il giurista tedesco incontrò al Vieusseux anche Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi e impressionò entrambi con il fascino della sua personalità e la profondità della sua dottrina. A Roma, invece, Savigny non fu attratto dalla vita culturale di un ambiente che egli considerava troppo clericale e, pertanto, non uscì dal circolo di artisti e intellettuali tedeschi che ruotava attorno alla personalità del diplomatico prussiano Christian Carl J. Von Bunsen, se non per frequentare la Biblioteca vaticana, dove il prefetto Angelo Mai, nonostante certe incomprensioni risalenti al tempo della scoperta del Gaio veronese, lo agevolò «incredibilmente». D'altra parte nell'Urbe non esistevano centri di formazione per giuristi alternativi all'università, tant'è vero che circa venti anni dopo un acuto osservatore come il futuro cardinale Meignan avrebbe notato che il diritto nello Stato pontificio era rimasto come prima della svolta impressa da Savigny con le sue concezioni.

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  22. continua.. è l'ultimo pezzo giuro..
    Secondo la Moscati è invece di «peculiare importanza» la serie di appunti concernenti gli incontri del «sommo giureconsulto» con esponenti della cultura napoletana – anche la città del resto l'affascinò a tal segno da suggerirgli una serie di lettere alla moglie che costituiscono un vero e proprio Tagebuch – a cominciare dallo statista Giuseppe Zurlo, impegnato a lungo come ministro del Regno a reprimere gli abusi feudali, per continuare con alti funzionari, magistrati e avvocati, come Gaspare Capone, Michele Agresti, Gaetano Badolisani, Davide Winspeare, lo stesso Nicolini e Pasquale Borrelli, e giungere infine ad archeologi come Michele Arditi e Luca De Samuele Cagnazzi. Né vanno trascurate le frequentazioni delle biblioteche partenopee ed i contatti avviati e mantenuti con bibliotecari come Pelagio Rossi, che aveva già tradotto ma non pubblicato il saggio über den römischen Colonat e si sarebbe successivamente impegnato a tradurre la Geschichte, senza peraltro riuscire nell'impresa. È comunque certo che l'influenza del giurista tedesco a Napoli permase anche dopo la fine del suo lungo e graditissimo soggiorno e si propagò per merito, ad esempio, degli insegnamenti impartiti da Domenico Capitelli e Giuseppe Poerio nelle loro scuole private. In ultima analisi non v'è dubbio che il materiale documentario inedito raccolto e illustrato con tanta dovizia di particolari dalla Moscati consenta finalmente di valutare in un'ottica nuova il contenuto dell'Unterricht savignyano: se da un lato il celebre saggio crea l'impressione che l'Autore non sapesse «neppure concepire che [in Italia] i centri più vitali della scienza giuridica si trovavano al di fuori delle università», d'altro canto le sue lettere ed i suoi appunti di viaggio attestano com'egli credesse nell'opera degli intellettuali ritenuti capaci di promuovere la nascita di una nuova scienza giuridica e si adoperasse per favorirne l'azione in quelle regioni che erano state culla dell'antico diritto romano e del diritto comune medievale.
    mi spiace ma non sono riuscita a mettere il link,ma questa è una sintesi

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  23. Se a proposito della scuola storica è possibile parlare di positivismo,questo non è tanto per la riduzione storicistica del diritto al fatto ,quanto per il metodo formalistico,che l'avvicina in qualche modo alla giurisprudenza analitica di Austin,e che conduce gli storicisti a dar vita ad un tipo di scienza giuridica,che si risolverà nella costruzione di sistemi di concetti astratti.Già nella Vocazione Savigny propugnava l'elaborazione scientifica del diritto ,ed in questa elaborazione che chiamava elemento tecnico,vedeva una spontanea e non arbitraria forma di questo che si sovrapponeva ma senza alterarlo al diritto spontaneamente creato dal popolo.Questa elaborazione scientifica del diritto era stata perseguita da molti e da tempo ed era ciò che avevano inteso compiere i giuristi della scuola filosofica.Ora a tale lavoro di sistemazione logica del diritto gli storicisti offrono un materiale assai più ricco e raffinato,con la ricostruzione ,in cui eccellono ,grazie alla loro perizia storica , degli istituti del diritto romano .La tendenza ad allontanarsi dall'iniziale posizione propriamente storicistica ,per accogliere istanze razionalistiche affini a quelle del giusnaturalismo formalistico si accentua progressivamente ,a mano a mano che la sempre più perfezionata ricostruzione storica permette un'altrettanto perfezionata attuazione del programma di elaborazione scientifica.Già in uno scritto giovanile,redatto tra il 1802 e il 1803,sulla metologia giuridica, Savigny sostiene che la scienza giuridica deve essere nello stesso tempo storica e filosofica;ma filosofica non per quanto riguarda i contenuti ,non sta a significare che essa deve tener conto di qualche valore etico,significa che essa deve avere carattere logico-sistematico.L'esigenza dell'unità logica,del sistema,è presente in Savigny accanto all'esigenza della comprensione storica ,ed egli tende ad abbandonare il piano propriamente storico per porsi invece su quello formale,nella ricerca dell'intima connessione che stringe tutti gli istituti e tutte le regole del diritto in una grande unità.Questa tendenza alla sistematicità si ritrova fortemente accentuata presso Puchta,nel quale il concetto di spirito del popolo gli serve per dare unità logica al sistema che,conducendo al formalismo astratto ,ne nega le premesse storicistiche .Per Puchta il compito della scienza giuridica è riconoscere le proposizioni giuridiche nella loro connessione,le quali si condizionano reciprocamente e derivano l'una dall'altra,e sono collegate fra di loro in una connessione organica,che si spiega con la provenienza di esse dallo spirito del popolo.La scuola storica giunge a propugnare ed a realizzare una scienza giuridica costituita da una genealogia di concetti.Questo lavoro di rielaborazione concettuale e sistematica del diritto romano,che fu detta Pandettistica ,avrà un'influenza determinante sull'indirizzo della scienza giuridica del XIX secolo ,dando vita a quella che fu detta la giurisprudenza dei concetti.Il metodo di essa ,essenzialmente formalistico,si eserciterà non più solo sul diritto romano,ma anche sul diritto dei nuovi codici ,generando una dottrina giuridica che rimarrà legata ai dati giuridici positivi.La pandettistica tedesca,pur nata nel seno della scuola storica nemica delle codificazioni,preparerà la codificazione in Germania.

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  24. ho trovato un interessante testo nel quale viene ben mostrata la riforma di von Humboldt su questo sito :
    www.ceprof.unibo.it/docs/zuccolo.pdf

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