vi prego di non prendere le mie parole in tono polemico; é solo un suggerimento.
Oggi, 30 minuti dopo la fine della lezione sono andata in Biblioteca per consultare Muratori "Dei difetti della giurisprudenza"; lo avrei letto per un'oretta e rimesso al suo posto ma era stato già portato via (in prestito) da uno studente per un tempo "indeterminato" (infatti i prestiti possono durare fino ad 1 mese).
Volevo quindi suggerire, per le prossime volte, di prendere solo in visione i libri che ci vengono suggeriti a lezione...senza portarli via...altrimenti gli altri studenti del corso non potranno lavorarci sopra.
Scusate i numerosi post ma me li cancella automaticamente e non so perché, se ne pubblico due di seguito il primo lo cancella. Quindi ne riporto una parte soltanto...
L'opera si incentra sul Cristianesimo primitivo, importato dai Gesuiti in Paraguay. Il Muratori si formò nello spirito di tale cristianesimo, e criticava in particolare il lassismo della Chiesa e il temporalismo papale. Era inoltre profondamente convinto che l'Italia e l'Europa versassero in uno stato di decadenza culturale pressoché irreversibile; per questo non poteva che apprezzare il tentativo dei Gesuiti di realizzare in Paraguay una nuova comunità, per certi versi utopistica, lontana anni luce dagli apparati temporali e dal cristianesimo "barocco". C'è da premettere che il ruolo dei Gesuiti nel nuovo continente fu di fondamentale importanza, non solo per l'opera di evangelizzazione, e dunque per la realizzazione di missioni cattoliche in America Latina, ma anche al fine di tutelare e garantire le comunità di Indios. Lo strumento utilizzato fu quello delle "Reducciones de Indios", veri e propri centri organizzati ed amministrati dai Gesuiti, al fine di creare una società con le caratteristiche della c.d. "società cristiana europea", eliminandone al contempo vizi ed aspetti negativi. Prima dell'arrivo dei Gesuiti, collocabile all'incirca nel 1610 (anno della fondazione della prima missione di San Ignacio Guazù in Paraguay), i guarani vivevano in una sorta di età della pietra, e conducevano una vita nomade. Finalità delle riduzioni era proprio quella di indurre gli Indios ad abbandonare tale modus vivendi, fissandosi in modo stabile in alcuni villaggi organizzati (saranno circa 33). L'esperimento si concluse nel 1767, quando la Compagnia di Gesù fu espulsa dalle colonie spagnole con l'accusa di accumulare ricchezze. Di questa esperienza rimangono alcuni documenti, tra i quali le lettere di un Gesuita modenese, Padre Gaetano Cattaneo, spedite da una riduzione in Paraguay nel 1730. Tali testimonianze sono state appunto pubblicate dal Muratori per la prima volta nel 1743. Ma l'autore non riporta solamente memorie, si premura di assicurare più volte circa l'autenticità dei fatti riportati. Ebbe difatti modo di ottenere notizie dal Principe di Santo Buono, ex viceré del Perù, che incontrò al suo ritorno a Bologna. L'Opera ebbe comunque un grande riscontro, testimoniato dalle numerose ristampe e riedizioni, sia per il prestigio del Muratori, sia per l'interesse che le riducciones suscitavano, in positivo e in negativo.
Nella premessa l’autore fornisce al lettore una serie di istruzioni ed indicazioni, quasi a disegnare un percorso per una agevole lettura e comprensione del testo; inizia indicando appunto che suo intento è quello di deliziare e soddisfare la curiosità dei Lettori italici e che ad essi addirittura egli procurerà due piaceri, il primo consistente nella descrizione di luoghi e paesaggi lontani, fatta indossando la veste del viaggiatore, di colui che conosce ed ha visto e goduto dei posti di cui si appresta a narrare, il secondo invece rivolto primariamente ai buoni Cattolici, i quali nella lettura di tale operetta potranno conoscere a fondo dello sviluppo e dell’attività operosa e feconda delle Missioni della Chiesa Cattolica fra le popolazioni dell’America Meridionale. Qualche riga dopo il Muratori svela ed ammette però che egli viaggiatore non è, anzi a più riprese sottolinea e rimarca il fatto di non aver mai varcato i confini italici. Ciononostante l’autore ritiene di conoscere perfettamente la terra ed i luoghi di cui si accinge a trattare, per effetto di una sorta di immedesimazione, che gli consente di vedere attraverso gli occhi di Padre Gaetano Cattaneo, sacerdote modenese della Compagnia di Gesù, esperto conoscitore dell’America meridionale dal 1729 al 1733, anno in cui muore a seguito di una febbre maligna nella Riduzione di Santa Rosa. Le fonti cui questi attinge per la stesura dell’opera sono dunque costituite dalle lettere del sacerdote, in cui sono raccolti pensieri e mirabili descrizioni dei paesaggi e dei popoli incontrati, nonché da una Relazione delle missioni del Paraguay, scritta da un canonico nel 1690, ed inoltre dalla “Relacion Historial de las missiones de los Indios, que llaman Chiquitos”, scritta dal padre Gian Patricio Fernandez, della Compagnia di Gesù, stampata nel 1726. Al Muratori preme inoltre citare l’esistenza di altre opere sulla materia, ma di cui egli non intende avvalersi, un po’ in quanto scritte in lingua latina, un po’ per la difficoltà di reperimento in Italia, dove sostiene non esser queste mai pervenute; e laddove conosciute e pervenute, ormai inadatte a descrivere la realtà attuale del paese, giacchè risalenti ad un secolo prima. L’opera è suddivisa in ventitré capitoli, si inizia con una descrizione delle Sacre Missioni della Chiesa Cattolica per poi addentrarsi nella descrizione dei luoghi, a volte anche minuziosa, e delle ricchezze ed opportunità offerte dal territorio. continua
Mi scuso fin da ora ma ho avuto il tempo di leggere con attenzione soltanto i primi 3 capitoli dell’opera; indi ne allego una brevissima sintesi. Come accennato, nel primo capitolo l’autore si preoccupa di definire in cosa consiste l’attività della Missione, le persone che la compongono (gli Apostolici Operai, che “spontaneamente corrono ad arrolarsi da sotto le insegne del Crocifisso per passare alle Sacre Missioni”), nonché i motivi che hanno spinto alla creazione della stessa e alla permanenza dei Gesuiti sul territorio (“uno de’ più bei pregi d’essa Chiesa Cattolica è questa santa premura di propagar la luce del Vangelo, e di liberar dalle Tenebre que’ popoli, che quantunque creature di Dio non son giunti finora a conoscere”). Il secondo capitolo si apre con una serie di indicazioni e notizie sull’America meridionale e sui popoli e sovrani europei che si sono succeduti nella conquista dei suoi territori, conquista niente affatto indolore, anzi cruenta e vile, accompagnata dalla conversione forzata al Cristianesimo delle popolazioni locali. Segue nel terzo capitolo una descrizione accurata del territorio, ad esempio dei fiumi in esso presenti, nella parte settentrionale il Gran fiume, chiamato Maragnon, e poi in seguito definito Rio delle Amazzoni; nel Paraguay invece si incontra il secondo fiume importante, il Rio della Plata, Fiume d’Argento, così erroneamente denominato dai primi colonizzatori europei che ne rinvennero alcuni granelli sulle sue sponde; si passa poi alla descrizione delle terre, ricche di pianure fertili e generose, ma anche di terre aride e sterili, e di pantani; dei rilievi montuosi e dei boschi, fitti ed impenetrabili. Pesce, cacciagione ed i prodotti della terra sono in abbondanza e consentono agli indigeni di viver bene; il Muratori elogia poi qualità e virtù di cibarie e bevande, il mais ed il pane fra tutti, ma anche una sorta di birra, ricavata dallo stesso mais.
Si passa poi ad una disamina della fauna locale e di quella introdotta dagli Spagnoli, nonché dei costumi e tradizioni degli autoctoni, le cui donne ad esempio non si curano di coprirsi di abiti, un po’ per incuria un po’ per il troppo caldo.
Muratori auspica il grande cambiamento alla luce di una situazione particolarmente difficile e guarda al lontano Paraguay...lì "attraverso sacrifici e peripezie di ogni genere ,i Gesuiti riuscirono a fondare nell'arco di un secolo(1607/1707)decine di riduzioni..piccole città dove educare gli indiani alla religione e alla vita civile.Sotto la guida sapiente dei padri missionari,le riduzioni del Paraguay divennero complessi urbanistici perfettamente organizzati con un buon grado di benessere generale".http://docs.google.com/viewer?a=v&q=cache:bvuOJaZeKf8J:www.gesuiti.it/img/second/immagini/reducciones.pdf+il+cristianesimo+felice+del+paraguay
Buonasera a tutti, nel cercare una copia online del libro del "Dei delitti e delle pene" di Beccaria sono riuscita a trovarne una in versione per e-book (per i più tecnologici);mi sembra che nella lettura stanchi di meno gli occhi rispetto a quella originale. Allego di seguito comunque entrambi i link, e colgo l'occasione per ringraziare eleonora per aver reso disponibile la copia di Birocchi in copisteria.
buongiorno a tutti, la mia è una riflessione sul libro Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, in particolare su uno spunto dato a lezione. ho riscontrato in effetti la concezione utilitaristica del diritto di stampo illuminista nelle pagine che Beccaria dedica alla pena di morte. ovunque, infatti, si legge che lui è stato uno dei primi a dichiararsi contrario a questa sanzione, ma il motivo spesso non è riportato: Beccaria crede che la pena di morte non sia "nè utile, nè necessaria" in uno Stato di diritto, durante il tranquillo regno delle leggi, perchè ben altra funzione di deterrente spetta alla carcerazione e all'ergastolo, sintetizzabile con il pensiero "io stesso sarò ridotto a così lunga e misera condizione se commetterò miseri misfatti". Basta quindi sostituire il pensiero del carcere a vita, della schiavitù perpetua intesa come privazione di ogni libertà, alla pena di morte, per aversi effetti migliori sulle intenzioni delittuose di chicchessia, perchè con la seconda si dà alla popolazione un solo esempio di forza, esempio breve che molti affrontano con animo sereno, con la prima invece un solo delitto dà moltissimi e continui esempi, quelli del giogo, dei ceppi, delle catene, delle gabbie, durante ogni giorno in cui si attua. per dirla con parole dell'autore: "non è il terribile ma passeggero spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà il freno più forte contro i delitti".
