martedì 29 marzo 2011
Consolidazioni e codificazioni
http://ahrf.revues.org/628
E' in francese e tratta delle leggi progettate o promulgate tra 1789 e 1799, Quello che la storiografia ha chiamato "Droit intermédiaire", ma che qui Halpérin propone di vedere come un "diritto ideologico". Chi capisce il francese scritto può leggerlo. Gli altri possono cercare documentazione in rete e consigliarla sul blog.
domenica 27 marzo 2011
Dall'assolutismo giuridico alla codificazione
venerdì 25 marzo 2011
I vostri interventi su blog
martedì 22 marzo 2011
Lo Stato, il diritto e l'assolutismo giuridico
domenica 20 marzo 2011
Gli illuministi e la “lotta contro l’interpretazione”
Un contributo di Sandro Notari
Uno dei bersagli della polemica degli illuministi era la lotta contro l’interpretatio iudicis.
La condanna dell’interpretazione giudiziale era in sostanza condanna all’interpretazione arbitraria che trasformava il giudice in legislatore (Beccaria, Verri). Più cauto Genovesi, maestro degli illuministi napoletani.
Gli illuministi ricorrevano frequentemente all’aforisma baconiano: «Si iudex transiret in legislatorem, omnia ex arbitrio penderent».
Legalità versus equità. Gli illuministi identificavano il diritto con la manifestazione legislativa (positivismo). La giustizia che ricorreva all’equità rendeva confuso, contraddittorio, incerto il diritto.
La principale aspirazione era rivolta alla certezza del diritto, ad una facile prevedibilità della sentenza, che richiedeva la semplicità del sistema.
Nella battaglia contro interpretatio quale fatto creativo di norme (teorizzato e praticato nel diritto comune storico) il principale bersaglio è l’interpretazione giudiziale, ma la polemica degli illuministi si estendeva anche al ricorso all’auctoritas doctorum, alla dottrina.
Il programma, che coerentemente porterà alla codificazione del diritto, discendeva dalla (dichiarata) lettura di Montesquieu: il quale aveva teorizzato l’attribuzione ad organi separati delle funzioni sovrane, e quindi il superamento della precedente concezione unitaria della sovranità.
Siamo alle origini di uno dei principi cardine dello Stato di diritto.
Testi di riferimento:
P. Verri, Sull’interpretazione delle leggi, da «Il Caffé», 1765-1766:
«Se il giudice diventa legislatore, la libertà politica è annichilita il giudice diventa legislatore sì tosto che è lecito interpretar la legge; dunque si proibisca al giudice l’interpretar la legge; dunque si riduca ad esser mero esecutore della legge; dunque eseguisca la legge nel puro e stretto significato delle parole e nella materiale disposizione della lettera».
“Interpretare vuol dire sostituire se stesso al luogo di chi ha scritto la legge ed indagare cosa il legislatore avrebbe verisimilmente deciso nel tale o tal altro caso su cui non parla chiaramente la legge. Interpretare significa far dire al legislatore più di quello che ha detto, e quel più è la misura della facoltà legislatrice che si arroga il giudice. Su due casi può aver luogo la interpretazione: il primo caso è quando nella legge non sia preveduto l’affare che si deve decidere e che sia affare nuovo, sul quale non siavi legge alcuna chiara e manifesta; il secondo caso è quando nel corpo delle leggi vi siano due diversi principii, fra i quali sia dubbio quale dei due debba diriggere la decisione dell’affare. Nella prima supposizione il giudice, col pretesto d’interpretare la mente del legislatore, realmente fabbrica una nuova legge sulla quale appoggia una sentenza, e conseguentemente il legislatore ed il giudice coincidono perfettamente nella stessa persona. Nella seconda supposizione poi il disordine è meno palese, ma non però vi sta meno: poiché il giudicare con leggi fabbricate di propria opinione, ovvero il giudicare sulle leggi legittimamente promulgate bensì, ma molteplici, varie, opposte, ed avere la scelta libera di prenderne ora l’una ed ora l’altra, sulle quali stabilire sentenze opposte in casi altronde simili, è presso a poco, quanto alla sicurezza e libertà politica, la cosa medesima, e il giudice che abbia facoltà di scegliere più una legge che un’altra per giudicare un caso è realmente legislatore, essendo che ei dà forza di legge più ad un testo che ad un altro della legge istessa. Dunque l’interpretar la legge fa diventare legislatore il giudice e confonde le due persone del legislatore e del giudice, dalla assoluta separazione delle quali dipende essenzialmente la libertà politica d’una nazione».
