La sistematica del diritto romano attuale fonda la grande dottrina della pandettistica, fondata sui concetti. Una critica satirica di questa corrente si trova un un opuscolo di Rudolf Jhering, tradotto in italiano con il titolo "Serio e faceto nella giurisprudenza". Potete cercarlo, e potete cercare anche altri testi intorno alle origini savignyane della pandettistica.
Come anticipato a lezione, riporto di seguito alcuni passaggi relativi alla Scuola Storica e a Savigny, tratti dal testo “Questioni di diritto”, del prof. Mannino, pertinenti in particolare alla concezione di Savigny come sistematico:
RispondiElimina“I pandettisti si ispiravano ad una conoscenza del diritto completamente diversa, al cui centro si trovava lo sforzo per orientare la conoscenza giuridica verso la ricerca e la realizzazione di un sistema logico-formale chiuso, capace di superare ogni valore etico o la realtà storica e sociale.
Da ciò la prospettazione di una scienza del diritto che dovesse tenere il posto del legislatore.
Questi enunciati troveranno una compiuta e alta formulazione esemplare da parte di Georg Friedrich Puchta, il quale affermerà apertamente la prevalenza assorbente del sistema rispetto alla storicità del diritto, con un’accentuazione, peraltro, in senso del tutto razionalista: un sistema inteso, quindi, in senso logicista e tale da produrre di per sé nuovo diritto.
Al riguardo, per il suo inequivocabile significato, può richiamarsi, un passaggio dell’introduzione del Cursus der Institutionen dello stesso Puchta:
“Il diritto come formante un organismo vivo ha: 1) una varietà simultanea, in quanto esso è diviso in altrettante parti organiche che si suppongono e compiono reciprocamente; 2) ed un’altra successiva, essendo soggetto a cambiamenti sì nel suo insieme come nelle sue parti.
Così la scienza del diritto ha due lati, il sistematico e lo storico, nel concetto compiuto dei quali consiste la vera scienza del diritto.
La concezione sistematica del diritto è quella che ne percepisce l’intimo legame, ne unisce le singole parti, ne comprende i particolari come membri dell’intero, e questo come un corpo che si svolge in organi speciali.
La forza produttrice della simultanea varietà del diritto, ed in conseguenza il principio del sistema è la materia, le cui ineguaglianze è ufficio del diritto livellare.
Soltanto la conoscenza sistematica del diritto può esser detta compiuta, e più d’ogni altra coscienziosa, giacchè essa sola dà la sicurezza di concepire nel loro insieme tutte le parti del diritto.
Se noi considerassimo il diritto come un semplice aggregato di principi, non sapremmo mai di certa scienza, se ci venne di comprenderlo nella sua estensione: come d’un mucchio di pietre può mancare una parte senza che lo spettatore ne avvertisse il difetto, quandochè se fosse ordinato ad edificio, ogni pietra che mancasse si manifesterebbe come un vuoto e sarebbe possibile delinearne esattamente gli angoli.
Ma anche internamente la conoscenza sistematica è la sola compiuta, giacchè il diritto è in se stesso un sistema, e soltanto colui che come tale lo concepisce comprende perfettamente la sua natura.
Quegli possiede una tale conoscenza sistematica, che comprende la connessione dei principi, ne ha investigato l’ultimo rapporto, potendone tracciare la genesi di ciascun concetto fra tutti i membri che cooperano allo sviluppo di esso”.
Da queste parole, senza ombra di dubbio, si evince la preminenza assegnata oltrechè al giurista, alla sistematica rispetto alla storia, ma anche il netto privilegio per una tendenza rigidamente razionalista.
Tutto ciò, a sua volta, segna un certo spostamento rispetto alla prospettiva entro cui si erano mossi la Scuola Storica e Savigny, il suo vero creatore, al quale può riconoscersi il perseguimento di un maggiore equilibrio fra il momento storico e quello sistematico.
Quantomeno, perché a leggere i suoi scritti, si ricava la netta sensazione di un’idea di giurista il quale deve risalire pur sempre dall’analisi dei fatti e dei rapporti reali “alla determinazione delle soluzioni più idonee ad esprimere quanto sia sentito come maggiormente confacente alle esigenze materiali e spirituali di una determinata società in un determinato momento storico.
Il che, senza alcun dubbio, palesa una certa diffidenza rispetto all’assorbenza delle formule logiche in sé considerate e una tendenza a mantenere aperto il sistema, per recepire, appunto, i mutamenti determinati dal fluire dei rapporti sociali.
RispondiEliminaSe così stanno le cose, risulta innegabile la diversità della prospettiva rappresentata dallo sbilanciamento successivo sul versante sistematico e su quello del razionalismo, con il verosimile accostamento alle risalenti posizioni di Wolff e l’apertura della stagione della “giurisprudenza dei concetti” (Begriffsjurisprudenz), espressione, in effetti, usata, più tardi, da Jhering, ma di cui può intravedersi un preannuncio nel titolo ‘Fondamento filosofico’ (Philosophische Grundlage) del primo capitolo dell’introduzione del Cursus der Institutionen di Puchta.
Qui, infatti, si parla chiaramente di genealogia dei concetti.
Sono questi enunciati ad avere segnato lo sviluppo progressivo della Pandettistica verso l’astrattezza, non senza suscitare, tuttavia, critiche già all’epoca del suo fulgore: per esempio, da parte dello stesso Jhering, il quale si opporrà decisamente al Moloch della logica all’idea che la giurisprudenza debba ridursi a una sorta di matematica del diritto.
In effetti l’idea della ricerca di una matematica del diritto aveva già circolato: già nel pensiero di Savigny, il quale, per di più, ne aveva affermato il collegamento con il diritto romano.
Accanto all’esaltazione della razionalità giuridica, Savigny, in particolare, aveva proposto l’idea che il diritto romano classico, quello espresso dai giuristi romani, fosse da ritenere il fondamento del diritto romano attuale, perché al diritto romano doveva riconoscersi una caratterizzazione simile a quella del calcolo matematico, secondo una prospettiva, del resto, impostasi, successivamente alla secolarizzazione della scienza giuridica, durante il XVI secolo, trovando una consacrazione programmatica presso i matematici-giuristi del XVII secolo, come Leibniz, Domat, Wolff.
In altri termini, questa somiglianza con una disciplina riconosciuta come forte e severa verrà addotta a garanzia della costruzione di una sorta di ‘matematica sociale’, come vocazione primaria della ragione giuridica moderna.
A conferma emblematica di questo particolare aspetto degli orientamenti riconoscibili nel pensiero di Savigny, può ripetersi quanto egli dice nella sua ‘Vocazione della nostra epoca per la legislazione e la giurisprudenza’, la cui prima edizione apparve a Heidelberg, nel 1814:
‘Abbiamo mostrato precedentemente come, nella nostra scienza, qualsiasi successo si fondi sulla padronanza dei diritti fondamentali. Ebbene, proprio in ciò consiste la grandezza dei giuristi romani: nei concetti e nelle massime della loro scienza essi non vedono il frutto del loro arbitrio ma esseri reali, la cui esistenza e genealogia sono divenute loro familiari per lunga consuetudine.