Salve a tutti, prima di trattare nello specifico l'opera di Beccaria, "Dei delitti e delle pene", volevo fare una premessa per quanto riguarda il diritto penale nel XVIII secolo.
La seconda metà del XVIII secolo vide un intenso dibattito, senza precedenti, intorno al problema penale.Di fatto, prima di quell'epoca, il problema non era mai stato posto in termini generali e astratti.In effetti, in tutta Europa sino al secolo XVII i sistemi di repressione di tutti quei comportamenti non conformisti che erano oggetto della materia penale possedevano una larga base di consenso, che nel corso del XVIII secolo iniziò a incrinarsi.I primi segni di opposizione nei confronti della repressione penale si manifestarono nel corso del Seicento contro le nuove regole penali introdotte dai nuovi centri di potere, ovvero dal potere politico accentrato monarchico.Si trattava,nella sostanza, di resistere all'accentramento politico, alle imposizioni fiscali che andavano a finanziare il nuovo e costoso ordine politico.L'illuminismo creava le basi ideologiche più adatte per una revisione completa e rivoluzionaria del concetto di "peccato" penale.Nel corso del XVIII secolo furono essenzialimente tre le prospettive che caratterizzarono le ideologie penalistiche: 1 l'UTILITARISMO, secondo il quale devono essere punite solo quelle azioni che è utile che vengano punite; 2 l'UMANITARISMO, per il quale non è necessario comminare pene più gravi di quanto non richeda l'utilità; 3 il PROPORZIONALISMO, secondo il quale la pena deve essere proporzionata al reato. continua
E' in questo clima culturale che va analizzata l'opera di BECCARIA, e in particolare il suo "Dei delitti e delle pene", il cui intento primario è quello di rendere autonomi i concetti di colpa e di pena rispetto all'orizzonte metafisico-religioso a cui erano stati sempre associati.Essi vanno valutati in un contesto esclusivamente terreno, ovvero dal punto di vista della società.In questa ottica, è solo in vista di una utilità sociale che è possibile leggittimare l'istituzione di una pena in relazione a una colpa.La GIUSTIZIA quindi va concepita come un'istituzione legata esclusivamente all'esistenza di uno Stato che si deve difendere attraverso l'elaborazione e l'applicazione di un sistema di leggi.Alla base di qualunque pena inflitta doveva esserci la certezza morale del giudice, illuminata dalla ragione comune.Le pene quindi venivanO da Beccaria considerate piuttosto dei mezzi di prevenzione e di sicurezza sociale, e non più delle vere e proprie punizioni espiatorie.Inoltre, PER EVITARE IL RICORSO ALL'INTERPRETAZIONE, è necessario che le leggi penali siano chiare e poche, che vengano scritte nella lingua popolare e nazionale, che siano raccolte in un codice e che siano di facile applicazione. GIORDANA DI GIOVANNI
dopo la lettura del testo Dei Delitti e Delle Pene di Cesare Beccaria, mi ha incuriosito individuare le radici del nostro attuale diritti umanitario nel testo del 1764. Possiamo infatti, vedere come molti dei principi trattati dal Beccaria siano oggi ripresi dalle nostre legislature e costituzioni. Sono ripresi non solo i principi più clamorosi, come la critica alla pena di morte che l'autore definisce essere una guerra di una nazione contro un cittadino e ne individua l'inutilità, ma anche principi come l'incarcerazione preventiva che, oggi è oggetto di abusi in violazione del diritto di libertà personale e del principio di presunzione d'innocenza. Il Beccaria viene a rilevare quanto sia necessario un diritto basato sulla certezza e sulla facile conoscibilità di esso al fine di sottrarre tale monopolio ai più forti e potenti che vengono a utilizzarlo in contrasto con la ratio stessa della parola “giustizia” e come mezzo di oppressione nei confronti dei più deboli e dei più poveri. L'autore si fa portavoce dei principi di uguaglianza individuando la necessità di pene giuste e proporzionali. Pone l’accento sul fatto che le leggi debbano essere uguali per tutti, dal primo all'ultimo cittadino, e che la pena debba essere valutata non in base al ceto sociale o alla malizia con cui si compie il delitto, ma esclusivamente in base al danno arrecato alla società. Il Beccaria viene a criticare l'utilizzo della tortura giudiziaria che è un carattere saliente della procedura inquisitoria del tempo, individuandone il carattere disumano e quanto questo sia controproducente. L'attenzione dell'autore si sofferma non solo sull'applicazione della tortura nei confronti dell'innocente ma anche nei confronti del colpevole, individuando come essa sia uno strumento a favore del più forte e del più robusto e non uno strumento a servizio della legge per la ricerca della verità. Citando una frase del Beccaria, " Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l'uomo cessi di esser persona e diventi cosa", vediamo che l'autore enfatizza la disumanità di tali pratiche barbariche e quanto esse siano inaffidabili come strumento di estrazione della confessione del reo. La pena di morte risulta essere poi lo strumento meno adatto alla funzione punitiva e rieducativa della legge ed espressione di un mondo privo di razionalità e compassione. Il Beccaria sostiene che non è la gravità della pena a disincentivare la popolazione alla commissione di delitti ma la certezza della sua applicazione, della prontezza e della sua estensione. Vediamo quindi una proposta di un diritto penale con un volto più umano e meno spettacolare. Infine bisogna riconoscere che l'autore ha incominciato, insieme con altri, a porre le basi a delle nuove procedure penali di tipo probatoria basata sull'imparzialità del giudice e sull'uguaglianza delle parti nel processo. Principio, oggi, tutelato dall'articolo 6 della CEDU che garantisce il processo giusto ed equo. Trovo giusto, quindi, apprezzare i primi passi compiuti dai filosofi del '600 e '700 che hanno posto il punto di partenza per quel percorso di tutela dei diritti umani e della salvaguardia del genere umano che oggi risulta essere facilmente messo in discussione.
io ho cercato qualcosa sull'analisi economica del diritto. a lezione il prof ha detto che l'atteggiamento illuminista deriva da una corrente inglese chiamata utilitarismo. L'UTILITARISMO è una dottrina filosofica di natura etica iniziata da Bentham che basa il giudizio morale sul "principio di utilità"( o "principio della massima felicità del maggior numero" o "principio della massima felicità"), dove l'utilità è ciò che produce vantaggio e che rende minimo il dolore e massimo il piacere.L'utilitarismo è quindi una teoria della giustizia secondo la quale è "giusto" compiere l'atto che, tra le alternative, massimizza la felicità complessiva, misurata tramite l'utilità. Finalità della giustizia è la massimizzazione del benessere sociale, quindi la massimizzazione della somma delle utilità dei singoli. Nella filosofia del diritto contemporanea l’approccio utilitaristico è spesso sostenuto da studiosi nel campo dell’analisi economica del diritto. L'ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO (in inglese LAW AND ECONOMICS), molto diffusa nei paesi di common law, indica gli studi interdisciplinari di diritto e discipline economiche che hanno come oggetto di indagine l'analisi economica delle norme giuridiche sia sotto il profilo positivo che normativo. Secondo questa teoria i problemi giuridici debbono essere analizzati e risolti attraverso una comparazione tra i diversi gradi di efficienza economica delle molteplici soluzioni ipotizzabili; da questo confronto, effettuato con modalità della scienza economica, emergerà la scelta più efficiente, ossia quella in grado di garantire a ciascun soggetto coinvolto il maggior numero possibile di vantaggi. Quindi l'analisi economica è un utile strumento per valutare le possibili forme di intervento pubblico e scegliere quella che , con maggiori probabilità, otterrà l'obiettivo perseguito.
..volevo aggiungere qualcosa sul testo di Beccaria. Dei delitti e delle pene (1764) di Cesare Beccaria é diviso in 42 brevi capitoli , ognuno dei quali tratta un aspetto specifico della questione dibattuta . Lo scopo dell' opera é di dimostrare l' assurdità e l' infondatezza del sistema giuridico vigente, in particolare Beccaria argomenta contro la pena di morte e contro le pratiche di tortura.
La tortura é quell' orrenda pratica con la quale si sottopone il presunto colpevole a parlare ; ma se il compito della giustizia é di punire chi commette ingiustizia , la tortura fa l' esatto opposto perchè colpisce tanto i criminali quanto gli innocenti , cercando di costringerli con la forza ad ammettere atti da loro non compiuti.La tortura poi é ingiustificata perchè si applica ancor prima della condanna : Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice . E, paradossalmente, con la tortura l'innocente é posto in peggiore condizione che il reo.