C. Beccaria, Dei Delitti e delle pene, cap. IV (1764):
«Non v’è cosa più pericolosa di quell’assioma comune che bisogna consultare lo spirito della legge. Questo è un argine rotto al torrente delle opinioni... Lo spirito della legge sarebbe… il risultato di una buona o cattiva logica di un giudice, di una facile o malsana digestione, dipenderebbe dalla violenza delle sue passioni, dalla debolezza di chi soffre, dalle relazioni del giudice coll’offeso e da tutte quelle minime forze che cangiano le apparenze di ogni oggetto nell’animo fluttuante dell’uomo. Quindi veggiamo la sorte di un cittadino cambiarsi spesse volte nel passaggio che fa a diversi tribunali, e le vite de’ miserabili essere la vittima dei falsi raziocini o dell’attuale fermento degli umori d’un giudice, che prende per legittima interpretazione il vago risultato di tutta quella confusa serie di nozioni che gli muove la mente. Quindi veggiamo gli stessi delitti dallo stesso tribunale puniti diversamente in diversi tempi, per aver consultato non la costante e fissa voce della legge, ma l’errante instabilità delle interpretazioni. Un disordine che nasce dalla rigorosa osservanza della lettera di una legge penale non è da mettersi in confronto coi disordini che nascono dalla interpretazione. Un tal momentaneo inconveniente spinge a fare la facile e necessaria correzione alle parole della legge, che sono la cagione dell’incertezza, ma impedisce la fatale licenza di ragionare, da cui nascono le arbitrarie e venali controversie. Quando un codice fisso di leggi, che si debbono osservare alla lettera, non lascia al giudice altra incombenza che di esaminare le azioni de’ cittadini, e giudicarle conformi o difformi alla legge scritta, quando la norma del giusto e dell’ingiusto, che deve dirigere le azioni sí del cittadino ignorante come del cittadino filosofo, non è un affare di controversia, ma di fatto, allora i sudditi non sono soggetti alle piccole tirannie di molti».
Montesquieu, De l'esprit des lois, 1748
L. VI, cap. III, Dans quels gouvernements et dans quels cas on doit juger selon un texte précis de la loi.
«Più il governo si avvicina alla repubblica, più la maniera di giudicare diventa stabile; ed era un difetto della repubblica di Sparta che gli èfori giudicassero arbitrariamente, senza che vi fossero leggi per dirigerli. A Roma, i primi consoli giudicavano come gli èfori; se ne avvertirono gli inconvenienti, e si fecero leggi precise.
Negli Stati dispotici non vi è legge: il giudice è egli stesso la regola. Negli Stati monarchici vi è una legge: laddove è precisa, il giudice la segue; laddove non lo è, ne ricerca lo spirito. Nel governo repubblicano, è nella natura stessa della costituzione che i giudici seguano la lettera della legge. Non è lecito interpretare una legge a danno di nessun cittadino, quando si tratta dei suoi beni, del suo onore, o della sua vita».
L. VI, cap. XI, De la constitution d’Angleterre
«Les juges de la nation ne sont que la bouche qui prononce les paroles de la loi des êtres inanimés qui n'en peuvent modérer ni la force, ni la rigueur. …. En général la puissance de juger ne doive être unie à aucune partie de la législative»
martedì 15 marzo 2011
Il cristianesimo felice del Paraguay
programma d'esame per gli studenti frequentanti
Non è necessario effettuare subito la scelta. Si può attendere lo sviluppo del corso e le eventuali curiosità suscitate dalle lezioni. Invece è importante iniziare a leggere qualche saggio, per chiedere chiarimenti a lezione o sul blog, ed iniziare a dialogare su qualche tema saliente.