Potete inserire le vostre osservazioni sulle lezioni di Sandro Notari intorno ai tentativi illuministi di consolidazione a commento di questo post. Per le lezioni della prossima settimana vi invito a leggere l'articolo che trovate su
http://ahrf.revues.org/628
E' in francese e tratta delle leggi progettate o promulgate tra 1789 e 1799, Quello che la storiografia ha chiamato "Droit intermédiaire", ma che qui Halpérin propone di vedere come un "diritto ideologico". Chi capisce il francese scritto può leggerlo. Gli altri possono cercare documentazione in rete e consigliarla sul blog.
Nella seconda meta' del Settecento anche la situazione legislativa del piccolo Ducato di modena era caratterizzata da un estreo particolarismo.Accanto al diritto comune avevano rilievo sopratutto l'imponente corpo di norme di diritto statutario locale e la vastissima produzione, susseguitasi a partire dai primi anni del sedicesimo secolo, di norme principesche(ordini,decreti,gride).
RispondiEliminaA questa situazione di estrema incertezza del diritto decise di porre rimedio Francesco terzo che regno' nel Ducato di Modena dal 1737 al 1780.
Egli commissiono' a cinque insigni giuristi( tra i quali emerse la figura di Bartolomeo Valdrighi) il compito di compilare un codice che non solo riducesse ad uniformita' le diverse leggi e norme statutarie ma al tempo stesso abrogasse quelle or mai disapplicate da tempo e ne creasse di nuove,piu' rispondenti allle mutate esigenze ed in grado di risolvere le piu' comuni controversie nei tribunali
Nella seconda meta' del Settecento anche la situazione legislativa del piccolo Ducato di Modena era caratterizzata da un estremo particolarismo.Accanto al diritto comune avevano rilievo soprattutto l'imponente corpo di norme di diritto statutario locale e la vastissima produzione,susseguitasi a partire dai primi anni del sedicesimo secolo, di norme principesche(ordini,decreti,gride).
RispondiEliminaA questa situazione di estrema incertezza del diritto decise di porre rimedio Francesco terzo che regno' nel Ducato di Modena dal 1737 al 1780.
Egli commissiono' a cinque insigni giuristi ( tra i quali emerse la figura di Bartolomeo Valdrighi) il compito di compilare un codice che non solo riducesse ad uniformita' le diverse leggi e norme statutarie ma al tempo stesso abrogasse quelle ormai disapplicate da tempo e ne creasse di nuove, piu' rispondenti alle mutate esigenze ed in grado di risolvere le piu' comuni controversie nei tribunali.
La portata politica di tale progetto appariva chiara: il sovrano rivendicava a se' l'esclusiva facolta' di produrre un diritto che, nell'estrema chiarezza e razionalita' delle proprie norme,si poneva con autorita' al di sopra di giudici e consociati.
Francescp terzo, inoltre,impose che nel caso di dubbia interpretazione di una norma si facesse ricorso non all'arbitrio dei giuristi,bensi' all'interpretazione (autentica) fornita dal Supremo Consiglio di Giustizia,organo voluto e creato dallo stesso sovrano e in immediato contatto funzionale con questi.
Nel 1771,dunque,dopo circa due anni di lavoro da parte della commissione regia,vide la luce il CODICE DI LEGGI COSTITUZIONALI PER GLI STATI DI S.ALTEZZA SERENISSIMA (c.d. CODICE ESTENSE),che in cinque libri raccoglieva in maniera chiara ed uniforme la disciplina in materia di ordinamento giudiziario,di procedura civile e penale,di diritto privato e penale,di diritto feudale e fiscale.
Anche se il codice Estense risulta un'opera eccelllente dal punto di vista della ecnica di elaborazione,tuttavia non aboli' radicalmente il diritto preesistente,perche' ammetteva che,in via sussidiaria,venisse integrato dalle norme di diritto comune
Elisa
La portata politica di tale progetto appariva chiara: il sovrano rivendicava a se'l'esclusiva facolta' di produrre un diritto che, nell'estrema chiarezza e razionalita' delle proprie norme, si poneva con autorita' al di sopra di giudici e consociati.
RispondiEliminaFrancesco terzo,inoltre,impose che nel caso di dubbia interpretazione di una norma si facesse ricorso non all'arbitrio dei giuristi,bensi' all'interpretazione (autentica) fornita dal Supremo Consiglio di Giustizia, organo voluto e creato dallo stesso sovrano e in immmediato contatto funzionale con questi.
Nel 1771, dunque, dopo circa due anni di lavoro da parte della commissione regia, vide la luce IL CODICE DELLE LEGGI COSTITUZIONALI PER GLI STATI DI S.A;TEZZA SERENISSIMA (c.d.CODICE ESTENSE)che,in cinque libri raccoglieva in maniera chiara ed uniforme la disciplina in materia di ordinamento giudiziario,di procedura civile e penale,di diritto privato e penale,di diritto feudale e fiscale.
RispondiEliminaAnche se il codice Estense risulta un'opera eccellente dal punto di vista della tecnica di elaborazione,tuttavia non aboli' radicalmente il dirittto preesistene,perche' ammetteva che,in via sussidiaria,venisse integrato dalle norme di diritto comune.
Professore,non mi ero accorta che lei aveva pubblicato il mio post!!!!scusi se ho intasato il blog!!!!grazie mille.
RispondiEliminaNell'archivio del sito del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ho trovato un saggio la cui lettura mi sembra interessante:un paragrafo scritto da G.Bedoni è dedicato al diritto civile negli Stati Estensi dal codice del 1771.
RispondiEliminahttp://www.archivi.beniculturali.it/DGA-free/Saggi/Saggi_66_2a.pdf
Per chi volesse leggere la seconda parte,che per es. parla anche di Muratori,può andare nell'home page del sito : attività editoriali(colonna di sx)/pubblicazioni e periodici della DGA scaricabili gratuitamente/saggi/n.66
Possiamo dire che la storia sia ciclica? Infondo quest'idea del Sovrano come unica fonte di diritto e unico interprete l'aveva già avuta Giustiniano nel VI sec d.C......mi sembra che le modalità non fossero state troppo diverse: nomina di un'apposita commissione di giuristi, prevalenza del CJC sulle altre fonti...necessità di "interpretazione" unicamente da parte dell'imperatore in caso di dubbi....
RispondiEliminaGli Stati Moderni si ritrovarono nel 1700 sommersi dalla pesante eredità del diritto comune,dalle molteplici fonti composte dagli Statuti locali e dalle consuetudini.
RispondiEliminaTale caos normativo non soddisfaceva ormai più le esigenze della società del periodo,la certezza del diritto era necessità sentita e gli illuministi vedevano una soluzione nella codificazione.In questo contesto i sovrani al fine di accentrare il potere nella loro figura,riorganizzarono da un lato le istituzioni amministrative e giudiziarie in senso verticale,dall'altro accolsero le istanze dell'Illuminismo giuridico verso la semplificazione e unificazione del diritto allora vigente e verso la riconduzione della produzione e applicazione del diritto nelle mani del monarca.