Ancora più complessa é la questione della pena di morte , ossia della vendetta istituzionalizzata.La prima argomentazione contro la pena di morte é che essa non é legittima: in primo luogo, essa offende il diritto che nasce dal contratto sociale , stipulato per garantire la sicurezza degli individui contraenti, non per deprivarli della vita; in secondo luogo, la pena di morte é contraria al diritto naturale secondo il quale l'uomo non ha la facoltà di uccidere se stesso e non può quindi conferirla ad altri. La seconda argomentazione è che essa non é necessaria: in primis, si dimostra che la pena di morte non é necessaria laddove regnino ordine politico e sicurezza civile; in secondo luogo si dimostra che essa non esercita una sufficiente funzione di deterrenza relativamente a furti e a delitti; le impressioni più profonde non sono quelle intense ma brevi (la pena di morte) , bensì quelle più deboli ma di lunga durata (il carcere). E la pena di morte é anche inutile: lo Stato, infliggendo la pena di morte, dà un cattivo esempio perchè infatti da un lato condanna l'omicidio e dall'altro lo commette, ora in pace ora in guerra. Secondo Beccaria occorrono pene miti , ma che vengano sempre applicate, altrimenti il cittadino corretto e rispettoso della legge , vedendo che i trasgressori la fanno franca e non vengono puniti dalla legge , comincerà ad odiare la legge stessa e a trasgredirla anch' egli , proprio perchè si sentirà preso in giro dallo Stato che vara leggi e poi non le fa applicare. La pena deve : 1 ) correggere il criminale per riportarlo sulla retta via ; 2 ) garantire alla società la sicurezza. Un altro elemento decisivo dell' opera é la distinzione tra reato e peccato . Questa laicizzazione della giustizia che propone Beccaria é anche la più forte ragione del rifiuto della pena di morte: era infatti proprio arrogandosi il diritto di esprimere insieme la legge umana e la legge divina che gli Stati potevano condannare a morte un presunto colpevole , quasi come se fosse Dio stesso a punirlo.
Tale saggio di Muratori si apre con una parte dedicata “a chi legge”, esplicitando che la lettura del presente testo darà ai lettori un duplice piacere, il primo derivante dalle descrizioni di luoghi remoti dell’ America Meridionale che molti non vedranno mai (per cui da tale lettura potranno “vivere” e immaginare tali paesaggi), il secondo riservato ai Cattolici perché si descrive come in tale porzione dell’ America si va propagando e insegnando il Cristianesimo, in modo particolare nel Paraguay. La Trattazione poi continua con un elogio delle missioni Cattoliche, che affrontano pericoli e si recano nei luoghi più impervi senza paura, protetti dal “Divino Spirito”, e incontrano notevoli difficoltà nell’ inserire la “semente Evangelica” in quelle zone facile anche a sradicarsi (ad es. per divieti imposti dagli stessi governi o a causa di interessi maggiori). Si passa quindi ad un excursus storico sulla colonizzazione dell’ America meridionale da parte di Spagnoli e Portoghesi, la cui conquista dei territori viene contrapposta all’ opera dei missionari e in particolare della “Compagnia del Gesù”: infatti mentre i colonizzatori, si pongono in maniera ostile nei confronti degli indigeni distruggendo le loro risorse e uccidendo i “barbari” con atti di pirateria, il tutto nel nome del Cristianesimo (Muratori mostra apertamente nel testo la sua ostilità verso questi conquistatori, definendoli “scellerati, che mi vergogno di nominar Cristiani”), diversa si presenta invece la tecnica di “civilizzazione degli indigeni” perpetrata dalle Missioni. La Compagnia del Gesù cerca la civilizzazione di queste popolazioni non in maniera ostile, ma vivendo tra loro, secondo modalità che Muratori descrive minuziosamente. La tecnica utilizzata dalle Missioni consiste nel radunare gli indigeni in un unico territorio per insegnar loro la convivenza e l’aiuto reciproco, per poi passare all’ insegnamento delle tecniche di coltivazione, di caccia e pesca e infine all’educazione e istruzione secondo i principi della morale Cristiana che porta progressivamente alla civilizzazione e alla fondazione di “Riduzioni”. La civilizzazione da parte delle missioni avviene quindi non con lo sfruttamento dei “barbari”, ma con la loro istruzione. Il compito dei missionari non è comunque privo di rischi: raggiungere gli indigeni in quelle terre non è facile, i problemi poi erano accentuati se in quelle popolazioni vi erano i sacerdoti “Avvocati fedeli del diavolo” (penso si riferisca agli stregoni tribali delle popolazioni indigene, che veneravano la natura e gli astri come forme divine); il pericolo più grande era però costituito dalla possibilità di trovar la morte per mano di quegli stessi indigeni, che odiavano i colonizzatori e per questo vedevano con astio chiunque si avvicinasse a loro.
...(continua) Muratori si dilunga infine sulla descrizione delle Riduzioni dei novelli cristiani, con la loro struttura organizzativa presieduta da sacerdoti, le loro feste e cerimonie , paragonandoli a fanciulli per la loro semplicità, perché essendo “come bestie” prima dell’ intervento dei Missionari, vi è un totale attecchimento dei principi della morale Cristiana, corredato poi da amore e rispetto nei confronti dei sacerdoti. L’operetta si chiude con una descrizione delle varie missioni sempre nell’ America del sud. Il testo descrive minuziosamente i paesaggi, la vegetazione, gli animali, usi e costumi degli indigeni sudamericani: sembra quasi di trovarsi tra le mani il testo di uno studioso, un antropologo, per la specificità e analiticità delle descrizioni, quasi che Muratori anticipasse “L’ origine delle specie” Darwiniana, da collocarsi un secolo dopo rispetto a questo testo. Tale scientificità del testo fa emergere il lato illuminista dell’ autore, illuminismo che tende a contestualizzare le regole per non perdersi nel rigido formalismo (come fa Montesquieu nel suo “Spirito delle leggi”, con riferimento alle forme di governo): si evidenzia l’ aspetto funzionale di ogni scienza affrontato a lezione. La trattazione pone un’ enfasi particolare sul mondo cristiano evidenziando l’ origine dell’ autore stesso, sacerdote e quindi parte di quel Cristianesimo che tanto viene decantato nel testo (da ciò si può dedurre anche che la contrapposizione illuminismo- Chiesa non può essere presa come un dogma assoluto, ma va sempre contestualizzata e vista in un’ ottica relativa). Muratori affronta una tematica molto attuale in quel periodo: la scoperta del nuovo mondo e di nuove aree desta l’ attenzione non solo di studiosi e uomini di scienza, ma anche di filosofi e letterati: si pensi infatti anche all’ opera di Francis Bacon “La nuova Atlantide” , che affronta la tematica del viaggio , della colonizzazione (ma in questo caso saranno i cosiddetti indigeni a insegnar qualcosa ai popoli “colti”, con un’ inversione di ruoli rispetto a Muratori), a cui fa da sfondo la componente direi immanente della religione Cristiana. Chiudo con una piccola notazione personale: nel descrivere le popolazioni indigene, Muratori è molto analitico ed elogia senza riserve l’ opera dei missionari, non ponendosi il minimo dubbio sulla necessità di tale intervento di “civilizzazione”nei loro confronti, che può essere per lui solamente positivo (anzi,oserei dire che non si pone minimamente il problema di giustizia o meno di una tale ingerenza massiva in un altro ambiente ): in tal modo però assolutizza la sua civiltà , i suoi usi e costumi,sganciandoli dal contesto effettivo, a discapito di quelli degli indigeni, peccando quindi di quel formalismo assoluto che vieni invece osteggiato dagli illuministi (Forse in questo ha tanto influito la sua appartenenza alla Chiesa). Per chiudere, mi chiedo come tali indigeni, avendone la possibilità, avrebbero descritto conquistatori e missionari: probabilmente non avrebbero usato la stessa enfasi e gioia manifestata da Muratori.