E’ per questo che tutto il loro modo di procedere possiede una sicurezza che non si riscontra in nessun altro campo al di fuori della matematica, sicchè si può dire, senza tema di esagerare, che essi calcolano con i loro concetti.
Questo metodo però non è appannaggio di un solo individuo, né di una cerchia ristretta di grandi scrittori: esso è patrimonio comune e rimane fondamentalmente lo stesso, anche se, nei vari giuristi, diverso è il grado di perizia nella sua applicazione.’
Da tali affermazioni risulta innegabile che la riflessione giuridica già nell’ambito della Scuola Storica si muovesse secondo un approccio ai rapporti sociali profondamente formale: nel senso che si presupponeva quale compito precipuo della scienza giuridica quello di ‘essere capace di misurare relazioni sociali, atti e comportamenti umani, trasformandoli in equazioni giuridiche’.
RispondiEliminaNe deriverà il convincimento che la verità dell’ontologia elaborata dagli antichi riposasse su una metrologia stabile e consolidata (come quella che regge gli enti matematici), in grado di quantificare e di astrarre, e quindi dominare le differenze e le disuguaglianze contingenti, il multiforme, il qualitativo, la selva delle diversità particolari, riducendole a un reticolo di proporzioni certe (non soggettive) perché esattamente misurabili.
Corollario di questa impostazione sarà che l’idea del calcolo, di un particolare calcolo da eseguirsi sul vivo dei rapporti sociali, si apre su quella dello strumento che può consentirlo.
Solo una considerazione ‘formale’ dei rapporti sociali permette la loro calcolabilità attraverso un modello rigido di eguaglianze quantitative e di astratte reciprocità, e rispetto a questo compito, un ruolo fondamentale verrà riconosciuto al diritto romano, quale referente in cui per la prima volta e per sempre il calcolo e il formalismo hanno trovato espressione, divenendo patrimonio collettivo di una tradizione di dotti.”
Flavia Mancini
La sistematica del diritto,seconda la Scuola Storica, veniva concepita in maniera particolare:le norme dovevano essere suddivise concettualmente in definizioni generali tali da poter essere applicate alla moltitudine di casi cui i giuristi tedeschi dovevano far fronte,eliminando le norme particolari.La formulazione linguistica e concettuale doveva essere estremamente precisa,in modo tale che ciascuna tipologia di fattispecie concreta potesse essere sussunta in una norma astratta.Una logica rigida e una sistematica ferrea che non ebbe precedenti nella storia giuridica.
RispondiEliminaDall’insegnamento di Savigny,deriverà la scuola della Pandettistica,sua naturale evoluzione.Essa si caratterizzò per lo studio delle Pandette,opera rientrante nell’antico Corpus iuris civilis di Giustiniano,dalla quale i suoi esponenti traranno le categorie dogmatiche giuridiche.La dottrina pandettistica fu soprannominata “Giurisprudenza dei concetti”,poiché elaborava attraverso un metodo scientifico categorie tali da poter individuare chiaramente qualsiasi atto rilevante per il diritto.In questo modo,va da sé che il sistema giuridico è completo,chiuso,per qualsiasi caso ne verrà trovata la soluzione,la cui legittimazione risiede nella sua assoluta logicità.
Grazie a questa tradizione dottrinaria tedesca,oggi nel nostro attuale diritto italiano,ma anche in altri paesi,sussiste la distinzione fra procura e mandato,cioè fra atto che conferisce la rappresentanza e rapporto fra mandante e mandatario e la distinzione fra nullità e annullabilità.La formulazione concettuale di negozio giuridico,anche se non presente come definizione nel nostro codice,è categoria utilizzata nell’insegnamento dei principi basilari del diritto privato.Riuscì anche a porre le basi per l’unificazione giuridica tedesca.
Chiara Mele
Secondo Savigny i nuovi codici dovevano garantire una sicurezza meccanica nell’applicazione della norma, il giudice è dispensato da qualsiasi decisione personale limitandosi all’interpretazione letterale della legge. I codici si costruiscono con i principi generali della legge e il compito della scienza del diritto è lo studio del contenuto delle norme. Solo nel malaugurato caso in cui si verifichi una lacuna e non si possa ricorrere all’analogia, si fa ricorso alla consuetudine, ma ci si rese conto che la codificazione non avrebbe portato i frutti aspettati in quanto la giurisprudenza non era stata coinvolta nella redazione e in questi codici era trasfusa la volontà del monarca mortificando l’interpretazione scientifico-evolutiva del diritto.
RispondiEliminaA questo punto Savigny costruisce il suo apparato ideologico in contrapposizione con gli ideali del tempo pensando che occorre chiedere alla storia come si è sviluppato il diritto, infatti li dove c’è la storia scritta, lì il diritto ha carattere peculiare a quel popolo perché usi, leggi e costumi sono per Savigny la coscienza del popolo. Il diritto si evolve come il linguaggio e il compito del giurista è quello di cogliere i mutamenti del diritto. Con l’evoluzione nei popoli cominciano a distinguersi ceti sociali per attività svolta; quindi nasce la classe dei giuristi ai quali il popolo ha dato il compito di svolgere attività di studio del diritto e quindi il diritto che prima viveva solo nella coscienza del popolo adesso vive anche nella riflessione scientifica dei giuristi. È nello spirito del popolo che si rappresenta la fonte primaria che forma il diritto che è costruito con l’intuizione del giurista. Gli istituti non sono il riassunto delle regole giuridiche ma le regole giuridiche vengono richiamate dagli istituti. Secondo Savigny l’istituto è il punto di partenza di costruzione del diritto, è un dato dell’intuizione, un complesso unitario ricco di significato mutevole nel tempo. Dall’istituto attraverso l’intuizione si ricavano le regole giuridiche attraverso un processo di interpretazione. Il giurista attraverso l’attività filologica studia le norme indagando la storia e le regole di un popolo.
Savigny distingue tra relazioni con le cose e con le persone in quanto le cose sono di natura non libera e il rapporto tra individuo e cose non libere è l’istituto della proprietà. Altri tipi di dominio possono essere il dominio su stesso che innato in ogni individuo, si può installare anche tra individui ma non è di proprietà (altrimenti sarebbe schiavitù), cioè può riguardare solo un’azione di un individuo (obbligazione) e rientra nel diritto patrimoniale.
I principi del diritto che derivano dagli istituti sono la base di partenza delle norme.
Questo sistema ha natura storico-sistematica perché le forze storiche che producono diritto sono potenze spirituali e culturali e il fluire della storia si sostanzia in un concetto organico (la coscienza del popolo) dal quale si ricostruiscono gli istituti dai quali si ricavano le regole giuridiche che poi vengono organizzate in un sistema; quindi secondo Savigny il passato vive nel presente per interna necessità, quindi la conoscenza del presente è conoscenza storica e quindi la conoscenza del diritto è la storia del diritto; il diritto non si fonda sulla ragione o su dio, ma sulla coscienza storica in quanto il diritto non può essere stabile ma deve essere continuamente adeguato alla coscienza del popolo.