Guardiamo al Ducato di Modena:Francesco III (1737-1780) istituisce nel 1761 Il Supremo Consiglio di Giustizia,con funzioni molto simili alla nostra odierna Corte di Cassazione in materia civile e penale per quelle cause che "prima erano divise,ed agitate in altri Magistrati"(cit.da Regolamento ed istruzioni pel Supremo Consiglio di Giustizia di Sua Altezza Serenissima tanto dell'aula civile, che criminale).
Tale istituzione viene incaricata inoltre di redigere un codice per lo Stato modenese,che secondo l'opinione di Crescimbene non è una semplice consolidazione.
Il Codice di leggi costituzionali per gli Stati di S.Altezza Serenissima viene emanato nel 1771,ad opera dell'allora Presidente del Supremo Consiglio Bartolomeo Valdrighi.Il testo modenese era sistematicamente ripartito in cinque libri:I° sulle strutture giudiziarie del ducato e sulla Procedura Civile,II° sul Diritto Privato,III° su Materie Feudali e Finanziarie,
IV° sulla Procedura Penale,V° sul Diritto Penale.
Esso nonostante imponga la supremazia dell'autorità di Federico III,non abolisce del tutto il diritto comune,lo accetta in via sussidiaria,qualora ci sia una lacuna che la legislazione regia non può colmare.Il codice Estense si inserisce comunque in un processo di unificazione giuridica che culminerà nel XIX secolo con le grandi codificazioni moderne.
Ho trovato su questo sito il Regolamento ed istruzioni pel Supremo Consiglio di Giustizia di Sua Altezza Serenissima tanto dell'aula civile, che criminale.
RispondiEliminahttp://www.fondiantichi.unimo.it/fa/710475/02.html
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RispondiEliminaCodice estense: consolidazione precodificazione?
RispondiEliminaRiguardo le diverse posizioni espresse in merito ai concetti di consolidazione e codificazione ricordiamo quella di Mario Viora che considera le prime come quelle raccolte normative che però non presentano ancora i segni distintivi dei codici riformatori illuministi. Contro la sua tesi si pone quella del Petronio, che reputa invece le codificazioni come un continuum delle stesse consolidazioni, non una novazione. E' proprio una di quelle che Viora riconosce come consolidazioni che mostra, a mio parere, la validità delle opposizioni di Petronio. Infatti il Codice Estense del 1771, promulgato da Francesco III, risulta ancorato all'esigenza di dare una legislazione uniforme al posto delle diverse normative degli Statuti locali, delle consuetudini dei vari Comuni. Esso stesso si riconosce non autosufficiente: "Ma per servare l'uniformità in tutta l'estensione si potrà unicamente per detto Caso ommesso ricorrere alla Disposizione del Gius Comune". In questo caso si vede come questo primo Codice ammetta da solo di aver bisogno di essere "perfezionato", se così si può dire. A tal proposito ricordiamo inoltre che Francesco III aveva ordinato alla sua commissione di seguire possibilmente quanto era stato fatto in Prussia, Francia e Piemonte. Ciò è visibile soprattutto nella distinzione tra la normativa statutaria e quella canonica, con la subordinazione di quest'ultima alla prima, su stampo della separazione francese delle competenze fra Stato e Chiesa al fine di evitare conflitti giurisdizionali. In più per alcuni parti (usufrutto, servitù, matrimonio...) venivano riprese le Costituzioni di Vittorio Amedeo II. Molto forte era la normazione che coinvolgesse anche il settore religioso. Ricordiamo molti articoli dedicati alla Manomorta, termine usato per descrivere lo stato dei beni ecclesiastici che erano inalienabili e non assoggettati alle tasse di successione. Tuttavia questo privilegio creava problemi alla libera circolazione dei beni, tanto che fu stabilito che fosse richiesta l'autorizzazione al Duca per ottenere la licenza e il decreto di ammortizzazione per destinare la proprietà o il possesso di beni ad enti morali ed ecclesiastici. Così, successivamente, nel 1851, verrà pubblicato il Codice che si mostrerà il frutto di un progetto unitario ed uniforme di orientamenti civili per l'intero Stato Estense. Questa è la prova che il Codice del 1771 è considerabile come una consolidazione, che pur ha in sè alcuni dei caratteri che Viora identifica come peculiari di una codificazione (ad es. introduzione di materiali nuovi) intesa come raccolta delle norme, ma che il vero Codice non sarebbe mai stato prolungato se prima non ci fosse stata un'opera simile alle spalle. La consolidazione può quindi essere riconosciuta come una sorta di lavoro preparatorio a quello che sarà poi il Codice.
Ylenia Coronas
P.s. Grazie a Monica per il suggerimento dell'archivio del sito per i Beni e le Attività culturali
Particolare interesse mi ha suscitato il CODICE NAPOLEOLE e per questo ho deciso di fare un piccolo approfondimento..
RispondiEliminaL’entrata in vigore del Codice Napoleone nel 1804 in Francia è un avvenimento fondamentale in quanto ha avuto una vasta ripercussione e una profonda influenza sullo sviluppo del pensiero giuridico moderno e contemporaneo. In realtà sono due le codificazioni che hanno maggiormente influenzato il nostro pensiero giuridico e queste sono : Il Corpus Iuris Civilis e appunto il Code Napoleon, ma solo con quest’ultimo si ha una codificazione così come la intendiamo noi oggi ovvero come un corpo di norme sistematico organizzato ed elaborate, mentre il digesto viene visto più come un antologia giuridica.
L’idea della codificazione nasce ad opera del pensiero illuministico, nella seconda metà del Settecento. In Francia la codificazione è potuta diventare realtà perché le idee illuministiche si sono incarnate in forze storico politiche dando luogo alla Rivoluzione francese, ed è proprio nel corso di questa che prende piede l’idea di codificare il diritto. Le idee che erano alla base del codice erano essenzialmente due: l’idea che vi potesse essere un legislatore universale( cioè un legislatore che detti leggi valide per tutti i luoghi e tutti i tempi) ; e quella di creare un diritto unitario e semplice. Quest’ultima è l’idea di fondo in quanto rappresenta più un’esigenza visto che in Francia a quel tempo vigevano una moltitudine di diritti territorialmente limitati; essa era divisa in due parti quella settentrionale dove vigevano le consuetudini locali e quella meridionale dove vigeva il diritto comune romano.
Gli illuministi erano convinti che il diritto storico, costituito da una selva di norme complicate e arbitrarie fosse solo una specie di diritto fenomenico e che al di là di esso, fondato sulla natura delle cose conoscibili dalla ragione umana, esistesse il vero diritto. Tale concezione rappresenta un aspetto di quel ritorno alla natura tipico dell’illuminismo. Ispirandosi alle concezioni rousseauviane (ovvero di Rosseau il quale considera la civiltà e i suoi costumi come la causa della corruzione dell’uomo che è di natura buono) e illuministiche i giurist i della Rivoluzione francese si propongono di eliminare la congerie di norme giuridiche prodotte dallo sviluppo storico e di sostituirle con un diritto fondato sulla natura e adatto alle universali esigenze umane. Il loro motto era :poche leggi , in quanto essi ritenevano che la molteplicità delle leggi fosse frutto di corruzione.