Il desiderio, l’esigenza di raccontare di una società utopistica, che il Muratori delinea chiaramente nell’operetta “Il Cristianesimo felice del Paraguay”, muove da una sensazione di insofferenza, di malcontento nei confronti della situazione in cui versa l’Europa del tempo; proprio a cagione di ciò l’autore colloca questo tipo di società al di fuori dei confini europei, nel nuovo Continente, laddove la realizzazione dell’utopia appare più realizzabile, anche per il fatto che non c’è tutto il substrato culturale e sociale di convenzioni e prassi radicate nel cuore dell’Europa. Il disincanto del Muratori, che è consapevole che il mondo descritto nel suo Cristianesimo felice del Paraguay, costituito e popolato di bellezze ed amenità, è utopistico e mostrante una realtà sociale auspicabile, ma difficilmente realizzabile in concreto, mi ricorda molto un’opera di un altro illustre illuminista, formatosi anch’egli come giurista, ma di fatto fine intellettuale e filosofo, François-Marie Arouet, alias Voltaire. Anch’egli, proprio come il Muratori, ricevette per lo più una formazione di stampo giuridico, compiendo gli studi notarili senza convinzione, principalmente per assecondare i desideri del padre notaio. In realtà a segnare il suo destino furono gli studi intrapresi in gioventù presso il collegio gesuita di Louis-le-Grand, in cui dimostrò grande interesse e propensione per gli studi umanistici, filosofia e retorica in primis, e che fu costretto ad abbandonare, su pressione del padre (il quale manifestava espressamente tutto il suo disappunto verso gli studi umanistici e letterari, nonché verso le frequentazioni di salotti e circoli filosofici, quali a esempio, la Societé du Temple di Parigi), in favore dell’iscrizione alla Scuola superiore di diritto. Nel suo “Candide, ou l’optimisme” (Candido o l’ottimismo), edito più di un decennio dopo lo scritto di Muratori, nel 1759, che ho avuto l’occasione ed il piacere di leggere ben più di qualche anno fa, mi pare di scorgere in parte premesse comuni a quelle da cui muove il Muratori nell’accingersi alla stesura dell’operetta sulle riduzioni del Paraguay: egli racconta di un mondo fantastico, a primo impatto un paradiso agli occhi del protagonista Candido, il quale si trova poi a riconoscere che quello stesso mondo, nel quale non sono contemplate nè prigioni né povertà, definito con l’appellativo di “eldorado” è pieno di insidie e mali. Ciononostante, la sua visione disincantata del mondo non lo conduce ad un’esaltazione assoluta del pessimismo, sebbene ricordi di aver pensato a più riprese il contrario durante la lettura del libro, forse poiché molto colpita da tutte le peripezie, avventure ed eventi nefasti con cui il protagonista si trovava continuamente a far i conti. (continua)
In questo racconto Voltaire si dissocia e rifiuta categoricamente il concetto, sancito da Leibniz (che ritroviamo condiviso anche dal Muratori nell’opera “Della pubblica felicità”, concetto illuminista “cardine”, che si estrinseca con l’affidamento in capo ai sovrani “illuminati” del compito di governare saggiamente per la felicità del popolo), secondo cui occorre "vivere nel migliore dei mondi possibili": in tal senso e a riprova di questo egli colloca al fianco di Candido il personaggio di Pangloss, suo precettore, incarnante e riflettente la figura del filosofo tedesco, intento ad istruire il giovane ad osservare e valutare il mondo che lo circonda con ottimismo, nonostante gli capitino in continuazione persecuzioni e disavventure. Con ogni probabilità l’autore arrivò alla redazione di una simile opera sulla scorta di tutta una serie di vicende personali poco fortunate, il cui incipit fu rappresentato dal devastante terremoto di Lisbona del 1755, che rase al suolo la città e rimase talmente impresso nella sua mente al punto da spingerlo a dedicare al sisma ben tre opere: il Poema sul disastro di Lisbona, il Poema sulla legge naturale nonchè alcuni capitoli del Candido (i due poemi di fatto prepararono la stesura del Candido). Tali vicende lo spinsero dunque a raffrontarsi e a credere in una visione disincantata del mondo, che strideva alquanto con lo spirito prettamente ottimistico degli “illuminati”. Per queste ragioni fra le due opere prese in questione in questo intervento mi sento di concludere che in merito a queste sia possibile operare un parallelismo ed un raffronto, che le ponga ad un tempo in posizione simmetrica e speculare l’un l’altra, ma che ne evidenzi chiaramente, sotto l’ultimo profilo analizzato, differenze ed approdi antitetici raggiunti dagli autori.
Mi scuso se posto più commenti ma me li cancella sempre, quindi sto cercando di dividere il commento stesso in più parti, sperando che me lo lasci! Volevo scrivere quello che mi era parso più importante sull'opera "Dei delitti e delle pene di Beccaria
E’ un opuscolo datato 1764, che costituisce sicuramente uno dei manifesti più importanti dell’Illuminismo, se si considera anche l’influenza che ha avuto sugli scrittori e pensatori successivi. Inizialmente Beccaria decise di fare uscire il testo come anonimo per paura delle ripercussioni, e infatti, furono molte le reazioni di condanna anche e soprattutto dalla Chiesa Cattolica che inserì il libretto nell’Indice dei libri proibiti (a causa della distinzione operata tra reato e peccato). L’opuscolo ebbe grande successo soprattutto in Francia, e ciò gli fruttò l’invito ad andare a Parigi. Tuttavia, la mancanza dell’Italia e della famiglia lo indussero a ritornare presto in patria. Anche Beccaria concepiva la cultura in termini utilitaristici, come strumento di intervento concreto sulla realtà con il fine di migliorare la situazione di vita degli uomini. Lo scopo dell’opera è di dimostrare l’assurdità e l’infondatezza del sistema giuridico esistente (“pochissimi hanno esaminata e combattuta la crudeltà delle pene e l'irregolarità delle procedure criminali”), visto come sistema repressivo e violento, che si traduce non nel benessere bensì nella sofferenza della maggior parte dei cittadini. Entrando nello specifico dell’opera: questa si apre con la spiegazione dell’origine delle pene, prevedendo che gli uomini si sono dati delle leggi per vivere in società, stanchi delle continue guerre, e riconobbero come depositario delle leggi stesse il sovrano. Tuttavia, si pone la necessità di difenderle dalle altrui usurpazioni private mediante la previsione (appunto) di pene previste contro coloro che infrangono le leggi. “Ogni pena che non derivi dall'assoluta necessità, dice il grande Montesquieu, è tirannica”. Il diritto di punire affidato al sovrano deriva dunque dalla necessità di difendere il deposito della salute pubblica alle usurpazioni private. (continua)
La prima conseguenza che ne deriva è che solo le leggi possono prevedere le pene per gli illeciti, autorità espressamente attribuita solo al legislatore (“che rappresenta tutta la società unita per un contratto sociale”): secondo i principi di legalità e riserva di legge. Seconda conseguenza è che l’individuo è legato alla società e viceversa, sicché è interesse di tutti che vengano osservati i patti “utili al maggior numero”. La figura del magistrato nasce per giudicare la verità di un fatto. Non è possibile, quindi, neanche un’interpretazione della legge da parte degli stessi. Strumento pericoloso è il consultare lo spirito della legge perché la sorte dei cittadini sarebbe affidata agli umori e alle passioni e alle convinzioni dei giudici, e si potrebbero avere soluzioni diverse in tempi diversi su un medesimo fatto. Direttamente collegato al “male” dell’interpretazione è il “male” consistente nella oscurità della legge, trattandosi di una legge scritta in una lingua non conosciuta (“straniera”) al popolo che costringe il popolo stesso a dipendere da altre poche persone. Secondo Beccaria, più saranno coloro che riescono ad intendere la legge, meno saranno i delitti. Di qui, l’importanza fondamentale anche della stampa che consente a un numero sempre maggiore di persone di possedere libri, di conoscere le leggi, anzi, di essere “depositario delle sante leggi”. Punto di grande interesse riguarda la proporzionalità della pena: cioè, la pena deve essere proporzionata al delitto commesso. Proprio per questo, Beccaria prevede una “scala” dei delitti al cui vertice sono collocati quelli “che distruggono immediatamente la società”, mentre l’ultimo gradino è occupato dalla minima ingiustizia fatta al privato. Qualunque azione che non sia ricompresa in questi due estremi non può essere considerata delitto. L’unica misura dei delitti è il danno fatto alla Nazione. (continua)
Beccaria si oppone nettamente alla pena di morte e alla tortura. Il principio ispiratore su cui si basa il pensiero dell’autore è la presunzione di innocenza (“un uomo non si può chiamare reo prima della sentenza del giudice”), la tortura, quindi, si pone in netta contrapposizione con questo principio, consistendo in un’afflizione che viene irrogata all’imputato non ancora riconosciuto responsabile dell’atto illecito. Se compito della giustizia è punire chi commette un crimine, la tortura non si sposa neanche con questa affermazione colpendo, indistintamente innocenti e colpevoli per ottenere una confessione del crimine. Che poi, non si presenta neanche come strumento utile a tal fine poiché anche un innocente finirà per ammettere colpe che non ha commesso pur di far cessare i supplizi. L’autore dice espressamente che questo sembra essere un uso ereditato dalle idee religiose e spirituali. Per quanto riguarda, invece, la pena di morte, Beccaria riconosce la sua utilità ma solo in Stati particolarmente deboli in cui i criminali fanno ciò che vogliono. Se lo Stato, al contrario, è forte, riuscirà a punire senz’altro il criminale, il quale sapendo che verrà punito non infrangerà la legge. Occorre, quindi, la certezza dell’applicazione della pena “perché i mali, anche minimi, quando son certi, spaventano sempre gli animi umani”, cioè, occorre che le pene vengano sempre applicate perché altrimenti il criminale sapendo di poter evitare le pena commetterà senza dubbio l’illecito. Inoltre, funzione della pena è anche la rieducazione del condannato, rieducazione che mancherà nel caso di pena di morte. La pena di morte non è né legittima né necessaria, viene meno allo spirito del contratto sociale e non è un deterrente efficace contro la criminalità. (continua)
Lo Stato in questo modo contraddirà sé stesso, da un lato condannando l’omicidio e dall’altro commettendolo esso stesso. Le pene devono essere utili, volte al recupero e non alla repressione, devono essere viste non come vedetta ma come risarcimento. Il fine delle stesse “non è quello di tormentare o affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso”, ma di evitare che il reo possa commettere altri danni ai cittadini dello Stato (impedire che al male già arrecato se ne aggiunga altro). Più la pena sarà vicina al delitto commesso, tanto più sarà utile e giusta perché risparmia l’accusato dall’incertezza e soprattutto essendovi la carcerazione preventiva fino alla condanna, la carcerazione stessa deve essere più breve possibile. (continua)
L’autore perviene alla conclusione che è meglio prevenire i delitti che punirli, che è anche il fine di ogni “buona legislazione”. La soluzione per prevenire i delitti sta nella chiarezza e semplicità delle leggi e nel timore degli uomini verso le stesse: “Il timor delle leggi è salutare, ma fatale e fecondo di delitti è quello di uomo a uomo”. Concludendo “perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev'essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a' delitti, dettata dalle leggi".
Buonasera a tutti,
RispondiEliminavi prego di non prendere le mie parole in tono polemico; é solo un suggerimento.
Oggi, 30 minuti dopo la fine della lezione sono andata in Biblioteca per consultare Muratori "Dei difetti della giurisprudenza"; lo avrei letto per un'oretta e rimesso al suo posto ma era stato già portato via (in prestito) da uno studente per un tempo "indeterminato" (infatti i prestiti possono durare fino ad 1 mese).
Volevo quindi suggerire, per le prossime volte, di prendere solo in visione i libri che ci vengono suggeriti a lezione...senza portarli via...altrimenti gli altri studenti del corso non potranno lavorarci sopra.