Una piccola parentesi sulla Prudenza dal momento che ne abbiamo parlato mercoledi...
RispondiEliminaLa prudenza è una delle quattro virtù cardinali della morale occidentale, sin dall'antichità romana. La prudenza è la virtù che dispone l'intelletto all'analisi accorta e circostanziata del mondo reale circostante e esorta la ragione a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene, scegliendo i mezzi adeguati per compierlo. La prudenza è la « retta norma dell'azione », scrive San Tommaso D'Aquino sulla scia di Aristotele. Essa non si confonde con la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione. È detta « auriga virtutum – cocchiere delle virtù »: essa dirige le altre virtù indicando loro regola e misura. È la prudenza che guida immediatamente il giudizio di coscienza. L'uomo prudente decide e ordina la propria condotta seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare.
Nella filosofia platonica è detta "saggezza", ed è la virtù propria dell'anima razionale.
E per un piccolo ma interessante excursus culturale...qui troverete spiegato cosa siano le virtù cardinali:
http://it.wikipedia.org/wiki/Virt%C3%B9_cardinali
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RispondiEliminaPrima parte
RispondiElimina“CONCETTUALIZZAZIONE ROMANISTICA. CRITICHE DELLA PROF.SSA LETIZIA VACCA ALLA SCUOLA STORICA DI SAVIGNY”.
Leggendo l’interessante intervento di Flavia Mancini che precede e dal quale emerge anche la posizione del Prof. Vincenzo Mannino in materia di studio ed utilizzo del diritto romano nella Scuola Storica di Savigny, ho ritenuto corretto riportare anche l’opinione della Prof. ssa Vacca in materia. Per cercare di fare un buon lavoro, ho integrato quanto scritto dalla Professoressa nei manuali adottati per l’attuale corso di Diritto Romano con gli appunti presi a lezione durante l’ultimo semestre. I titoli di tali manuali sono indicati nelle fonti di questo intervento, alla fine del testo.
Il secondo capitolo del manuale intitolato, “Metodo Casistico e Sistema Prudenziale”, Cedam, reca, con leggera vena polemica già nella scelta delle parole “CASISTICA GIURISPRUDENZIALE E CONCETTUALIZZAZIONE ROMANISTICA”.
Per la Prof. ssa Vacca, per concettualizzazione romanistica si fa riferimento all’opera di concettualizzazione e sistematizzazione del diritto romano compiuta dai pandettisti a partire da Savigny nell’800. Tale opera avrebbe inciso sui contenuti del diritto romano, spesso alterandoli. L’errore più grande sarebbe stato trasferire casi giurisprudenziali romani in un sistema concettuale unitario e sistematico.
Lo stesso titolo di una delle opere maggiori del Savigny la direbbe lunga: System des heutigen römischen Rechts ovvero Sistema del diritto romano attuale (Berlino 1840-1849). Sistema, quindi sistematizzazione e dunque riordino del diritto romano. Ma come? Attraverso schemi concettuali unitari, attraverso la creazione di categoria superiori entro le quali ricomprendere categorie inferiori; attraverso la creazione di contenitori entro i quali ricomprendere gli istituti del diritto romano. Una vera e propria sovrapposizione di regolamentazione unitaria ad una regolamentazione casistica-giurisprudenziale. Questo non poteva non creare problemi.
Seconda parte
RispondiEliminaIl diritto romano era stato volutamente concepito, almeno fino a Giustiniano, come un diritto “aperto”, un sistema non chiuso, in grado e evolvere ed adattarsi alle nuove esigenze della società attraverso l’uso del ragionamento case to case. L’essenza del ragionamento casistico è il sillogismo problematico cioè il sillogismo aperto a critiche, a nuovi punti di partenza e nuove soluzioni.
Per Savigny invece, il sistema giuridico doveva essere esaustivo, chiuso, completo, in grado di dare soluzioni a tutti i casi nuovi. La scienza del diritto doveva essere costituita da sillogismi chiusi, da dogmi assiomatici e ogni soluzione derivare da una soluzione superiore. L’esasperazione di questa impostazione si ebbe con Georg Friedrich Puchta (1798-1846) e la teorizzazione del concetto di “piramide delle norme del diritto”, ripresa poi da Kelsen. La pandettistica, per la Professoressa, portò ad un appiattimento del dinamismo delle soluzioni romane. Nel diritto romano era tipico che i giuristi successivi dissentissero da quelli precedenti e che a volte tornassero sui loro passi. Ogni elemento nuovo nei casi concreti costringeva la giurisprudenza classica, formata dai cd prudentes, ad adeguarsi alla realtà individuando e suggerendo ai magistrati l’applicazione di una soluzione diversa (sempre però fondata su equità) in presenza di un caso simile ma comunque diverso dal caso per il quale già esisteva una disciplina. Il dinamismo del diritto romano creava delle difficoltà ai pandettisti che miravano alla creazione di un sistema uniforme privo di contraddizioni interne. Il loro rifiuto per le contraddizioni li ha portati addirittura a ritenere le inevitabili contraddizioni presenti nel Corpus Juris alla stregua di “errori di redazione o mala interpretatio”. A tal punto non potevano accettare la presenza di contraddizioni in un sistema; neppure in un sistema preso come punto di partenza per creare il loro! segue...
Terza ed ultima parte
RispondiEliminaD’altra parte anche i pandettisti avevano le loro buone ragioni: anzitutto avevano recuperato il diritto romano per utilizzare i suoi istituti nella Germania di fine 800 e si erano basati sullo studio del diritto romano così come esso emergeva dal Corpus Juris Giustinianeo: un’opera realizzata dai glossatori diretti da Triboniano su incarico di Giustiniano ed interpolata “ad aiudiuvandum imperatoris”, nel tentativo di rendere l’Imperatore unica fonte di diritto (come già sotto Adriano) e anche unico interprete, marginalizzando l’opera dei giuristi.
La mancanza di fonti classiche e la lettura astorica che del Digesto avrebbero fatto i Pandettisti, secondo la Professoressa, creando per altro una contraddizione in terminis all’inerno del loro stesso pensiero di “storci del diritto”, ha portato loro a ritenere che sotto Adriano il sistema adottato fosse di natura normativa e non giurisprudenziale e che non solo i magistrati ma anche i giuristi fossero obbligati a ricorrere al criterio analogico per decidere casi per i quali non esistevano soluzioni espressamente fissate nel sistema. In realtà non era affatto così ma questo era quello che emergeva dalle fonti giustinianee. Il diritto romano sul quale si trovarono a lavorare i tedeschi era in realtà il diritto romano frutto dell’interpretazione dei giustinianei, né, va detto, i tedeschi furono facilitati dal fatto che i giuristi adrianei erano lapidari nelle loro soluzioni, senza mai espletare il ragionamento giuridico che li aveva portati alle stesse.