L’idea che una volta codificato il diritto fosse divenuto semplice, chiaro e accessibile a tutti,fu espressa in modo particolarmente vivace in un dibattito del 1790 all’Assemblea costituente per l’istaurazione delle giurie popolari (si tratta di quell’istituto giudiziario composto da semplici cittadini che devono giudicare sulle questioni di fatto). Il Sieyes sostenne che il giorno in cui fosse stata attuata la codificazione, il procedimento giudiziario sarebbe consistito in un mero giudizio di fatto in quanto il diritto sarebbe stato così chiaro che la determinazione della norma giuridica da applicare al caso in esame non avrebbe presentato alcuna difficoltà.
continua...
RispondiEliminaL’idea della codificazione fu realizzata dopo una serie di progetti che non approdarono però a risultati definitivi, questi sono essenzialmente quattro. Nei primi tre progetti,di ispirazione giusnaturalistica, un ruolo molto importante ebbe Cambareces (uomo di legge,fu magistrato e avvocato e dopo il colpo di stato di Napoleone fu nominato secondo console e quando Napoleone fu incoronato imperatore egli venne nominato arcicancelliere dell’impero): il primo progetto è del 1793, è ispirato a tre principi fondamentali che sono il riavvicinamento alla natura, l’unità e la semplicità,questo codice si componeva di 719 art. e si divideva in due parti: sulle persone e sui beni; era ispirato al principio di uguaglianza di tutti i cittadini. Questo progetto però non fece molta strada in quanto fu considerato dai deputati troppo poco filosofico e troppo poco giuridico. Un secondo progetto è del 1794,si tratta di un progetto più semplice e meno tecnico del precedente, composto da 287 art. contenente solo dei principi fondamentali in base ai quali il giudice trovava la legge da applicare al caso concreto. Si ispirava a tre esigenze che l’uomo ha nella società: essere padrone della propria persona; avere dei beni per soddisfare i propri bisogni; poter disporre di questi beni. Il progetto si divideva in tre parti, sulle persone, sui beni e sulle obbligazioni. Ma anche questo progetto ebbe poca fortuna. Un terzo progetto fu del 1796,si tratta di un progetto molto più elaborato e con una notevole attenuazione del pensiero giusnaturalistico,ma anche questo non fu approvato, tuttavia esso ebbe maggior importanza storica, in quanto fu l’unico ad influenzare l’elaborazione del codice del 1804.
Un quarto progetto fu presentato nel 1799 dal giudice Jacqueminot, ma tale progetto non venne neppure discusso.
Il progetto definitivo del Codice civile fu opera di una commissione insediata da Napoleone primo Console nel 1800 e composta da quattro giuristi: Tronchet, Maleville, Bigot-Prèmeneau e Portails; quest’ultimo svolse il ruolo più importante. Questa commissione elaborò un progetto che fu sottoposto al Consiglio di Stato dove venne discusso in sedute alle quali partecipò lo stesso Napoleone. A mano a mano che i titoli erano, approvati venivano promulgati come leggi separate, esse vennero poi raccolte nel 1804 ed emanate col nome di Code Napoléon. Il progetto definitivo abbandonò la concezione giusnaturalistica. Si tratta di un codice redatto in modo semplice ed elegante affinchè potesse essere letto anche dal non giurista,è composto da 2281 art. distribuiti in tre libri: delle persone,dei beni e delle varie modifiche della proprietà, e dei diversi modi di acquisto della proprietà,preceduti da un titolo introduttivo.
continua..
RispondiEliminaIl Code civil, dunque,rappresenta una svolta non solo perché riformula i rapporti civili e obbedisce a scelte sistematiche, ma perché assume il modello garantistico a guida di una coerente organizzazione del diritto. Esso segna il trionfo dei gruppi borghesi,usciti vittoriosi dalla rivoluzione,garantisce la libertà di agire in senso economico . questo codice vuole essere un atto di rottura con il passato, con il codice il diritto non proviene più dal basso ma si pone dall’alto e si consuma il passaggio dell’extratestualità del diritto al diritto nazionale. La legge diviene ormai l’unica fonte in grado di esprimere la volontà generale e il principe esprime con la legge lo spirito della nazione. Il Code civil non è solo la conseguenza degli eventi rivoluzionari del 1789 e della volontà di Napoleone, alle sue spalle ci sono secoli di storia che culminano nella rivoluzione, c’è un paese in cui si avverte l’esigenza di creare un diritto consuetudinario francese comune attraverso la redazione delle consuetudini.
Prima di concludere (so di essermi dileguata un po’ troppo ma penso di aver riassunto al massimo il tutto) volevo fare un piccolo accenno al problema della completezza del codice nato dalla diversa interpretazione dell’art.4 dello stesso codice tra i redattori e gli interpreti. L’art. recita: il giudice che ricuserà di giudicare sotto il pretesto del silenzio, dell’oscurità o dell’insufficienza della legge, potrà essere processato come colpevole di denegata giustizia.
Tale art. stabilisce che il giudice deve in ogni caso risolvere la controversia che gli è sottoposta(divieto di non liquet), e con tale art. i redattori del codice miravano a lasciare il giudice la possibilità di creare, quando necessario,liberamente il diritto, mentre gli interpreti lo intesero nel senso che si dovesse ricavare dalla legge stessa la norma per risolvere qualsiasi controversia. Da questa concezione nacque la scuola dell’esegesi,degli interpreti del codice, secondo la quale il codice contiene in sé tutte le norme per tutte le fattispecie possibili.
Spero il mio intervento non sia stato noioso e che soprattutto possa esservi utile!
Morena Sicignano
Anche se non ne abbiamo parlato a lezione ho cercato qualcosa sull’ALR (diritto territoriale generale degli stati prussiani).
RispondiEliminaCome diceva il dott. Notari, l’ALR come anche il Codice estense e il codice del re di Sardegna vengono considerati piuttosto delle consolidazioni, differenziandosi dalle codificazioni per i caratteri individuati da Mario Viora (certezza, chiarezza, unificazione del soggetto di diritto, unificazione territoriale e materiali normativi nuovi), che caratterizzerebbero, appunto, le codificazioni stesse.
Già Federico il Grande aveva intrapreso un primo tentativo per introdurre in Prussia una legislazione “chiara e precisa e che evitasse qualsiasi arbitrio applicativo”, cercando di risolvere le difficoltà che si ponevano nell’ambito del diritto a causa delle molteplici leggi esistenti. Obbiettivo del re era la “pubblica felicità” dei cittadini, pubblica felicità che possiamo dire essere l’obbiettivo comune di tutti i codici dell’epoca. Bisogna fare un piccolo accenno a Muratori ed alla sua opera “Della pubblica felicità” nella quale distingue proprio la felicità individuale, che ogni uomo ricerca per sé, “desiderio maestro, e padre di tanti altri”, dalla felicità pubblica, o della società, che dovrebbe essere “l’oggetto giornaliero” del sovrano.