Grazie.
Desiree De Michelis
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RispondiEliminaScusate i numerosi post ma me li cancella automaticamente e non so perché, se ne pubblico due di seguito il primo lo cancella. Quindi ne riporto una parte soltanto...
RispondiEliminaL'opera si incentra sul Cristianesimo primitivo, importato dai Gesuiti in Paraguay. Il Muratori si formò nello spirito di tale cristianesimo, e criticava in particolare il lassismo della Chiesa e il temporalismo papale. Era inoltre profondamente convinto che l'Italia e l'Europa versassero in uno stato di decadenza culturale pressoché irreversibile; per questo non poteva che apprezzare il tentativo dei Gesuiti di realizzare in Paraguay una nuova comunità, per certi versi utopistica, lontana anni luce dagli apparati temporali e dal cristianesimo "barocco".
C'è da premettere che il ruolo dei Gesuiti nel nuovo continente fu di fondamentale importanza, non solo per l'opera di evangelizzazione, e dunque per la realizzazione di missioni cattoliche in America Latina, ma anche al fine di tutelare e garantire le comunità di Indios.
Lo strumento utilizzato fu quello delle "Reducciones de Indios", veri e propri centri organizzati ed amministrati dai Gesuiti, al fine di creare una società con le caratteristiche della c.d. "società cristiana europea", eliminandone al contempo vizi ed aspetti negativi. Prima dell'arrivo dei Gesuiti, collocabile all'incirca nel 1610 (anno della fondazione della prima missione di San Ignacio Guazù in Paraguay), i guarani vivevano in una sorta di età della pietra, e conducevano una vita nomade. Finalità delle riduzioni era proprio quella di indurre gli Indios ad abbandonare tale modus vivendi, fissandosi in modo stabile in alcuni villaggi organizzati (saranno circa 33).
L'esperimento si concluse nel 1767, quando la Compagnia di Gesù fu espulsa dalle colonie spagnole con l'accusa di accumulare ricchezze. Di questa esperienza rimangono alcuni documenti, tra i quali le lettere di un Gesuita modenese, Padre Gaetano Cattaneo, spedite da una riduzione in Paraguay nel 1730. Tali testimonianze sono state appunto pubblicate dal Muratori per la prima volta nel 1743. Ma l'autore non riporta solamente memorie, si premura di assicurare più volte circa l'autenticità dei fatti riportati. Ebbe difatti modo di ottenere notizie dal Principe di Santo Buono, ex viceré del Perù, che incontrò al suo ritorno a Bologna. L'Opera ebbe comunque un grande riscontro, testimoniato dalle numerose ristampe e riedizioni, sia per il prestigio del Muratori, sia per l'interesse che le riducciones suscitavano, in positivo e in negativo.
A.G.
Nella premessa l’autore fornisce al lettore una serie di istruzioni ed indicazioni, quasi a disegnare un percorso per una agevole lettura e comprensione del testo; inizia indicando appunto che suo intento è quello di deliziare e soddisfare la curiosità dei Lettori italici e che ad essi addirittura egli procurerà due piaceri, il primo consistente nella descrizione di luoghi e paesaggi lontani, fatta indossando la veste del viaggiatore, di colui che conosce ed ha visto e goduto dei posti di cui si appresta a narrare, il secondo invece rivolto primariamente ai buoni Cattolici, i quali nella lettura di tale operetta potranno conoscere a fondo dello sviluppo e dell’attività operosa e feconda delle Missioni della Chiesa Cattolica fra le popolazioni dell’America Meridionale.
RispondiEliminaQualche riga dopo il Muratori svela ed ammette però che egli viaggiatore non è, anzi a più riprese sottolinea e rimarca il fatto di non aver mai varcato i confini italici.
Ciononostante l’autore ritiene di conoscere perfettamente la terra ed i luoghi di cui si accinge a trattare, per effetto di una sorta di immedesimazione, che gli consente di vedere attraverso gli occhi di Padre Gaetano Cattaneo, sacerdote modenese della Compagnia di Gesù, esperto conoscitore dell’America meridionale dal 1729 al 1733, anno in cui muore a seguito di una febbre maligna nella Riduzione di Santa Rosa.
Le fonti cui questi attinge per la stesura dell’opera sono dunque costituite dalle lettere del sacerdote, in cui sono raccolti pensieri e mirabili descrizioni dei paesaggi e dei popoli incontrati, nonché da una Relazione delle missioni del Paraguay, scritta da un canonico nel 1690, ed inoltre dalla “Relacion Historial de las missiones de los Indios, que llaman Chiquitos”, scritta dal padre Gian Patricio Fernandez, della Compagnia di Gesù, stampata nel 1726.
Al Muratori preme inoltre citare l’esistenza di altre opere sulla materia, ma di cui egli non intende avvalersi, un po’ in quanto scritte in lingua latina, un po’ per la difficoltà di reperimento in Italia, dove sostiene non esser queste mai pervenute; e laddove conosciute e pervenute, ormai inadatte a descrivere la realtà attuale del paese, giacchè risalenti ad un secolo prima.
L’opera è suddivisa in ventitré capitoli, si inizia con una descrizione delle Sacre Missioni della Chiesa Cattolica per poi addentrarsi nella descrizione dei luoghi, a volte anche minuziosa, e delle ricchezze ed opportunità offerte dal territorio.
continua
Mi scuso fin da ora ma ho avuto il tempo di leggere con attenzione soltanto i primi 3 capitoli dell’opera; indi ne allego una brevissima sintesi.
RispondiEliminaCome accennato, nel primo capitolo l’autore si preoccupa di definire in cosa consiste l’attività della Missione, le persone che la compongono (gli Apostolici Operai, che “spontaneamente corrono ad arrolarsi da sotto le insegne del Crocifisso per passare alle Sacre Missioni”), nonché i motivi che hanno spinto alla creazione della stessa e alla permanenza dei Gesuiti sul territorio (“uno de’ più bei pregi d’essa Chiesa Cattolica è questa santa premura di propagar la luce del Vangelo, e di liberar dalle Tenebre que’ popoli, che quantunque creature di Dio non son giunti finora a conoscere”).
Il secondo capitolo si apre con una serie di indicazioni e notizie sull’America meridionale e sui popoli e sovrani europei che si sono succeduti nella conquista dei suoi territori, conquista niente affatto indolore, anzi cruenta e vile, accompagnata dalla conversione forzata al Cristianesimo delle popolazioni locali.
Segue nel terzo capitolo una descrizione accurata del territorio, ad esempio dei fiumi in esso presenti, nella parte settentrionale il Gran fiume, chiamato Maragnon, e poi in seguito definito Rio delle Amazzoni; nel Paraguay invece si incontra il secondo fiume importante, il Rio della Plata, Fiume d’Argento, così erroneamente denominato dai primi colonizzatori europei che ne rinvennero alcuni granelli sulle sue sponde; si passa poi alla descrizione delle terre, ricche di pianure fertili e generose, ma anche di terre aride e sterili, e di pantani; dei rilievi montuosi e dei boschi, fitti ed impenetrabili.
Pesce, cacciagione ed i prodotti della terra sono in abbondanza e consentono agli indigeni di viver bene; il Muratori elogia poi qualità e virtù di cibarie e bevande, il mais ed il pane fra tutti, ma anche una sorta di birra, ricavata dallo stesso mais.
Si passa poi ad una disamina della fauna locale e di quella introdotta dagli Spagnoli, nonché dei costumi e tradizioni degli autoctoni, le cui donne ad esempio non si curano di coprirsi di abiti, un po’ per incuria un po’ per il troppo caldo.
Flavia Mancini
Muratori auspica il grande cambiamento alla luce di una situazione particolarmente difficile e guarda al lontano Paraguay...lì "attraverso sacrifici e peripezie di ogni genere ,i Gesuiti riuscirono a fondare nell'arco di un secolo(1607/1707)decine di riduzioni..piccole città dove educare gli indiani alla religione e alla vita civile.Sotto la guida sapiente dei padri missionari,le riduzioni del Paraguay divennero complessi urbanistici perfettamente organizzati con un buon grado di benessere generale".http://docs.google.com/viewer?a=v&q=cache:bvuOJaZeKf8J:www.gesuiti.it/img/second/immagini/reducciones.pdf+il+cristianesimo+felice+del+paraguay
RispondiEliminahttp://www.gliscritti.it/arte_fede/mission.htm
RispondiEliminaBuonasera a tutti,
RispondiEliminanel cercare una copia online del libro del "Dei delitti e delle pene" di Beccaria sono riuscita a trovarne una in versione per e-book (per i più tecnologici);mi sembra che nella lettura stanchi di meno gli occhi rispetto a quella originale.
Allego di seguito comunque entrambi i link, e colgo l'occasione per ringraziare eleonora per aver reso disponibile la copia di Birocchi in copisteria.
http://www.letturelibere.net/download.php?id=82
http://books.google.com/books?id=Zb5CAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=beccaria+dei+delitti+e+delle+pene&hl=it&ei=uXyCTffMK4bHsga4tZmfAw&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CCgQ6AEwAA#v=onepage&q&f=false
Flavia Mancini
buongiorno a tutti, la mia è una riflessione sul libro Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, in particolare su uno spunto dato a lezione. ho riscontrato in effetti la concezione utilitaristica del diritto di stampo illuminista nelle pagine che Beccaria dedica alla pena di morte. ovunque, infatti, si legge che lui è stato uno dei primi a dichiararsi contrario a questa sanzione, ma il motivo spesso non è riportato: Beccaria crede che la pena di morte non sia "nè utile, nè necessaria" in uno Stato di diritto, durante il tranquillo regno delle leggi, perchè ben altra funzione di deterrente spetta alla carcerazione e all'ergastolo, sintetizzabile con il pensiero "io stesso sarò ridotto a così lunga e misera condizione se commetterò miseri misfatti". Basta quindi sostituire il pensiero del carcere a vita, della schiavitù perpetua intesa come privazione di ogni libertà, alla pena di morte, per aversi effetti migliori sulle intenzioni delittuose di chicchessia, perchè con la seconda si dà alla popolazione un solo esempio di forza, esempio breve che molti affrontano con animo sereno, con la prima invece un solo delitto dà moltissimi e continui esempi, quelli del giogo, dei ceppi, delle catene, delle gabbie, durante ogni giorno in cui si attua. per dirla con parole dell'autore: "non è il terribile ma passeggero spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà il freno più forte contro i delitti".