In conclusione, con Savigny nacque una costruzione molto rigida e molto astratta del sistema che ha condizionato anche noi; è ovvio infatti che il nostro codice del 1942 é stato elaborato sotto l’influenza delle dottrine tedesche.
Fonti:
VACCA L., “Metodo Casistico e Sistema Prudenziale”, Cedam, Padova 2066;
VACCA L., Garanzia e responsabilità. Concetti romani e dogmatiche moderne, Cedam, Padova, 2010
Appunti corso diritto romano, anno 2010-2011. Prof. Letizia Vacca.
La Scuola Storica fondata da Friedrich Carl von Savigny era profondamente influenzata dal romanticismo, e criticcava sia il giusnaturalismo che il positivismo.La critica al giusnaturalismo riguardava la sua astrattezza, in quanto il diritto naturale sembrava volersi discostare da una visione storicistica affermando la validità universale di princìpi eterni ed immutabili.
RispondiEliminaCon riguardo alla polemica contro il positivismo, propugnatore delle codificazioni, spicca la pubblicazione, nel 1814, della Vocazione della nostra epoca per la legislazione e la giurisprudenza, ovvero il manifesto della Scuola Storica, scritto dal Savigny in risposta alle tesi del collega, Anton Thibaut, di elaborare una codificazione sul modello napoleonico volta ad unificare il diritto nel modo germanico.In questo testo, il Savigny dava nuovo vigore alla scienza del diritto, la c.d. scientia juris, e dava soluzione alle maggiori questioni che in quel periodo laceravano la dottrina, anche germanica. Egli affermava, infatti, che l’idea di codice doveva essere superata in quanto risultava un inutile irrigidimento di un fenomeno di per sé non racchiudibile in schemi precisi, poiché il vero fondamento del diritto civile non poteva coincidere con il cesareo gladio, considerato, dallo stesso, strumento di guerra e soggiogazione, ma doveva riconoscersi nella naturale dipendenza del diritto dai costumi e dallo spirito di ciascun popolo. Pertanto si avrà un diritto in continua evoluzione e trasformazione, analogamente a quanto avviene per il linguaggio adoperato da ogni popolo. A questo rapporto va aggiunto il vitale sviluppo offerto dalla scienza specifica dei giuristi. Da ciò lo studioso faceva discendere quanto leggi e codici non siano necessariamente in armonia con il carattere del popolo, finendo per rappresentare una rottura nell’ordinato fruire della tradizione giuridica nazionale. In conclusione, il modo corretto di procedere per l’unificazione del sistema giuridico germanico consisteva nello spronare la crescita progressiva di una scienza del diritto comune all’intera nazione.Questo documento ebbe, nel modo universitario germanico, un’accoglienza strepitosa. Aderendo a questa metodologia ed ai suoi presupposti due generazioni di giuristi tedeschi si dedicarono al compito di costruire una scienza ed un sistema. Tra questi giuristi spicca il contributo di Georg Friedrich Puchta (1798-1846), allievo del fondatore di questa scuola.Puchta reinterpretò il concetto di spirito del popolo modificando la visione di diritto frutto della tradizione storica come elemento formante un organismo vivo e diviso in altrettanti parti organiche che si suppongono e completano reciprocamente. La conoscenza sistematica del diritto era perciò quella in grado di percepire l’intimo legame che unisce le singole parti, ossia ne comprende i particolari come membra dell’intero – corpo.
In questa generale visione del diritto come organo, la scienza del diritto viene a far parte del sistema, in quanto il sistema non era altro che la comprensione piena dell’organicità naturale del diritto come fenomeno. Fu così che si procedette al recupero della sistematica giusnaturalistica.Il pensiero di Puchta è esemplificabile con la teoria della piramide concettuale in base alla quale tutti i concetti giuridici possono essere sistematicamente organizzati secondo una scala a partire dai più generali, sino ai più dettagliati, ma tale criterio deve essere rispettato al punto tale che, adoperando il criterio della deduzione logica, si possa seguire la scala sia in senso ascendente che in senso discendente.Seguendo questa impostazione una proposizione giuridica diveniva legittima solo mediante il suo inserimento logico nel sistema. Sinteticamente si può affermare che il criterio di validazione diveniva la consequenzialità logica di ogni proposizione giuridica rispetto al tutto, in base al principio della non contraddittorietà. Con ciò si poneva un argine al dialogo quantitativa tra regola ed eccezione tipico del discorso dei giuristi del jus commune, ossia la regola è la norma che si applica al maggior numero di casi, mentre l’eccezione è ciò che si applica in circostanze ben delineate. Da tali considerazioni si può ben comprendere come il sistema detti legge, ovvero la sua intelaiatura complessiva renda logicamente impossibile tutta una serie di regole o di conclusioni giuridiche ad esso logicamente antagoniste.
RispondiEliminaIl contributo della Scuola Storica al diritto contemporaneo
RispondiEliminaIl programma della scuola del Savigny, ovvero l’unificazione del diritto tedesco attraverso la scienza, fu accompagnato da una generale approvazione per il suo carattere radicale. Essa, infatti, imponeva di spogliarsi di ogni forma di norma eccezionale, adoperata ampiamente nei sistemi dove trovava applicazione il sistema del Code civil. Questa estremizzazione, d'altronde, era espressione del ruolo che i giuristi tedeschi si erano assunti, ossia di guida del diritto e, pertanto, dovevano trovare un modo per dirigere l’applicazione del diritto per tutta la costellazione dei casi pratici che potevano presentarsi nella vita concreta. Questo metodo fu trovato nella logica ferrea ed in una sistematica rigida.Per espletare al meglio questa metodologia i giuristi della Scuola storica dovevano definire ogni concetto con scientifica precisione, così da essere disegnati esattamente alla fattispecie considerata. Questo tipo di analisi fu effettuato da due generazioni di giuristi tedeschi e portò ad un notevole affinamento di idee e figure giuridiche ed a una delle non molte fasi di effettiva accumulazione concettuale promosse dalla scientia juris.Questa tecnicizzazione del diritto non aveva avuto precedenti nel mondo giuridico occidentale sia di civil che di common law, che, invece, adoperavano ed adoperano diversi termini con concetti anfibologici.Esempi di quanto scritto sono il concetto di nullità ed il concetto di mandato. Nel diritto comune, come tutt’ora nel Code Napoléon e nell’ABGB, la parola mandato serviva per designare indifferentemente l’atto attributivo della rappresentanza ed il rapporto tra il mandante ed il mandatario. La distinzione esistente, ad esempio nell’attuale codice civile italiano, tra procura e mandato è frutto di una analisi concettuale che distingue tra il lato interno e quello esterno del rapporto. Con riguardo alla nullità va sottolineato che, nel lessico giuridico del diritto comune, come in quello usato nel Code civil, la parola nullità è termine collettivo per indicare varie specie di invalidità. La distinzione tra annullabilità e nullità è una creazione della giurisprudenza tedesca del secolo scorso.