Federico II volle affidare l’incarico di redigere tale codice al ministro Samuel Coccejus. Il codice civile tendeva al risultato di diminuire le liti e per questo si rendeva necessario un diritto certo. Il progetto redatto dal ministro richiedeva che il diritto fosse solo quello posto dal sovrano che doveva diventare la fonte principale, il che implicava di abrogare il diritto romano ma mantenere in vigore le altre fonti particolari (diritto canonico, diritto feudale,consuetudini). Tale progetto fu, però, accantonato non soltanto per le idee romanistiche di Coccejus che poco si conciliavano con le idee invece illuministiche del sovrano, ma soprattutto per il fatto che il diritto veniva riportato sotto la guida dello Stato, conseguenza poco accettata al tempo dalla popolazione (esistendo, ricordiamo, fonti locali!).
(continua)
Il codice venne emanato solo nel 1794 da Federico Guglielmo II, successore di Federico II. L’ALR si pone come un codice particolare in quanto innanzitutto venne scritto in tedesco, abbandonando quindi il latino. Inoltre, eliminava il diritto romano comune, ponendosi esso stesso come diritto comune, ma manteneva i diritti particolari, differenziandosi a questo proposito sia dalla consolidazione del regno sardo, che sanciva una prevalenza del diritto del sovrano sulle altre fonti, compreso il diritto romano comune che non veniva abrogato, sia dal codice estense che prevedeva che in caso di lacuna si poteva ricorrere al diritto comune e solo a questo (escludendo, quindi, i diritti locali).
RispondiEliminaIl codice poneva al centro dell’attenzione la figura del cittadino, e ne è la prova il fatto che, invece di disciplinare la proprietà, formula il concetto di proprietario. Tuttavia, ciò non significa che il codice proponeva l’unificazione del soggetto di diritto, ma, al contrario, come è stato detto, “fotografava” la situazione sociale e istituzionale vigente, mantenendo le divisioni dei ceti e prevedendo, di conseguenza, norme diverse a seconda dei diversi ceti (nobili, contadini e cittadini). Lo status giuridico dipendeva dalla nascita e non poteva essere cambiato a meno che si verificassero degli eventi in grado di modificare la situazione. Proprio ed anche per questo motivo tale codice si componeva di numerosissimi articoli. Altro motivo era quello di compilare un codice quanto più possibile completo, prevedendo molte e dettagliate norme.
Si può trovare anche un richiamo al pensiero di Montesquieu secondo cui i giudici sono “bouche de loi”, in quanto in tema di interpretazione, il codice prevedeva che il giudice potesse soltanto applicare la legge come risulta dalla lettere e dalla connessione delle parole. In caso di dubbio il giudice avrebbe dovuto rivolgersi alla commissione legislativa per la soluzione (anche qui, quindi, la forma di interpretazione ammessa era quella autentica). Tuttavia, se il giudice non avesse trovato altro materiale per risolvere la questione doveva ricorrere ai principi generali del codice o all’interpretazione analogica, che costituisce sicuramente un elemento di grande novità rispetto alle esperienze precedenti.
Tale codice si poneva non solo in un’ottica di conservazione della società ma cercava di migliorala e incidere su quei rapporti. Proprio per questo, Alexis de Tocqueville ha ritenuto che l’ALR era non soltanto un codice ma anche una COSTITUZIONE in quanto “non si propone soltanto di regolare i rapporti dei cittadini tra loro, ma anche i rapporti tra cittadini e lo Stato” anche se questa affermazione ha dato luogo ad una discussione sulla vera natura dell’ALR.
Claudia Zennaro
Qui di seguito materiale trovato in rete forse utile per schematizzare l'ordinamento della Francia rivoluzionaria.
RispondiEliminaIl Droit intermédiaire e la giustizia –complesso delle norme emanate tra la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789 e la promulgazione del Code Napoleon -
decr. 27 novembre - 1 dicembre 1790: istituisce il tribunale di Cassazione (diverrà corte solo con Napoleone) con il compito di controllare che il giudice di merito applichi correttamente nei suoi provvedimenti le norme di diritto.
creazione di un nuovo ordine giudiziario con amministrazione della giustizia a più livelli da parte di giudici elettivi
Creato il réferé législatif: meccanismo attraverso cui i giudici erano invitati a rivolgersi al potere legislativo per chiedere la corretta interpretazione di una legge
Soppresso l’appello ordinario, è istituito quello circolare: contro la pronuncia di un tribunale distrettuale può essere interposto appello avanti ad uno dei 7 tribunali distrettuali più vicini a scelta delle parti
Processi gratuiti
Magistrati elettivi
Soppresso l’Ordine degli avvocati, è istituito il difensore pubblico
1793: chiusura della facoltà legale.
Il Codice penale
Progetto di Code pénal (1791) opera di Lepeletier de Saint Fargeau, con 225 articoli
Tripartizione in contravvenzioni, delitti, crimini, di competenza di un diverso livello dell’ordine giudiziario
Diritto penale temporaneo e laico: cancellati i reati contro l’ortodossia religiosa (eresia, suicidio ecc.)
Pene fisse e pena di morte per un numero di reati inferiore rispetto al passato
Dura 19 anni: sarà sostituito dal Codice penale napoleonico del 1810
Applicazione limitata a causa della legislazione speciale rivoluzionaria
Diritto civile, proprietà, famiglia e lavoro, Chiesa e Stato
Distruzione progressiva famiglia patriarcale d’ancien régime
Favorita successione legittima (aprile 1791 ): soppresse le disuguaglianze nelle successioni intestate, vietata la diseredazione, limitata la disponibile, in contrasto con la libertà di testare
Abolizione delle istituzioni e diritti feudali
Costituzione civile del clero (12 luglio 1790)
Nazionalizzazione e vendita beni ecclesiastici
Introdotto il matrimonio come contratto civile ed il divorzio per causa determinata (l. 20/9/1792), agevolato dalla l. 28/4/1494
COSTITUZIONI FRANCESI
RispondiElimina(1791-1814). Costituzioni varate e abrogate in stretta successione in sintonia con gli eventi tumultuosi della rivoluzione, dell'età napoleonica e della restaurazione. Ciascuna di esse costituì un modello di assetto dello stato ispirato a concezioni ideologico-politiche ben distinte. Nel 1791 fu varata la prima costituzione scritta della Francia. Sanciva solennemente i principi ispiratori dei provvedimenti legislativi emanati dal 1789 in poi, sotto l'incalzare degli eventi rivoluzionari. Nel preambolo riportava laDichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino votata dall'Assemblea costituente il 26 agosto 1789. In essa, oltre a rivendicare i diritti naturali dell'individuo (diritto alla libertà personale, di pensiero, di opinione, d'espressione; alla proprietà; alla resistenza all'oppressione) e l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, si affermava il principio della sovranità nazionale e si definiva la legge come espressione della volontà generale. La costituzione conservava l'ordinamento monarchico del paese, ma limitava le prerogative del re dei francesi e subordinava alla legge il suo volere. Attribuiva al sovrano il potere esecutivo e il diritto di veto sospensivo nonché la facoltà di nominare e revocare i ministri, i capi militari, gli ambasciatori e i principali amministratori. Demandava il potere legislativo a un corpo permanente, composto da una sola camera, eletta a suffragio censitario a doppio grado. Stabiliva che i giudici, designati dal popolo, esercitassero le loro funzioni sotto la sorveglianza di un tribunale di cassazione. Fissava inoltre il nuovo assetto territoriale del paese che sostituiva alle circoscrizioni dell'ancien régime dipartimenti, distretti, cantoni e municipi. Ben più avanzata sul terreno politico e sociale fu la Costituzione dell'anno primo (1793). Voluta dai montagnardi al potere, fu adottata per acclamazione dalla Convenzione e approvata, come la successiva costituzione del 1795, da un referendum popolare. Pur non essendo mai entrata in vigore a causa dell'emergenza imposta dalla guerra contro la prima coalizione, divenne punto di riferimento per il pensiero democratico del secolo successivo. Nella preliminare Dichiarazione dei diritti si affermavano nuovi principi quali la fraternità tra i popoli e il diritto dei singoli al lavoro, all'istruzione, all'assistenza, alla felicità, all'insurrezione. Sfavorevole alle prerogative del potere esecutivo (esercitato da un Consiglio di ventiquattro membri) di cui limitava pesantemente le competenze, privilegiava il corpo legislativo composto da una sola Camera, i cui membri erano eletti annualmente a suffragio universale. continua....