RispondiEliminaLucio Maria Lanzetti
L.M.Lanzetti@gmail.com
Salve a tutti,
RispondiEliminaprima di trattare nello specifico l'opera di Beccaria, "Dei delitti e delle pene", volevo fare una premessa per quanto riguarda il diritto penale nel XVIII secolo.
La seconda metà del XVIII secolo vide un intenso dibattito, senza precedenti, intorno al problema penale.Di fatto, prima di quell'epoca, il problema non era mai stato posto in termini generali e astratti.In effetti, in tutta Europa sino al secolo XVII i sistemi di repressione di tutti quei comportamenti non conformisti che erano oggetto della materia penale possedevano una larga base di consenso, che nel corso del XVIII secolo iniziò a incrinarsi.I primi segni di opposizione nei confronti della repressione penale si manifestarono nel corso del Seicento contro le nuove regole penali introdotte dai nuovi centri di potere, ovvero dal potere politico accentrato monarchico.Si trattava,nella sostanza, di resistere all'accentramento politico, alle imposizioni fiscali che andavano a finanziare il nuovo e costoso ordine politico.L'illuminismo creava le basi ideologiche più adatte per una revisione completa e rivoluzionaria del concetto di "peccato" penale.Nel corso del XVIII secolo furono essenzialimente tre le prospettive che caratterizzarono le ideologie penalistiche:
1 l'UTILITARISMO, secondo il quale devono essere punite solo quelle azioni che è utile che vengano punite;
2 l'UMANITARISMO, per il quale non è necessario comminare pene più gravi di quanto non richeda l'utilità;
3 il PROPORZIONALISMO, secondo il quale la pena deve essere proporzionata al reato.
continua
E' in questo clima culturale che va analizzata l'opera di BECCARIA, e in particolare il suo "Dei delitti e delle pene", il cui intento primario è quello di rendere autonomi i concetti di colpa e di pena rispetto all'orizzonte metafisico-religioso a cui erano stati sempre associati.Essi vanno valutati in un contesto esclusivamente terreno, ovvero dal punto di vista della società.In questa ottica, è solo in vista di una utilità sociale che è possibile leggittimare l'istituzione di una pena in relazione a una colpa.La GIUSTIZIA quindi va concepita come un'istituzione legata esclusivamente all'esistenza di uno Stato che si deve difendere attraverso l'elaborazione e l'applicazione di un sistema di leggi.Alla base di qualunque pena inflitta doveva esserci la certezza morale del giudice, illuminata dalla ragione comune.Le pene quindi venivanO da Beccaria considerate piuttosto dei mezzi di prevenzione e di sicurezza sociale, e non più delle vere e proprie punizioni espiatorie.Inoltre, PER EVITARE IL RICORSO ALL'INTERPRETAZIONE, è necessario che le leggi penali siano chiare e poche, che vengano scritte nella lingua popolare e nazionale, che siano raccolte in un codice e che siano di facile applicazione.
RispondiEliminaGIORDANA DI GIOVANNI
Buongiorno a tutti,
RispondiEliminadopo la lettura del testo Dei Delitti e Delle Pene di Cesare Beccaria, mi ha incuriosito individuare le radici del nostro attuale diritti umanitario nel testo del 1764. Possiamo infatti, vedere come molti dei principi trattati dal Beccaria siano oggi ripresi dalle nostre legislature e costituzioni. Sono ripresi non solo i principi più clamorosi, come la critica alla pena di morte che l'autore definisce essere una guerra di una nazione contro un cittadino e ne individua l'inutilità, ma anche principi come l'incarcerazione preventiva che, oggi è oggetto di abusi in violazione del diritto di libertà personale e del principio di presunzione d'innocenza. Il Beccaria viene a rilevare quanto sia necessario un diritto basato sulla certezza e sulla facile conoscibilità di esso al fine di sottrarre tale monopolio ai più forti e potenti che vengono a utilizzarlo in contrasto con la ratio stessa della parola “giustizia” e come mezzo di oppressione nei confronti dei più deboli e dei più poveri.
L'autore si fa portavoce dei principi di uguaglianza individuando la necessità di pene giuste e proporzionali. Pone l’accento sul fatto che le leggi debbano essere uguali per tutti, dal primo all'ultimo cittadino, e che la pena debba essere valutata non in base al ceto sociale o alla malizia con cui si compie il delitto, ma esclusivamente in base al danno arrecato alla società. Il Beccaria viene a criticare l'utilizzo della tortura giudiziaria che è un carattere saliente della procedura inquisitoria del tempo, individuandone il carattere disumano e quanto questo sia controproducente. L'attenzione dell'autore si sofferma non solo sull'applicazione della tortura nei confronti dell'innocente ma anche nei confronti del colpevole, individuando come essa sia uno strumento a favore del più forte e del più robusto e non uno strumento a servizio della legge per la ricerca della verità. Citando una frase del Beccaria, " Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l'uomo cessi di esser persona e diventi cosa", vediamo che l'autore enfatizza la disumanità di tali pratiche barbariche e quanto esse siano inaffidabili come strumento di estrazione della confessione del reo.
La pena di morte risulta essere poi lo strumento meno adatto alla funzione punitiva e rieducativa della legge ed espressione di un mondo privo di razionalità e compassione. Il Beccaria sostiene che non è la gravità della pena a disincentivare la popolazione alla commissione di delitti ma la certezza della sua applicazione, della prontezza e della sua estensione. Vediamo quindi una proposta di un diritto penale con un volto più umano e meno spettacolare.
Infine bisogna riconoscere che l'autore ha incominciato, insieme con altri, a porre le basi a delle nuove procedure penali di tipo probatoria basata sull'imparzialità del giudice e sull'uguaglianza delle parti nel processo. Principio, oggi, tutelato dall'articolo 6 della CEDU che garantisce il processo giusto ed equo. Trovo giusto, quindi, apprezzare i primi passi compiuti dai filosofi del '600 e '700 che hanno posto il punto di partenza per quel percorso di tutela dei diritti umani e della salvaguardia del genere umano che oggi risulta essere facilmente messo in discussione.
Rebecca Lentini
io ho cercato qualcosa sull'analisi economica del diritto.
RispondiEliminaa lezione il prof ha detto che l'atteggiamento illuminista deriva da una corrente inglese chiamata utilitarismo.
L'UTILITARISMO è una dottrina filosofica di natura etica iniziata da Bentham che basa il giudizio morale sul "principio di utilità"( o "principio della massima felicità del maggior numero" o "principio della massima felicità"),
dove l'utilità è ciò che produce vantaggio e che rende minimo il dolore e massimo il piacere.L'utilitarismo è quindi una teoria della giustizia secondo la quale è "giusto" compiere l'atto che, tra le alternative, massimizza la felicità complessiva, misurata tramite l'utilità.
Finalità della giustizia è la massimizzazione del benessere sociale, quindi la massimizzazione della somma delle utilità dei singoli.
Nella filosofia del diritto contemporanea l’approccio utilitaristico è spesso sostenuto da studiosi nel campo dell’analisi economica del diritto.
L'ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO (in inglese LAW AND ECONOMICS), molto diffusa nei paesi di common law, indica gli studi interdisciplinari di diritto e discipline economiche che hanno come oggetto di indagine l'analisi economica delle norme giuridiche sia sotto il profilo positivo che normativo. Secondo questa teoria i problemi giuridici debbono essere analizzati e risolti attraverso una comparazione tra i diversi gradi di efficienza economica delle molteplici soluzioni ipotizzabili; da questo confronto, effettuato con modalità della scienza economica, emergerà la scelta più efficiente, ossia quella in grado di garantire a ciascun soggetto coinvolto il maggior numero possibile di vantaggi. Quindi l'analisi economica è un utile strumento per valutare le possibili forme di intervento pubblico e scegliere quella che , con maggiori probabilità, otterrà l'obiettivo perseguito.
..volevo aggiungere qualcosa sul testo di Beccaria.
RispondiEliminaDei delitti e delle pene (1764) di Cesare Beccaria é diviso in 42 brevi capitoli , ognuno dei quali tratta un aspetto specifico della questione dibattuta . Lo scopo dell' opera é di dimostrare l' assurdità e l' infondatezza del sistema giuridico vigente, in particolare Beccaria argomenta contro la pena di morte e contro le pratiche di tortura.
La tortura é quell' orrenda pratica con la quale si sottopone il presunto colpevole a parlare ; ma se il compito della giustizia é di punire chi commette ingiustizia , la tortura fa l' esatto opposto perchè colpisce tanto i criminali quanto gli innocenti , cercando di costringerli con la forza ad ammettere atti da loro non compiuti.La tortura poi é ingiustificata perchè si applica ancor prima della condanna : Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice . E, paradossalmente, con la tortura l'innocente é posto in peggiore condizione che il reo.