I principi della dottrina filosofico-giuridica del Savigny sono espressi oltre che nella Vocazione del 1814, nell'introduzione alla rivista per la scienza storica del diritto premessa al primo numero di questa con il titolo sullo scopo di questa rivista, dobbiamo ricordare poi la principale opera Il sistema del diritto romano attuale e l'opera giovanile Dottrina del metodo giuridico.Il Savigny è una tipica espressione del romanticismo nel campo giuridico, egli non solo si contrappone alle idee di chi voleva nuovi codici, che con la completezza dell'amministrazione della giustizia, garantissero una certezza meccanica,in modo che il giudice esonerato da ogni giudizio proprio si limitasse all'applicazione letterale della legge, secondo l'ideale legislativo illuministico ;ma egli cercò di riconoscere i presupposti filosofici delle teorie illuminstiche per quanto riguarda la legislazione e l'interpretazione del diritto e li ritrovò in quella cultura del diciottesimo secolo in cui si era perso il senso della storia e si credeva la propria epoca destinata alla realizzazione della perfezione assoluta.Alle tesi dell'illuminismo riguardanti il diritto,cioè alla teoria di un diritto naturale immutabile ed universale dedotto dalla ragione,il Savigny si oppone decisamente,per lui il diritto è proprio di ciascun popolo,come il linguaggio,i costumi, l'organizzazione politica,sono tutti elementi connessi tra di loro ,e come per il linguaggio cosi per il diritto non vi è un attimo di sosta assoluta,esso cresce con il popolo,prende forma con esso,e alla fine muore quando il popolo ha perso la sua personalità.Con l'evolversi del popolo si evolve anche il diritto,che si manifesta dapprima con atti in cui si esprimono i sentimenti della collettività,e vive come consuetudine che del diritto è la prima spontanea forma.Più tardi a questo diritto spontaneo si sovrappone quello elaborato scientificamente dai giuristi,che tuttavia continua a partecipare all'intera vita del popolo.Savigny definisce elemento politico la connessione del diritto con la vita sociale del popolo,ed elemento tecnico la sua separata vita scientifica,e ha cura di fare osservare come in entrambi i casi ciò che crea il diritto non è mai l'arbitrio di un legislatore ma è sempre una forza interiore che opera tacitamente.Il diritto legislativo,secondo Savigny,dovrebbe fornire solo un sussidio alla consuetudine,diminuendone l'incertezza e l'indeterminatezza e portando alla luce e conservando puro il vero diritto,che è l'effettiva volontà del popolo.Agli inconvenienti del diritto comune il Savigny propone come rimedio non la codificazione,ma l'elaborazione scientifica del diritto.Nella polemica con il Thibaut a proposito della codificazione riemerge costantemente quella che è la posizione propriamente storicistica del Savigny e questa si ritrova anche a proposito della trattazione del diritto naturale,che viene considerato il diritto che si attua nella storia , spontanea creazione dei popoli.Per consuguire gli apprezzabilissimi fini propostisi dai fautori della codificazione,primo fra tutti la certezza del diritto,lo strumento adatto non è il codice,ma la scienza giuridica.
RispondiEliminacontinua..
RispondiEliminaDelle tre forme in cui il diritto si manifesta,diritto popolare spontaneo, diritto legislativo e diritto scientifico,la forma più valida è quella del diritto scientifico proprio delle società già mature ma non ancora avviate alla decadenza.La Vocazione conserva i caratteri dello scritto polemico d'occasione ,e sembra ingannevolmente ,riferirsi più alla situazione attuale della Germania che al problema generale della natura del diritto;lo storicismo giurdico non si presenta ancora come una vera e propria dottrina,anche se Savigny ha cura di fare osservare frequentemente come le sue asserzioni si inquadrino in quella che era la cultura nuova,cioè la cultura romantica.Ma già l'anno dopo con la presentazione della rivista,egli contrappone la scuola che ormai si diceva storica alle dottrine giusnaturalistiche e illuministiche ,da lui riunite sotto l'appellativo di scuola non-storica , e dichiara che il contrasto fra le due scuole riguarda tutte le cose umane. Per la scuola non-storica ogni epocva crea il suo mondo liberamente ed arbitrariamente ed al passato si rivolge come ad un mero elenco di esempi dei quali non è essenziale tenere conto,per la scuola storica invece ogni epoca è il proseguimento e lo svolgimento dei tempi passati;un'epoca non crea il suo mondo liberamente ed arbitrariamente ,ma in comunione con l'intero passato.
Riguardo al Jhering invece:
RispondiEliminaL'evoluzione della giurisprudenza dei concetti a teorie che non perdessero di vista la realtà sociale è rappresentata in modo singolare dalla trasformazione che subì la dottrina di un giurista che fu fra i primi e maggiori teorici della giurisprudenza dei concetti: Jhering. Personalità complessa e ricca di aspetti contraddittori, vive la crisi che va maturando nella cultura del secondo ottocento e che si concluderà con la reazione al positivismo. L' opera di Jhering attraversa due fasi distinte, anzi opposte. Negli scritti del primo periodo egli giudica funzione essenziale della giurisprudenza la costruzione giuridica, da compiersi con un procedimento di analisi e di successiva sintesi simile a quello della chimica, mediante il quale si doveva agire sulla materia prima giuridica facendola evaporare in concetti, fino a che si potesse darle la forma di un corpo giuridico. Il sistema così edificato avrebbe permesso non solo di mettere in luce i principi logici dell' ordinamento giuridico, ma di ricavare da essi nuove norme giuridiche, infatti attraverso la combinazione dei diversi elementi la scienza può creare nuovi concetti e proposizioni giuridiche; i concetti sono fecondi, si accoppiano, e ne generano dei nuovi. Ma già nel 1865 Jhering mostra di abbandonare la fiducia nella validità del metodo logico-sistematico, egli ora attribuisce gli ostacoli incontrati nella comprensione della storia del diritto romano alla illusione della dialettica giuridica, che vuole conferire al dato positivo l' aureola della logica, e che invece di cercare la giustificazione o necessità storica, pratica o etica degli istituti cerca di metterne in evidenza la necessità logica, e deplora il culto del logico, che pensa ad innalzare la giurisprudenza ad una matematica del diritto. Alcuni anni più tardi, la concezione del metodo della scienza giuridica appare presso Jhering radicalmente mutata. Di questa seconda fase è espressione Lo scopo nel diritto, nel quale si afferma che il creatore di tutto il diritto è lo scopo, e che non c' è nessuna proposizione giuridica la quale non debba la sua origine ad uno scopo, ossia ad un motivo pratico. Quando parla di scopi Jhering non intende quelli che si propone il legislatore nell' emanare le norme, ma quelli che riguardano la società, società che è appunto una unione di più persone che si sono vincolate per il perseguimento di uno scopo comune,gli scopi sono necessità di ogni specie che dalla vita sociale sorgono e che devono essere soddisfatte perchè la società sopravviva.
continua..