I cittadini potevano intervenire direttamente nell'attività legislativa attraverso referendum richiesti da almeno un decimo degli elettori delle assemblee primarie in metà dei dipartimenti. Assai più moderata fu laCostituzione dell'anno terzo (1795) che rifletteva la preoccupazione di contenere gli eccessi della precedente e di consolidare la preminenza della borghesia. NellaDichiarazione introduttiva si rifaceva largamente al testo del 1791 ma, per reazione alla dittatura montagnarda, specificava che nessun individuo o gruppo di cittadini poteva ritenersi depositario della sovranità. Per la prima volta menzionava, oltre i diritti dell'uomo, anche i doveri che consistevano essenzialmente nell'obbligo di rispettare la legge e le autorità costituite. Sanciva la separazione dei poteri, delegando quello esecutivo a un Direttorio composto di cinque membri e quello legislativo a due assemblee elette a suffragio censitario e indiretto: il Consiglio dei cinquecento, che proponeva ed elaborava le leggi, e quello degli anziani, che le varava o respingeva. Conservava nelle sue grandi linee l'organizzazione amministrativa del territorio nazionale, mantenendo la suddivisione in dipartimenti, cantoni e comuni, ma sopprimendo i distretti. Le costituzioni del periodo napoleonico gradualmente segnarono il riflusso delle idee rivoluzionarie e l'approdo a un nuovo dispotismo. LaCostituzione dell'anno ottavo (1799), la prima che non si aprisse con una dichiarazione dei diritti, affidava il governo del paese a tre consoli, il primo dei quali godeva di ampie prerogative e, oltre a promulgare le leggi, nominava i ministri, gran parte dei funzionari civili e militari e i componenti del Consiglio di stato. Quest'ultimo organo redigeva le leggi che erano discusse dai membri del Tribunato e votate dal Corpo legislativo. Il suffragio universale era ristabilito; perdeva tuttavia significato, poiché i cittadini non eleggevano i propri rappresentanti, ma alcuni notabili tra i quali il Senato designava i componenti delle assemblee legislative. I senatori, inamovibili e cooptati su liste presentate dal primo console, avevano il ruolo di custodi della costituzione. Essi, però, non adottarono mai linee di condotta autonome e tramite successivi "senatoconsulti" si prestarono a indebolire i corpi legislativi e a rafforzare la posizione del primo console (Napoleone), che venne proclamato console a vita nel 1802 e imperatore nel 1804. Con la restaurazione borbonica (1814) una nuova carta costituzionale venne concessa ai francesi per grazia del sovrano (vedi costituzione octroyée) senza che fosse deliberata da un'Assemblea costituente come le precedenti. Pur ribadendo la teoria della sovranità per diritto divino, non sconfessava alcune importanti conquiste politiche e sociali della rivoluzione quali l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l'abolizione dei privilegi fiscali, la libertà di pensiero, di espressione, di religione. Riservava al re non solo il potere esecutivo, ma anche l'esclusivo diritto dell'iniziativa legislativa nonché la facoltà di emettere regolamenti e ordinanze per l'esecuzione delle leggi. Introduceva, inoltre, un sistema bicamerale composto da una Camera dei pari, di nomina regia, e da una dei deputati, eletti a suffragio assai ristretto. Garantiva una certa indipendenza della magistratura, poiché i giudici, pur essendo nominati dal re, erano inamovibili. La carta costituzionale del 1814 tracciò le linee secondo cui si resse lo stato francese fino alla rivoluzione del 1848.
RispondiEliminaE. Papagna ________________________________________
J. Godechot, Les institutions de la France sous la Révolution et l'Empire, Puf, Parigi 1968; A. Saitta, Costituenti e costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875), Giuffré, Milano 1975.
questo è il link ai quaderni fiorentini riguardo l'opera di Viora: http://www.centropgm.unifi.it/quaderni/13/0705.pdf
RispondiEliminaIn merito alla lezione di oggi abbiamo individuato un articolo tratto dai Quaderni Fiorentini che esamina l'opera di Viora, soprattutto il pensiero di alcuni autori riguardo la distinzione tra consolidazione/codificazione:
RispondiElimina- Tarello ritiene che "questa distinzione terminologica è opportuna, quantunque le consolidazioni di solito avessero il nome di codex...Inopportuno è invece riferire la distinzione prevalentemente al carattere innovativo dei codici e conservativo delle consolidazioni perchè solletica discussioni quantitative (quantità di vecchie norme incluse nei codici moderni) anzichè qualitative (caratteri propri della codificazione moderna come il soggetto unico di diritto...). Petronio -autore dell'articolo- sottolinea che questa tesi è influenzata dall'importanza attribuita al soggetto unico di diritto quale esclusivo elemento distintivo.
- Petronio non nutre dubbi sulla validità della classificazione, ma non ne condivide le premesse in quanto ritiene di un periodo successivo al Code Napoleon il testo che presenta i caratteri propri del codice come definito da Viora. Riprende i dibattiti che hanno accompagnato la stesura del codice da cui desume che la coscienza di quest'ultimo non è compiuta, la concezione che allora è del codice è venuta crescendo e modificandosi pian piano man mano che andava avanti la lotta per la codificazione. A suffragio di tale tesi cita la voce "codice" dell'Enciclopedye: "signifie en general recueil de droit; mais on donne ce nom a plusieurs sortes de recueils fort differents les uns des autres".