Ancora più complessa é la questione della pena di morte , ossia della vendetta istituzionalizzata.La prima argomentazione contro la pena di morte é che essa non é legittima: in primo luogo, essa offende il diritto che nasce dal contratto sociale , stipulato per garantire la sicurezza degli individui contraenti, non per deprivarli della vita; in secondo luogo, la pena di morte é contraria al diritto naturale secondo il quale l'uomo non ha la facoltà di uccidere se stesso e non può quindi conferirla ad altri. La seconda argomentazione è che essa non é necessaria: in primis, si dimostra che la pena di morte non é necessaria laddove regnino ordine politico e sicurezza civile; in secondo luogo si dimostra che essa non esercita una sufficiente funzione di deterrenza relativamente a furti e a delitti; le impressioni più profonde non sono quelle intense ma brevi (la pena di morte) , bensì quelle più deboli ma di lunga durata (il carcere). E la pena di morte é anche inutile: lo Stato, infliggendo la pena di morte, dà un cattivo esempio perchè infatti da un lato condanna l'omicidio e dall'altro lo commette, ora in pace ora in guerra.
Secondo Beccaria occorrono pene miti , ma che vengano sempre applicate, altrimenti il cittadino corretto e rispettoso della legge , vedendo che i trasgressori la fanno franca e non vengono puniti dalla legge , comincerà ad odiare la legge stessa e a trasgredirla anch' egli , proprio perchè si sentirà preso in giro dallo Stato che vara leggi e poi non le fa applicare. La pena deve : 1 ) correggere il criminale per riportarlo sulla retta via ; 2 ) garantire alla società la sicurezza.
Un altro elemento decisivo dell' opera é la distinzione tra reato e peccato .
Questa laicizzazione della giustizia che propone Beccaria é anche la più forte ragione del rifiuto della pena di morte: era infatti proprio arrogandosi il diritto di esprimere insieme la legge umana e la legge divina che gli Stati potevano condannare a morte un presunto colpevole , quasi come se fosse Dio stesso a punirlo.
Muratori “il Cristianesimo felice del Paraguay”
RispondiEliminaTale saggio di Muratori si apre con una parte dedicata “a chi legge”, esplicitando che la lettura del presente testo darà ai lettori un duplice piacere, il primo derivante dalle descrizioni di luoghi remoti dell’ America Meridionale che molti non vedranno mai (per cui da tale lettura potranno “vivere” e immaginare tali paesaggi), il secondo riservato ai Cattolici perché si descrive come in tale porzione dell’ America si va propagando e insegnando il Cristianesimo, in modo particolare nel Paraguay.
La Trattazione poi continua con un elogio delle missioni Cattoliche, che affrontano pericoli e si recano nei luoghi più impervi senza paura, protetti dal “Divino Spirito”, e incontrano notevoli difficoltà nell’ inserire la “semente Evangelica” in quelle zone facile anche a sradicarsi (ad es. per divieti imposti dagli stessi governi o a causa di interessi maggiori).
Si passa quindi ad un excursus storico sulla colonizzazione dell’ America meridionale da parte di Spagnoli e Portoghesi, la cui conquista dei territori viene contrapposta all’ opera dei missionari e in particolare della “Compagnia del Gesù”: infatti mentre i colonizzatori, si pongono in maniera ostile nei confronti degli indigeni distruggendo le loro risorse e uccidendo i “barbari” con atti di pirateria, il tutto nel nome del Cristianesimo (Muratori mostra apertamente nel testo la sua ostilità verso questi conquistatori, definendoli “scellerati, che mi vergogno di nominar Cristiani”), diversa si presenta invece la tecnica di “civilizzazione degli indigeni” perpetrata dalle Missioni. La Compagnia del Gesù cerca la civilizzazione di queste popolazioni non in maniera ostile, ma vivendo tra loro, secondo modalità che Muratori descrive minuziosamente. La tecnica utilizzata dalle Missioni consiste nel radunare gli indigeni in un unico territorio per insegnar loro la convivenza e l’aiuto reciproco, per poi passare all’ insegnamento delle tecniche di coltivazione, di caccia e pesca e infine all’educazione e istruzione secondo i principi della morale Cristiana che porta progressivamente alla civilizzazione e alla fondazione di “Riduzioni”. La civilizzazione da parte delle missioni avviene quindi non con lo sfruttamento dei “barbari”, ma con la loro istruzione.
Il compito dei missionari non è comunque privo di rischi: raggiungere gli indigeni in quelle terre non è facile, i problemi poi erano accentuati se in quelle popolazioni vi erano i sacerdoti “Avvocati fedeli del diavolo” (penso si riferisca agli stregoni tribali delle popolazioni indigene, che veneravano la natura e gli astri come forme divine); il pericolo più grande era però costituito dalla possibilità di trovar la morte per mano di quegli stessi indigeni, che odiavano i colonizzatori e per questo vedevano con astio chiunque si avvicinasse a loro.
...(continua)
RispondiEliminaMuratori si dilunga infine sulla descrizione delle Riduzioni dei novelli cristiani, con la loro struttura organizzativa presieduta da sacerdoti, le loro feste e cerimonie , paragonandoli a fanciulli per la loro semplicità, perché essendo “come bestie” prima dell’ intervento dei Missionari, vi è un totale attecchimento dei principi della morale Cristiana, corredato poi da amore e rispetto nei confronti dei sacerdoti. L’operetta si chiude con una descrizione delle varie missioni sempre nell’ America del sud.
Il testo descrive minuziosamente i paesaggi, la vegetazione, gli animali, usi e costumi degli indigeni sudamericani: sembra quasi di trovarsi tra le mani il testo di uno studioso, un antropologo, per la specificità e analiticità delle descrizioni, quasi che Muratori anticipasse “L’ origine delle specie” Darwiniana, da collocarsi un secolo dopo rispetto a questo testo. Tale scientificità del testo fa emergere il lato illuminista dell’ autore, illuminismo che tende a contestualizzare le regole per non perdersi nel rigido formalismo (come fa Montesquieu nel suo “Spirito delle leggi”, con riferimento alle forme di governo): si evidenzia l’ aspetto funzionale di ogni scienza affrontato a lezione. La trattazione pone un’ enfasi particolare sul mondo cristiano evidenziando l’ origine dell’ autore stesso, sacerdote e quindi parte di quel Cristianesimo che tanto viene decantato nel testo (da ciò si può dedurre anche che la contrapposizione illuminismo- Chiesa non può essere presa come un dogma assoluto, ma va sempre contestualizzata e vista in un’ ottica relativa).
Muratori affronta una tematica molto attuale in quel periodo: la scoperta del nuovo mondo e di nuove aree desta l’ attenzione non solo di studiosi e uomini di scienza, ma anche di filosofi e letterati: si pensi infatti anche all’ opera di Francis Bacon “La nuova Atlantide” , che affronta la tematica del viaggio , della colonizzazione (ma in questo caso saranno i cosiddetti indigeni a insegnar qualcosa ai popoli “colti”, con un’ inversione di ruoli rispetto a Muratori), a cui fa da sfondo la componente direi immanente della religione Cristiana.
Chiudo con una piccola notazione personale: nel descrivere le popolazioni indigene, Muratori è molto analitico ed elogia senza riserve l’ opera dei missionari, non ponendosi il minimo dubbio sulla necessità di tale intervento di “civilizzazione”nei loro confronti, che può essere per lui solamente positivo (anzi,oserei dire che non si pone minimamente il problema di giustizia o meno di una tale ingerenza massiva in un altro ambiente ): in tal modo però assolutizza la sua civiltà , i suoi usi e costumi,sganciandoli dal contesto effettivo, a discapito di quelli degli indigeni, peccando quindi di quel formalismo assoluto che vieni invece osteggiato dagli illuministi (Forse in questo ha tanto influito la sua appartenenza alla Chiesa). Per chiudere, mi chiedo come tali indigeni, avendone la possibilità, avrebbero descritto conquistatori e missionari: probabilmente non avrebbero usato la stessa enfasi e gioia manifestata da Muratori.
Il desiderio, l’esigenza di raccontare di una società utopistica, che il Muratori delinea chiaramente nell’operetta “Il Cristianesimo felice del Paraguay”, muove da una sensazione di insofferenza, di malcontento nei confronti della situazione in cui versa l’Europa del tempo; proprio a cagione di ciò l’autore colloca questo tipo di società al di fuori dei confini europei, nel nuovo Continente, laddove la realizzazione dell’utopia appare più realizzabile, anche per il fatto che non c’è tutto il substrato culturale e sociale di convenzioni e prassi radicate nel cuore dell’Europa.
RispondiEliminaIl disincanto del Muratori, che è consapevole che il mondo descritto nel suo Cristianesimo felice del Paraguay, costituito e popolato di bellezze ed amenità, è utopistico e mostrante una realtà sociale auspicabile, ma difficilmente realizzabile in concreto, mi ricorda molto un’opera di un altro illustre illuminista, formatosi anch’egli come giurista, ma di fatto fine intellettuale e filosofo, François-Marie Arouet, alias Voltaire.
Anch’egli, proprio come il Muratori, ricevette per lo più una formazione di stampo giuridico, compiendo gli studi notarili senza convinzione, principalmente per assecondare i desideri del padre notaio.
In realtà a segnare il suo destino furono gli studi intrapresi in gioventù presso il collegio gesuita di Louis-le-Grand, in cui dimostrò grande interesse e propensione per gli studi umanistici, filosofia e retorica in primis, e che fu costretto ad abbandonare, su pressione del padre (il quale manifestava espressamente tutto il suo disappunto verso gli studi umanistici e letterari, nonché verso le frequentazioni di salotti e circoli filosofici, quali a esempio, la Societé du Temple di Parigi), in favore dell’iscrizione alla Scuola superiore di diritto.