RispondiEliminaA queste necessità deve guardare il giurista se vuole comprendere il diritto, e non ad astratti concetti. Jhering maturo è agli antipodi di Jhering giovane, tanto che egli compie della giurisprudenza dei concetti una gustosa ed acuta satira in un libro del 1884, Faceto e serio nella giurisprudenza; la costruzione sistematica, scopo supremo e vanto del formalismo,che egli dice opera di artisti civilistici, Jhering la giudica una moda: a seguire la quale il giurista si sente obbligato nello stesso modo in cui una signora elegante si sente obbligata a portare la crinolina. In una delle sue ultime opere, La volontà nel possesso, egli contrappone poi esplicitamente al metodo formalistico quello che egli definisce metodo realistico o teleologico. Jhering vede nello stato lo strumento massimo della forza, che è per lui la matrice del diritto. Il diritto infatti secondo Jhering si costituisce per due vie, in entrambe le quali è connesso con la forza: la via per cui la norma, nata dall' interesse di tutti a stabilire l' ordine, viene dalla volontà comune dotata di forza perchè possa imporsi alle volontà individuali; e la via per cui il più forte limita attraverso la norma la propria forza perchè si rende conto che ciò è nel suo stesso interesse. Il diritto viene considerato come una forza regolata; ed è in considerazione di questo nesso tra forza e diritto che Jhering definisce quest' ultimo la forma della garanzia delle condizioni di vita della società assicurata per mezzo della forza coattiva dello stato. Occorre ricordare un' altra opera di Jhering, il famosissimo volumetto La lotta per il diritto, la cui tesi centrale è che l' idea del diritto è eterno divenire e il diritto nel suo moto storico ci presenta l' immagine della ricerca, del combattimento, della lotta: di un laborioso sforzo. Il diritto si trova sempre di fronte il suo contrario, il torto, ed è nella lotta con esso che si realizza: da qui il dovere dell' uomo di battersi per il proprio diritto, perchè affermando questo egli si afferma come uomo.
In "Serio e faceto nella giurisprudenza" sono raccolti alcuni scritti di Jhering: sei lettere già in parte pubblicate,come anonime, in due Riviste dell'epoca; quattro saggi dedicati a "scene quotidiane"di diritto romano e due intitolati rispettivamente "Nel cielo dei concetti giuridici" e "Di nuovo sulla terra".Gli scritti abbracciano gli anni che vanno dal 1861 al 1884,quelli in cui l'autore fu docente,gli anni di maggior splendore di quella scienza giuridica tedesca che proseguiva il lavoro iniziato da Savigny.
RispondiEliminaCon satira e ironia Jhering combatte contro un unico nemico,i “fabbricanti di concetti”. Quest'ultimi sono colpevoli di continuare a "costruire" e" ricercare" anche laddove il senso comune finisce; il loro lavoro è infruttuoso,lontano dai problemi pratici,è degenerazione del pensiero: dobbiamo a tutti i costi,scrive,far piazza pulita della pazzesca illusione che la teoria non sia che una specie di matematica del diritto,il cui obiettivo più alto possa essere solo quello di calcolare esattamente i concetti.
La preoccupazione è di continuare uno studio,quello del diritto romano,in modo totalmente sterile: "sul valore del raccolto nel campo del diritto romano che fino ad oggi si è fatto possono farsi illusioni solo coloro che hanno impiegato il loro lavoro a produrlo e che di questo hanno naturale interesse a tenere in gran conto".
La distanza tra teoria e pratica è il male peggiore che secondo lo Jhering affligge il diritto. Per riferirsi al lavoro degli esponenti della scienza giuridica tedesca,in primo luogo Pucha e Savigny ,egli adopera il termine "costruire",intendendo con questo un atto creativo, di fantasia e di inventiva il cui prodotto migliore sono figure giuridiche, oscure per coloro che si trovano a "praticare" diritto. "Uno studio giuridico che ignora per principio l'aspetto pratico del tema: come dire mettere assieme un ingegnoso orologio destinato a stare fermo!".Da qui enigmi come l'unità e la contemporanea pluralità dell'obbligazione correale e la eventuale diversità di questa con quella solidale,l'hereditas jacens,la personalità giuridica ecc...figure tutte sconosciute agli operatori del diritto fino al diffondersi di quella che Jhering chiama la "moda del costruire",cioè il tanto laborioso quanto fantasioso lavoro del giurista tedesco moderno . Nell’edificio della giurisprudenza è addirittura stato necessario erigere un piano superiore : "sotto si fa il lavoro grosso, la materia prima vi viene selezionata,preparata,ripulita,in una parola interpretata. Dopo di che essa passa al piano di sopra nelle mani esperte di artefici sottili che la plasmano e procurano di darle forma artistico-giuridica. Trovata che l’abbiano, la massa inerte si trasfigura, diventa cosa viva; e per sorta di mistico fenomeno, la materia, come un dì l’argilla prometea ,si anima: l’homunculus giuridico, voglio dire il concetto, diventa fecondo, si accoppia coi suoi simili e prolifica”.
Con grande ironia Jhering spiega il “fenomeno delle creazioni concettuali”,illusorie astrazioni che nel diritto non avrebbero ragione di esistere, e il cammino che ha portato Lui, da discepolo di Puncha qual era, teorico del domani, a rinunciare al suo avvenire scientifico.
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“Cos’è per Lei l’obbligazione,qual è voglio dire,la” figura giuridica”,la “conformazione logica” dell’obbligazione? L’obbligazione in verità può concepirsi come diritto ad una attività o su una attività del debitore:nel primo caso essa si dirige verso una persona,nel secondo ricomprende come oggetto l’attività stessa. Chè anzi a ben guardare dovrebbe esserci pure la possibilità di configurarla come un diritto che sta … sopra l’attività del debitore. Ed ora scelga! Mi obbietterà:ma come può aversi un diritto su una attività,che,come tale,ancora non esiste? Prima che l’attività sia compiuta,l’oggetto del diritto non esiste;appena l’attività si compie,non appena interviene cioè l’adempimento della obbligazione l’oggetto è già sparito? Ne domandi un pò a Puchta:forse la cosa gliela saprà spiegare lui”.
RispondiElimina”Il successo riportato agli esami (si riferisce a quelli universitari) mi aveva inspirato una certa coscienza e sicurezza di me: ma non passò un mese,che ero già in preda allo sconforto più amaro. Mi sembrava di essere come uno che avesse imparato a nuotare all’asciutto e che adesso venisse buttato nell’acqua. Le gemme più splendide della mia dottrina si mostravano ora completamente inutili. Una dopo l’altra le singole fattispecie mi creavano difficoltà sempre nuove e tanto più gravi quanto più profondi erano gli studi teorici che facevo per superarle. Alla fine arrivai al punto in cui sono adesso,alla conclusione,voglio dire,che bisogna aver perduto completamente ogni fede nella teoria per potersene servire senza pericolo”.