Aurora Filippi, Michele Gallante, Lucio Maria Lanzetti
l'articolo è tratto dai quaderni fiorentini dal seguente link:
http://www.centropgm.unifi.it/quaderni/13/0705.pdf
PER GLI STUDENTI: Il materiale consegnato dal Dottor Notari sulle codificazioni e consolidazioni è stato consegnato alla copisteria ad angolo vicino Libropoli, per cui chi è interessato può richiederlo.
RispondiEliminaIl codice estense, promulgato nel 1771 da Francesco III, fu uno dei due importanti modelli di consolidazioni che anticiparono la codificazione di Napoleone del 1804.
RispondiEliminaFu questo sovrano a dare inizio ad una serie più o meno articolata di intense riforme dirette a soddisfare quelle 5 caratteristiche elencate dal Viola come necessarie del diritto :
chiarezza, completezza, unificazione territoriale, unificazioni del soggetto di diritto e materiali nuovi.
Queste riforme che vengono a toccare tutta l'Italia sono espressione della necessità di un diritto certo e privo di distinzioni e favoritismi inerenti al ceto. Due sono le strade che si potevano percorrere: dare origine ad un nuovo apparato normativo capace di ordinare la società del tempo ed eliminare tutte le fonti precedenti oppure, come invece deciso da molti sovrani, creare un opera di semplice raccolta e riordino del diritti vigente nel territorio del proprio stato.
Fu questa seconda strada ad essere percorsa da Francesco III d'Este, Duca di Modena, il quale si rese conto della necessità dell'unificazione legislativa. La precedente normativa risultava, infatti, incerta, priva di una qualsiasi unità e contraddittoria, costituita dall'antico Diritto Statuario locale e da ordini, provvisioni e decreti promulgati dai Principi con l'intento di porre ordine all'assetto normativo e mantenere la propria influenza sul territorio statale. Quando nel 1759, il Duca diede l'avvio al progetto si propose, fin da subito l'obiettivo di un testo normativo organico contenente tutto il diritto del ducato.
Il testo modenese era suddiviso il cinque libri:
I° sulle strutture giudiziarie del ducato e sulla Procedura Civile,
II° sul Diritto Privato,
III° su Materie Feudali e Finanziarie,
IV° sulla Procedura Penale,
V° sul Diritto Penale.
Nel codice furono sensibilmente limitati i poteri ed i privilegi di alcune classi sociali, come il clero, e tutto il sistema fu fortemente semplificato prevedendo come unica fonte alternativa al codice, il Ius comune per risolvere controversie o questioni non trattate nel codice stesso.
Il Codice prende il nome di Codice Estense o Costituzioni Modenesi e si fonda sul dualismo del sistema delle fonti normative: Costituzioni modenesi e Diritto comune come diritto sussidiario.
Rebecca Lentini
Buonasera,
RispondiEliminanavigando sul sito di facoltà ho scovato un appuntamento che mi preme segnalare: dal 5 di maggio partirà un seminario, appartenente in realtà alla cattedra di storia del diritto medievale e moderno del Prof. Conte, ma che a mio avviso potrebbe esser molto utile ed interessante anche per tutti i frequentanti questo corso, me compresa, che avessero voglia di approfondire in particolare gli ultimi argomenti trattati a lezione.
Il seminario in questione è "«Sapere aude»: illuminismo giuridico, diritto rivoluzionario e codificazione napoleonica", per maggiori info su orari e modalità d'iscrizione allego di seguito il link alla pagina del sito di facoltà,
http://www.giur.uniroma3.it/materiale/seminari/2010-2011/Seminaridistoriadeldirittomedievalemoderno
Ringrazio per l'attenzione,
Flavia Mancini
Ho trovato qualcosa di interessante sul DROIT INTERMEDIAIRE che riporto qui di seguito:
RispondiEliminatra il 1789(prima riunione dell'assemblea nazionale) e il 1799(anno della presa del potere da parte di Napoleone) si impose in Francia un diritto rivoluzionario noto con il termine "droit intermédiaire" che sovvertì l'ancien régime, sostituendovi la concezione di una società illuminata centrata sull'individuo e sullo stato. Vennero perciò aboliti i rapporti che legavano il re ai nobili,al clero, ai giudici; la divisione territoriale in province;il regime fondiario feudale;l'ordine giudiziario;il sistema fiscale ecc..
Le istanze della rivoluzione portarono inoltre all'affievolimento della patria potestà e alla sua cessazione con il raggiungimento della maggiore età per esempio, nonchè all'equiparazione tra figli legittimi e naturali.La rivoluzione infine introdusse i registri dello stato civile e nazionalizzò i beni ecclesiastici. In questo periodo un primo progetto di codice fu proposto da Cambacérès nel 1793 ma fu respinto perchè troppo sintetico,un terzo progetto fu presentato dallo stesso nel 1796 ma le discussioni si di esso furono interrotte dalla presa del potere ad opera di Napoleone nel 1799.
Valentina Tonnicchi
La Repubblica di San Marino è stata oggetto degli studi di numerosi giuristi tra la fine del 700 e l'inizio dell'800 a causa della sua scelta di rimanere ancorata ai propri statuti e di non essere influenzata dalla vena costituzionale che venne a diffondersi proprio nel 700 con la nascita del costituzionalismo ma, nonostante ciò, capace di dare stabilità alle proprie istituzioni repubblicane.
RispondiEliminaLa repubblica fu occupata solo due volte nell'arco della storia e per periodi abbastanza brevi.
La prima volta nel 1503 per opera di Cesare Borgia, ma l'occupazione durò pochi mesi a causa della sua morta, la seconda volta nel 1739 dal Cardinale Alberoni che cercò di annetterla allo Sato della Chiesa. I sammarinesi, per evitare ciò, stipularono un trattato con il Papa Clemente VIII in base al quale lo Stato di San Marino risultava uno stato autonomo. Purtroppo poco dopo, a causa di problematiche interne all'organizzazione statale, alcune potenti famiglie, di fatto escluse dal governo, si rivolsero al Cardinale Alberoni per riottenere i propri poteri costringendo San Marino a sopportare un occupazione di stato con scopo di riportare l'ordine sociale.
Il Consiglio Grande e Generale, svincolato da ogni forma di controllo, infatti era divenuto strumento di arricchimento per poche famiglie ed era costituito grazie alla cooptazione e non più dall'Arrengo, assemblea di tutti i capifamiglia, al quale spettava il compito di nominare le più alte cariche dello stato.
Solo con l'arrivo di Napoleone, il Papa fu costretto a richiamare il cardinale e la Repubblica tornò prima libera e poi indipendente.
La prima influenza del costituzionalismo si ebbe con l'arrivo di Napoleone in Italia nel 1797. A differenza degli altri stati italiani, la Repubblica riuscì a respingere l'ondata di riforme che seguirono all'arrivo dei francesi sulla penisola conservando i propri ordinamenti.
Un secondo episodio ha luogo nel 1848 con i moti rivoluzionari che portarono alla stesura delle moderne costituzioni guidate dalla voce dei rivoluzionari. Anche questa volta, la Repubblica di San Marino rimase fedelissima alle proprie istituzioni e non approvò un vero e proprio testo costituzionale.