Nel suo “Candide, ou l’optimisme” (Candido o l’ottimismo), edito più di un decennio dopo lo scritto di Muratori, nel 1759, che ho avuto l’occasione ed il piacere di leggere ben più di qualche anno fa, mi pare di scorgere in parte premesse comuni a quelle da cui muove il Muratori nell’accingersi alla stesura dell’operetta sulle riduzioni del Paraguay: egli racconta di un mondo fantastico, a primo impatto un paradiso agli occhi del protagonista Candido, il quale si trova poi a riconoscere che quello stesso mondo, nel quale non sono contemplate nè prigioni né povertà, definito con l’appellativo di “eldorado” è pieno di insidie e mali.
Ciononostante, la sua visione disincantata del mondo non lo conduce ad un’esaltazione assoluta del pessimismo, sebbene ricordi di aver pensato a più riprese il contrario durante la lettura del libro, forse poiché molto colpita da tutte le peripezie, avventure ed eventi nefasti con cui il protagonista si trovava continuamente a far i conti.
(continua)
In questo racconto Voltaire si dissocia e rifiuta categoricamente il concetto, sancito da Leibniz (che ritroviamo condiviso anche dal Muratori nell’opera “Della pubblica felicità”, concetto illuminista “cardine”, che si estrinseca con l’affidamento in capo ai sovrani “illuminati” del compito di governare saggiamente per la felicità del popolo), secondo cui occorre "vivere nel migliore dei mondi possibili": in tal senso e a riprova di questo egli colloca al fianco di Candido il personaggio di Pangloss, suo precettore, incarnante e riflettente la figura del filosofo tedesco, intento ad istruire il giovane ad osservare e valutare il mondo che lo circonda con ottimismo, nonostante gli capitino in continuazione persecuzioni e disavventure.
RispondiEliminaCon ogni probabilità l’autore arrivò alla redazione di una simile opera sulla scorta di tutta una serie di vicende personali poco fortunate, il cui incipit fu rappresentato dal devastante terremoto di Lisbona del 1755, che rase al suolo la città e rimase talmente impresso nella sua mente al punto da spingerlo a dedicare al sisma ben tre opere: il Poema sul disastro di Lisbona, il Poema sulla legge naturale nonchè alcuni capitoli del Candido (i due poemi di fatto prepararono la stesura del Candido).
Tali vicende lo spinsero dunque a raffrontarsi e a credere in una visione disincantata del mondo, che strideva alquanto con lo spirito prettamente ottimistico degli “illuminati”.
Per queste ragioni fra le due opere prese in questione in questo intervento mi sento di concludere che in merito a queste sia possibile operare un parallelismo ed un raffronto, che le ponga ad un tempo in posizione simmetrica e speculare l’un l’altra, ma che ne evidenzi chiaramente, sotto l’ultimo profilo analizzato, differenze ed approdi antitetici raggiunti dagli autori.
A domani,
Flavia Mancini
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RispondiEliminaMi scuso se posto più commenti ma me li cancella sempre, quindi sto cercando di dividere il commento stesso in più parti, sperando che me lo lasci!
RispondiEliminaVolevo scrivere quello che mi era parso più importante sull'opera "Dei delitti e delle pene di Beccaria
E’ un opuscolo datato 1764, che costituisce sicuramente uno dei manifesti più importanti dell’Illuminismo, se si considera anche l’influenza che ha avuto sugli scrittori e pensatori successivi. Inizialmente Beccaria decise di fare uscire il testo come anonimo per paura delle ripercussioni, e infatti, furono molte le reazioni di condanna anche e soprattutto dalla Chiesa Cattolica che inserì il libretto nell’Indice dei libri proibiti (a causa della distinzione operata tra reato e peccato). L’opuscolo ebbe grande successo soprattutto in Francia, e ciò gli fruttò l’invito ad andare a Parigi. Tuttavia, la mancanza dell’Italia e della famiglia lo indussero a ritornare presto in patria.
Anche Beccaria concepiva la cultura in termini utilitaristici, come strumento di intervento concreto sulla realtà con il fine di migliorare la situazione di vita degli uomini.
Lo scopo dell’opera è di dimostrare l’assurdità e l’infondatezza del sistema giuridico esistente (“pochissimi hanno esaminata e combattuta la crudeltà delle pene e l'irregolarità delle procedure criminali”), visto come sistema repressivo e violento, che si traduce non nel benessere bensì nella sofferenza della maggior parte dei cittadini.
Entrando nello specifico dell’opera: questa si apre con la spiegazione dell’origine delle pene, prevedendo che gli uomini si sono dati delle leggi per vivere in società, stanchi delle continue guerre, e riconobbero come depositario delle leggi stesse il sovrano. Tuttavia, si pone la necessità di difenderle dalle altrui usurpazioni private mediante la previsione (appunto) di pene previste contro coloro che infrangono le leggi. “Ogni pena che non derivi dall'assoluta necessità, dice il grande Montesquieu, è tirannica”. Il diritto di punire affidato al sovrano deriva dunque dalla necessità di difendere il deposito della salute pubblica alle usurpazioni private.
(continua)
La prima conseguenza che ne deriva è che solo le leggi possono prevedere le pene per gli illeciti, autorità espressamente attribuita solo al legislatore (“che rappresenta tutta la società unita per un contratto sociale”): secondo i principi di legalità e riserva di legge. Seconda conseguenza è che l’individuo è legato alla società e viceversa, sicché è interesse di tutti che vengano osservati i patti “utili al maggior numero”.
RispondiEliminaLa figura del magistrato nasce per giudicare la verità di un fatto. Non è possibile, quindi, neanche un’interpretazione della legge da parte degli stessi. Strumento pericoloso è il consultare lo spirito della legge perché la sorte dei cittadini sarebbe affidata agli umori e alle passioni e alle convinzioni dei giudici, e si potrebbero avere soluzioni diverse in tempi diversi su un medesimo fatto.
Direttamente collegato al “male” dell’interpretazione è il “male” consistente nella oscurità della legge, trattandosi di una legge scritta in una lingua non conosciuta (“straniera”) al popolo che costringe il popolo stesso a dipendere da altre poche persone. Secondo Beccaria, più saranno coloro che riescono ad intendere la legge, meno saranno i delitti. Di qui, l’importanza fondamentale anche della stampa che consente a un numero sempre maggiore di persone di possedere libri, di conoscere le leggi, anzi, di essere “depositario delle sante leggi”.
Punto di grande interesse riguarda la proporzionalità della pena: cioè, la pena deve essere proporzionata al delitto commesso. Proprio per questo, Beccaria prevede una “scala” dei delitti al cui vertice sono collocati quelli “che distruggono immediatamente la società”, mentre l’ultimo gradino è occupato dalla minima ingiustizia fatta al privato. Qualunque azione che non sia ricompresa in questi due estremi non può essere considerata delitto. L’unica misura dei delitti è il danno fatto alla Nazione.
(continua)
Beccaria si oppone nettamente alla pena di morte e alla tortura. Il principio ispiratore su cui si basa il pensiero dell’autore è la presunzione di innocenza (“un uomo non si può chiamare reo prima della sentenza del giudice”), la tortura, quindi, si pone in netta contrapposizione con questo principio, consistendo in un’afflizione che viene irrogata all’imputato non ancora riconosciuto responsabile dell’atto illecito. Se compito della giustizia è punire chi commette un crimine, la tortura non si sposa neanche con questa affermazione colpendo, indistintamente innocenti e colpevoli per ottenere una confessione del crimine. Che poi, non si presenta neanche come strumento utile a tal fine poiché anche un innocente finirà per ammettere colpe che non ha commesso pur di far cessare i supplizi. L’autore dice espressamente che questo sembra essere un uso ereditato dalle idee religiose e spirituali.
RispondiEliminaPer quanto riguarda, invece, la pena di morte, Beccaria riconosce la sua utilità ma solo in Stati particolarmente deboli in cui i criminali fanno ciò che vogliono. Se lo Stato, al contrario, è forte, riuscirà a punire senz’altro il criminale, il quale sapendo che verrà punito non infrangerà la legge. Occorre, quindi, la certezza dell’applicazione della pena “perché i mali, anche minimi, quando son certi, spaventano sempre gli animi umani”, cioè, occorre che le pene vengano sempre applicate perché altrimenti il criminale sapendo di poter evitare le pena commetterà senza dubbio l’illecito. Inoltre, funzione della pena è anche la rieducazione del condannato, rieducazione che mancherà nel caso di pena di morte. La pena di morte non è né legittima né necessaria, viene meno allo spirito del contratto sociale e non è un deterrente efficace contro la criminalità.
(continua)
Lo Stato in questo modo contraddirà sé stesso, da un lato condannando l’omicidio e dall’altro commettendolo esso stesso. Le pene devono essere utili, volte al recupero e non alla repressione, devono essere viste non come vedetta ma come risarcimento. Il fine delle stesse “non è quello di tormentare o affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso”, ma di evitare che il reo possa commettere altri danni ai cittadini dello Stato (impedire che al male già arrecato se ne aggiunga altro). Più la pena sarà vicina al delitto commesso, tanto più sarà utile e giusta perché risparmia l’accusato dall’incertezza e soprattutto essendovi la carcerazione preventiva fino alla condanna, la carcerazione stessa deve essere più breve possibile.
RispondiElimina(continua)
L’autore perviene alla conclusione che è meglio prevenire i delitti che punirli, che è anche il fine di ogni “buona legislazione”. La soluzione per prevenire i delitti sta nella chiarezza e semplicità delle leggi e nel timore degli uomini verso le stesse: “Il timor delle leggi è salutare, ma fatale e fecondo di delitti è quello di uomo a uomo”. Concludendo “perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev'essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a' delitti, dettata dalle leggi".
RispondiEliminaClaudia Zennaro