Corposa e satirica è la critica alle università e ai professori del diritto. Questi insegnano sulla base si sistemi da loro stessi creati o meglio inventati :Istituzioni,Digesto,Pandette,processo,diritto romano riempiono i fogli che ciascuno di loro custodisce ordinatamente sulla propria scrivania. Ma un divertente racconto contenuto nella IV lettera ben rende l’idea dell’estrema originalità che governa la sistematica di alcune opere giuridiche. ”La “storiella” è quella di uno storico del diritto che approvò e fece proprio lo scompiglio che il caso aveva apportato all’ordine sistematico del suo Corso di storia del diritto romano. Si è nel periodo della vacanze estive. Il professore è partito e la sua cameriera deve ripulire il suo studio della dotta polvere che vi si è accumulata. La porta e la finestra sono poste una di fronte all’altra. Disgrazia vuole che si sollevi un forte vento: una ventata entra nella stanza e penetra tra i fogli addormentati degli appunti. Tutto si mette in moto e in agitazione. Soprattutto la storia: l’editto pretorio è in lotta con le XII tavole, il jus gentium con il jus civile, i senato-consulti con le costituzioni imperiali, Labeone e Capitone, avversari inconciliabili si abbracciano, la compilazione di Giustiniano si libra in alto sopra tutti: è insomma una confusione indiavolata, il frantumarsi di ogni nesso storico: sembra quasi una scena da giudizio universale. Che situazione! Una donna di servizio in mezzo al turbinio di tutto il sistema della storia del diritto romano, e con il compito di placar la tempesta e ristabilire l’ordine! In mezz’ora aveva già finito; la storia del diritto romano era stata riordinata, la donna si lasciò ispirare dal suo genio e costruì “un sistema proprio”. Che era indubbiamente molto originale. Il seguito della faccenda è presto detto. Il professore ritornò dalle vacanze e tenne il suo corso di storia del diritto romano come se nulla fosse accaduto. Io non so se questo nuovo sistema sia già stato pubblicato, come ora è d’uso, in forma di dispense per studenti, o in altro modo: è un fatto però che le singolari innovazioni sistematiche da esso apportate si ritrovavano tutte in uno dei manuali più recenti di storia del diritto romano”.
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La quinta lettera è dedicata a due proposte provocatorie il cui intento è salvare i giovani studenti universitari da un insegnamento del diritto che li faccia sprofondare sempre più nella teoria: le cliniche del diritto e la riduzione degli esami ad uno solo.
RispondiEliminaAnche per gli studenti di diritto così come per quelli di medicina sarebbe necessario, ironizza lo Jhering, conoscere le materie teoriche aiutandosi con il ricorso a collezioni analoghe a quelle anatomiche, anatomo-patalogiche, farmacologiche,ecc. “ In ogni Università della Germania dovrebbe essere istituito un Gabinetto o Museo del diritto, diviso in due sezioni, una per gli oggetti, l’altra per i soggetti di diritto, e da tenere entrambe a disposizione dei docenti per i bisogni dell’insegnamento. Il concetto direttivo da seguire nel collezionare il materiale deve essere quello di scegliere per ogni concetto o rapporto giuridico un oggetto adatto a costruirne il simbolo esclusivo, e che consenta di ottenere che concetto e oggetto si fondano nello spirito dello studente in un'unica rappresentazione. Per le Istituzioni e le Pandette verrebbero anzitutto quelli che servono per la parte generale: le cose semplici e composte, le cose principali ed accessorie, le pertinenze, i frutti, le cose fungibili e le cose consumabili. Dopo gli oggetti di parte generale verrebbero quelli di parte speciale: così, per esempio, per la proprietà ci dovrebbe essere una raccolta adatta all’insegnamento della teoria dell’accessione e della specificazione. Il costo maggiore dovrebbe sopportato per le bestie, anche perché costituiscono in capitale vorace, e di bestie d’altra parte non ne dovrebbe mancare: per i contratti di soccida ci vorranno degli animali di ferro, per le actiones aedilitiae un cavallo con qualche vizio occulto. Per il gregge, necessario alla parte generale come esempio di universitate rerum distantium, si potrebbe per economia ricorrere al sistema delle escursioni. Lo scopo cui i soggetti del Gabinetto o dell’Isituto dovrebbero servire è quello di rappresentare davanti agli studenti lo svolgimento, dal principio alla fine, dei vari atti giuridici. Devo ammettere ad esempio che anche la rappresentazione della personalità giuridica di una fondazione così come l’assente non è facile da immaginare...
Vengo adesso alla questione degli esami. Ben lungi dal credere che gli esami debbano essere ridotti,io sono all’opposto di avviso che essi devono essere aumentati”.La provocatoria proposta che Jhering fa immaginando di parlare in occasione di un congresso giuridico,il congresso di Magonza,è quella della perpetuità degli esami:
“o non si fanno mai esami o li si ripetono continuamente finché si resta in vita. Ogni altra tesi è una sciocchezza. Della due l’una:o gli esami sono superflui o sono necessari”.Esame perpetuo e reciproco perché ad esso nessuno,neppure i più grandi possono sottrarsi.
Jhering ironizza anche sulla maschera dell’Anonimo da Lui usata per pubblicare le lettere : “Perchè a Savigny e Puchta non è venuta mai l’idea di mettersi un cappuccio altrui,pubblicando,per esempio,le loro opere col nome di Brackenhoft e di Rosshirt?Che sorpresa sarebbe stata per costoro trovarsi in mano un libro che essi medesimi avrebbero concepito e…capito!Chi sa che ai lettori di libri giuridici non si giochi a volte qualche tiro simile. Io,per lo meno,a leggere certi scritti di autori moderni moderni non riesco a liberarmi dal sospetto che essi non devono provenire da loro ma da una qualche vecchia lavandaia che imperversa nella nostra letteratura”.
Molte ancora le invettive contenute nell’opuscolo:viene chiesto come mai nessuno degli studiosi del diritto romano abbia ancora denunciato Savigny o Puchta per aver dimenticato e violato il divieto fatto da Giustiniano stesso di scrivere alcunché sul Corpus Iuris.Il male che investe la letteratura del suo tempo ha, secondo lo Jhering, origine in quella tradizione universitaria che apre le porte solo a coloro i quali dimostrino di aver compiuto “attività scientifica”.
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“Dipende da ciò quel terribile malanno della nostra letteratura che sono i volumi grossissimi di nessunissimo contenuto. Su un misero pensierino,striminzito e contorto,ci si fabbrica addosso un castello di pagini:qualche volta poi non c’è neppure quello. Io no so se Le sia mai accaduto di trovarsi nei dintorni della Sprea in tempo di vendemmia. Non credo però che Lei abbia nulla da obbiettare se Le dico che ,ove per ipotesi Lei ed io dovessimo passare uno dopo l’altro al torchio lo stesso mucchio d’uva,il primo di noi due si troverebbe meglio ed il secondo assai peggio dell’altro. Chè se poi dopo di noi toccasse di ripetere la pigiatura ad un terzo e poi ad un quarto e così via,è certo che alla fine nemmeno con una pressa idraulica si riuscirebbe a cavarcene una goccia. La trasposizione di questo esempio al diritto romano è facilissima e evidente. Da sette o otto secoli,migliaia e migliaia per non dire milioni di giuristi si danno da fare per spremerlo per bene”.