All'indomani dell'unità d'Italia nel 1861, la Repubblica continuò a presentarsi come un comune medievale che si è mantenuto fedele all'antica forma di democrazia tanto che, Bettino Ricasoli, definisce San Marino una repubblica, che va serbata come un prezioso ed antico cammeo.
Bisogna sostenere che, parlando della Repubblica, è giusto paragonarla con l'Inghilterra, stato retto anche esso, non su leggi scritte, ma su consuetudini e comportamenti susseguitesi nel tempo. Ancora oggi la Repubblica non possiede una costituzione ma ricorre invece alle fonti del diritto di rango costituzionale, come le Antiche Consuetudini, Leges Statutae Sancti Marini e gli antichi statuti del 1600. In via sussidiaria siricorrere al diritto comune o alle consuetudini.
Rebecca Lentini
L’articolo di Jean Louis Halperin si apre con una citazione dello storico francese Michelet, il quale, nell’introduzione all’opera “Histoire de la Revolution française” definisce la Rivoluzione francese come “l’avvento della Legge, la resurrezione del diritto, la reazione della Giustizia”.
RispondiEliminaLa riflessione dell’autore parte proprio da questa considerazione, che riconosce come i Francesi esaltino il ruolo della rivoluzione, intesa anche come momento di nascita e di sviluppo di un diritto completamente nuovo.
Gli storici ed i comparatisti invece sembrano mitigare ed attenuare la portata innovatrice del diritto ad opera della rivoluzione, certo non la negano ma senz’altro la relativizzano, sottolineando come già alcuni prìncipi e despoti illuminati avessero già in buona parte intaccato l’assetto giuridico e sociale proprio dell’ancien régime, avviando un processo di “secolarizzazione” dello Stato nei confronti della Chiesa, ed annunciando la supremazia ed il potere della Legge sui giudici (esempio ne è il declino od addirittura l’abolizione della tortura).
Inoltre, l’avvento dell’Illuminismo e delle teorie economiche apre la strada verso una separazione fra Stato e società civile, attraverso il riconoscimento dei diritti individuali, da opporre al potere pubblico.
La rivoluzione francese incide pertanto su questo quadro politico e giuridico, spazzando via il processo di evoluzione “prudente” svoltosi fino al 1789 (e determinando a catena l’arresto dei procedimenti di riforma in molti altri paesi).
Halperin sostiene quindi che la rivoluzione francese sembri ben assolvere ai dettami della teoria kelseniana sul ruolo della rivoluzione: essa è vista appunto come il rovesciamento, il capovolgimento dell’ordine giuridico vigente, che viene di fatto cancellato e rimpiazzato da un nuovo ordine, il cui assetto, la cui natura è illegittima, in quanto non previsto dall’ordine precedente.
Ed è attraverso l’estrinsecazione di quello che è il principio della “tabula rasa” che di fatto con un sommovimento brusco si riesce ad operare un mutamento radicale e sistematico dell’ordine giuridico, passando dall’ancien régime ad un diritto completamente nuovo.
Tutto ciò afferisce alla situazione generale, dà un’idea dell’insieme delle categorie del diritto investite dalla svolta rivoluzionaria: a ben vedere, afferma l’autore, nel campo del diritto privato, la cui natura rende di per sé difficile configurare un mutamento così repentino e radicale, appare tutto più mitigato, con ogni probabilità anche a causa dei ripetuti tentativi, falliti, di progetti di codificazione civile.
In questo campo dunque la rivoluzione riesce a toccare e permeare il diritto soltanto “a macchia di leopardo”.
L’autore sottolinea quindi la problematicità nel cercare di trattare l’argomento in maniera unitaria, esponendo le criticità incontrate dagli storici del diritto nel rilevare l’impatto della rivoluzione francese nella sfera del diritto privato.
RispondiEliminaCiò principalmente in ragione della presenza di un elevato numero di testi di riforma restati in vigore fino al 1804, o addirittura successivamente a tale data, che di fatto hanno dimostrato il fallimento, da parte della rivoluzione, del tentativo di creazione di una codificazione civile; e quand’anche il tentativo sembrasse riuscito nel periodo del Consolato, il ruolo del diritto rivoluzionario ne usciva assai ridimensionato o del tutto annullato.
Da qui lo scaturire di tutta una serie di riflessioni, di natura giuridica ma anche politica e sociologica, prima fra tutte la riflessione relativa alla separazione, a giudizio dell’autore troppo netta, fra diritto privato e diritto pubblico.
L’autore si domanda infatti se si possa parlare di separazione netta e, in tal caso, a quale categoria appartengano alcuni fra i testi più importanti del diritto rivoluzionario: fra questi egli cita le “Lois d’Allarde et Le Chapelier”, sulla libertà di commercio e l’industria, il “Code rural” del 1791, la “Loi judiciaire” del 16-24 agosto 1790, che separa le autorità in amministrative e giudiziarie, la “Loi de colére” del 1793, che abolisce il regime feudale, e il “Code penal” del 1791.
La polemica viene chiusa riprendendo l’affermazione di Portalis, secondo cui tutto il diritto è divenuto pubblico a partire dal 1789.
Halperin si sofferma inoltre sulla questione della periodizzazione e della qualificazione di tale diritto, considerato per molto tempo come “intermediaire”, come diritto intermedio, rilevando come la storiografia di questi ultimi decenni abbia in realtà rigettato tale definizione, con cui si soleva un tempo considerare la legislazione della rivoluzione come una parentesi, priva di grande importanza nella storia del diritto.
Nel campo del diritto privato la produzione dei testi rivoluzionari viene in gran parte spazzata via dall’avvento del Code Napoleon, che, come visto nelle ultime lezioni con il Dott. Notari, viene anticipato dal decreto comportante l’abolizione di tutte le fonti del diritto anteriori relative a materie ed istituti trattati dal nuovo codice.
Occorre sottolineare però che nel 1804 già molti di questi testi rivoluzionari non erano più operanti o vigenti, avendo avuto essi una durata limitata di applicazione, ciò a testimoniare quanto il diritto rivoluzionario fosse essenzialmente da concepire come un diritto di transizione; ed inoltre c’è da dire come molti testi rivoluzionari non videro mai la luce, rimanendo relegati più ad un piano teorico, a livello di pensiero giuridico, che fattuale.
Ed è su questi assetti che si definiscono l’eredità legislativa e l’eredità ideologica: ciò che veramente consente di operare una distinzione nel lungo periodo è che la prima necessita di una conferma giuridica per sopravvivere al periodo della sua produzione, mentre la seconda si imprime nel mondo del pensiero.
Il rapporto fra Code Napoleon e diritto rivoluzionario è davvero particolare, il Code civil sembra recepire infatti la legislazione rivoluzionaria con beneficio d’inventario: per un verso esso la consacra, per un altro ne fa piazza pulita.
Appare allora opportuno tentare di integrare il primo con il secondo?Varie sono le possibili risposte a tale domanda: c’è chi spinge per valorizzare gli elementi di continuità fra il 1789 ed il 1804 e chi parla di una serie di leggi sparse, prive di carattere unitario e dunque non in grado di essere qualificate come ordine giuridico.