RispondiEliminaImmaginando di trovarsi dopo la morte “Nel cielo dei concetti giuridici”,Jhering scopre il destino che lo attende:
ai romanisti è riservato un Aldilà in cui pensiero e realtà si identificano. Lì ritroveranno tutti i concetti di cui si sono occupati in vita non più in veste imperfetta e deformata,ma nella loro immacolata purezza ed ideale bellezza;alle questioni che in terra avevano invano cercato di risolvere gli stessi concetti daranno risposta.
Anche i pratici avranno un proprio Aldilà,dove però ancora vi è la luce del sole,l’aria atmosferica e tutte quelle condizioni di vita terrena idonee alle loro ”grossolane” costituzioni: “Nel cielo dei teorici i pratici non potrebbero neppure respirare e dato che i loro occhi non sono assolutamente adatti alla profonda oscurità che vi regna,non sarebbero neppure in grado di muovere un passo. Lì dunque è buio pesto. Vi regna notte profonda. Il corpo celeste su cui si trova l’Aldilà teoretico non appartiene al sistema solare e la luce non vi penetra affatto. Il sole è la sorgente di tutta la vita,ma i concetti non accordano con la vita: hanno bisogno di un mondo per sé,lontani da ogni contatto con la realtà. Gli occhi dei teorici sono già in terra abituati a vedere al buio. Che fascino potrebbe avere per loro la storia del diritto romano se le fonti permettessero di dare a tutte le domande una chiara e definita risposta?Mettete la luce al posto delle tenebre e tutto sarebbe finito. Anche le Pandette!” Chi parla a Jhering è Psicoforo, guida delle anime che aspirano al cielo dei teoretici lungo il cammino dell’ammissione. Anche in cielo come in terra è necessario affrontare un esame per accedere alla “ristretta cerchia”. E prima dell’esame un periodo di quarantena è imposto ai nuovi arrivati affinchè sia certo che questi non portino con sé aria amosferica.”I concetti non tollerano contatti con il mondo reale!”. Ancor più divertente è la descrizione del ” rito della fonte dell’oblio” le cui acque assicurano la perdita e la rinuncia ad ogni ricordo di vita terrena: ”una fontana di cui un sorso basta a disperdere nell’oblio tutti i residui di vita reale che si hanno addosso. Solo pochissimi però, di quanti si presentano qui per entrare, hanno ancora bisogno di servirsi di essa. Del resto in questo cielo arrivano in pochi e quasi tutti dalla Germania. Da lì stesso, anzi, solo da qualche tempo a questa parte. Per secoli nessuno è mai venuto da lì. I teorici di allora andavano a finire con i pratici nel cielo giuridico comune. Solo da cinque o sei decenni son cominciati ad arrivare i primi tedeschi. Il primo che si è presentato si chiamava Puchta, ma dopo di lui l’afflusso è cresciuto in misura molto soddisfacente. Per Savigny a suo tempo ci sono state grandi difficoltà. Egli no si intendeva abbastanza di costruzioni e stava lì lì per venire respinto.
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Ma alla fine il suo studio sul possesso ne decise le sorti. Fu esso a fare ritenere che, in fondo, egli aveva dimostrato di disporre in sufficiente misura della dote che devono avere tutti quanti chiedono di entrare qui dentro e che è quella di esser capaci di determinare interamente i caratteri di ciacun istituto basandosi solo sui testi e su deduzioni concettuali,senza preoccuparsi affatto del suo effettivi significato pratico. Anche lo scritto sulla vocazione del nostro tempo alla legislazione e alla giurisprudenza gli fu tenuto in conto, in grazia delle sue buone intenzioni e degli effetti benefici che esso ebbe sui suoi contemporanei. Si ritenne infatti che senza di esso gli sforzi in atto per la eliminazione del diritto romano dalla Germania e per la redazione di un codice autoctono avrebbero avuto successo assai prima di quanto non sia realmente avvenuto”.Leggendo l’opuscolo si scoprono altre raffigurazioni che ben rendono l’idea dell’incolmabile differenza,tanto criticata da Jhering,che distingue i pensatori del diritto da coloro i quali quotidianamente si trovano ad applicarlo a casi concreti: i primi hanno addirittura una zona del cervello speciale,il mons idealis ,che dà sin dalla nascita al futuro teorico il dono del pensiero idealistico che non è da confondere con il pensiero astratto: “Della capacità di astrarre tutti hanno bisogno e il giurista pratico in prima linea:se la natura non l’ha molto provveduto sotto questo riguardo è la sua stessa professione che lo educa,per quel tanto che occorre alla sua attività. Ma è il pensiero idealistico che costituisce il tratto tipico preminente del giurista teorico e si identifica con l’idoneità a considerare i problemi giuridici prescindendo completamente dai presupposti della loro attuazione”.
RispondiEliminaSolo sul finale il tono dello Jhering diviene più serio e concretamente egli suggerisce,di “Ritorno sulla terra”, rimedi e proposte alla scienza romanistica tedesca del suo tempo. Egli stesso ammette come il suo attacco alla giurisprudenza dei concetti,”questa specie di scolastica degli studi romanistici contemporanei”, sia profondo.
La teoria e le sue elucubrazioni sono da tenere a freno e tre sono i mezzi proposti a tal fine. “ Il primo è di far compiere ai futuri cattedratici un periodo di pratica durante il periodo legale di uditorato che deve precedere l’esercizio professionale. Il secondo mezzo sta nel disciplinare gli studi giuridici nelle Università in modo conforme alle loro effettive finalità. Degli insegnamenti impartiti è il docente stesso che deve fare applicazione e si vedrà subito fino a che punto questo sia possibile. Egli avrà così modo di convincersi che una cosa è enunciare in astratto una differenza e una cosa dimostrare come la si possa in concreto riconoscere. Da più di quarant’anni tengo esercitazioni di Pandette e non so dire adeguatamente quanto mi abbiano giovato: è grazie ad esse che è diventata per me una seconda natura valutare ogni norma, concetto o distinzione, facendone mentalmente applicazione a un caso pratico in modo da controllare le astrazioni con la casistica. Il terzo rimedio che propongo è inteso a provocare una duplice riforma del sistema attuale d’esame, tanto in ordine alle modalità del suo svolgimento quanto in merito alla composizione delle commissioni esaminatrici. Tutto il valore dell’esame dipende dall’idoneità dell’esaminatore”. Tutto questo perché il male ha messo le sue radici proprio nell’ambiente universitario. La formazione di due ceti professionali completamente distinti, quello dei teorici e dei pratici del diritto, deriva innanzitutto dall’interesse dell’insegnamento, nonché dalla strada della cattedra, questa infatti “ passa per la tipografia: senza proto niente professori!”.
da "Serio e faceto nella giurisprudenza" di R. Jhering
Monica De Angelis