Quest’ultima considerazione del diritto rivoluzionario fa però venir meno di fatto l’importanza e la rilevanza di questo periodo, in cui eppure avviene e si sviluppa una certa fase, necessaria, dell’evoluzione del diritto, che senza dubbio si riflette anche nel mondo politico, sociale e culturale.
RispondiEliminaMichel Vovelle parla in tal proposito di mentalità rivoluzionaria, Jean Louis Halperin parla di esperienza giuridica rivoluzionaria, riprendendo le considerazioni di Paolo Grossi relativamente all’epoca medievale.
Due sembrano essere le caratteristiche del diritto rivoluzionario che balzano agli occhi degli storici del diritto: in primo luogo il fatto che in Francia una parte dei testi rivoluzionari in materia di diritto appartenga al filone della letteratura detto dell’”ideologia giuridica”;in seconda luogo non si possono non analizzare le conseguenze dell’esportazione del diritto rivoluzionario in Europa e del suo rilancio, la sua reviviscenza, a più riprese, maggiormente visibile che in Francia, durante i moti rivoluzionari del 1830 e del 1848.
Come accennato, nel campo del diritto civile, e principalmente relativamente al diritto di famiglia, gli interventi rivoluzionari sono stati per lo più frammentari e di breve durata.
Tensioni e contraddizioni si sono avute fin dalle prime riforme degli anni 1789-1791 e si è potuto constatare come la nuova legislazione non sia né riuscita a fare tabula rasa dell’ancien droit né ad evitare che i testi legislativi venissero rimpiazzati dal code Napoleon.
Ciò che è stato oggetto di vera e propria rivoluzione è stato il diritto privato dei beni, che ha visto l’abolizione del regime feudale ed il diritto delle obbligazioni profondamente trasformato dalla libertà di commercio e dal riconoscimento della liceità di praticare il prestito ad interessi.
Di contro, il diritto di famiglia rivoluzionario è rimasto incompleto e di spesso di breve durata, ma ciò non ha impedito, secondo la tesi dell’autore, il formarsi di un’ideologia, di un’avanguardia giuridica.
La laicizzazione del matrimonio e dello stato civile costituisce una fra le eredità più importanti del diritto di famiglia della rivoluzione francese.
In materia matrimoniale in realtà il matrimonio continuò ad esser celebrato quasi ovunque (tranne che nelle Province Unite per i protestanti dissidenti che si sposavano dinanzi ad un magistrato) ad opera dei ministri di culto.
L’istituzione del matrimonio civile venne ripresa dal Code Napoleon nella versione della legge del 1792.
Quanto ai rapporti patrimoniali familiari la Rivoluzione lascia intatta l’intera sfera, non intervenendo neppure sull’incapacità della donna sposata, istituto che non subisce mutazione alcuna fino al 1804.
L’altra legge fortemente innovatrice è quella del 20 settembre 1792, con cui si prevede il divorzio per consenso reciproco (in seguito alla convocazione di un’ assemblea composta da parenti e congiuti), basato sulla semplice allegazione attestante l’incompatibilità di carattere o per una causa determinata (la legge prevedeva 7 motivi), con un giudizio arbitrale del tribunale della famiglia.
Questa legislazione, fondata su una concezione contrattualistica del matrimonio e concedente un divorzio facile e piuttosto rapido, è stata però posta sotto accusa in seguito alla svolta post-termidoriana.
Nondimeno, il divorzio per incompatibilità di carattere e quello per consenso reciproco, vennero riconosciuti dal codice prussiano del 1794.
La legge 1792 resta quindi in vigore fino al 1804, il code Napoleon mantiene il primo tipo di divorzio e, seppur restringendone il campo di applicabilità, anche il divorzio per consenso reciproco.
E’ interessante notare l’impatto sulla società civile di tale istituto, vigente fino al 1816, anno in cui lo stesso viene abrogato dalla seconda restaurazione; ciò sembra quasi dimostrare come la vita e l’importanza del divorzio costituissero un fenomeno circostanziale, in realtà non si può affatto considerarlo tale.
RispondiEliminaAnche altri istituti nuovi del diritto di famiglia rivoluzionario non furono completamente abbandonati dal Code Napoleon, esempi possono esserne ravvisati nell’istituto della potestà del pater familias sui figli maggiorenni, previsto per i paesi di “droit écrit” e ripreso dal code con l’istituto della maggiore età emancipatrice, fissata ai 21 anni; degno di nota è senz’altro anche un altro tentativo del diritto rivoluzionario di entrare e di pervadere l’assetto e l’equilibrio familiare, attraverso l’istituzione dei tribunali della famiglia nel 1790, che avevano la competenza per poter ordinare il fermo, la detenzione del bambino indisciplinato per un massimo di un anno, competenza abolita nel Consolato con il riconoscimento di un assai ampio “ius corrigendi” in capo al pater familias.
Suscitano interesse anche le leggi del novembre 1793 e del gennaio 1794, sulla disciplina della filiazione naturale, che si mostrano incredibilmente anticipatrici della tutela giuridica conferita al giorno d’oggi in seguito alla piena equiparazione tra filiazione legittima e filiazione naturale; esse attribuivano infatti ai figli naturali riconosciuti una tutela pressoché completa anche in campo successorio, conferendo peraltro una certà dignità ed uno status anche ai figli nati al di fuori del matrimonio (tutelando in tal modo anche le unioni di fatto).
Non si può negare che questi due testi causarono un notevole scompiglio nell’opinione pubblica, anche per il fatto che ne fosse prevista l’efficacia retroattiva al 1789; non bisogna dimenticare peraltro che essi andavano ad incidere fortemente anche e soprattutto sul diritto successorio, che restava al tempo fortemente ancorato alle istituzioni dell’ancien régime.
Tale vento di cambiamento in materia successoria durò come si può immaginare ben poco: nel 1800 i due testi legislativi vennero definitivamente aboliti, e con il code civil si tornò di fatto alla situazione in cui i figli naturali riconosciuti avevano diritto ad una mera successione “irregolare”.
Occorre però sottolineare come questo non abbia comportato un ritorno puro e semplice all’ancien droit, non si può dire dunque che si sia trattato di un tentativo vano di innovazione da parte del diritto rivoluzionario nel campo del diritto di famiglia.
Questa portata innovatrice, fortemente influenzata dall’ideologia giacobina, fu probabilmente troppo irruenta e andò a colpire nel profondo la vita e l’equilibrio non solo del singolo ma principalmente del nucleo familiare, così come storicamente considerato, andando a minare un tessuto sociale fin troppo radicato ed all’epoca praticamente impossibile da estirpare.
Il Code Napoleon tiene però in considerazione tutti questi istituti, caratterizzati da una forte portata innovatrice, ma lo fa, come detto, con beneficio d’inventario; non possono non scovarsi infatti tracce di essi all’interno di questo codice, né si può non riconoscere come l’evoluzione storica, sociale e culturale abbia incorporato e sviluppato nel modo opportuno tali istanze, al punto dall’esser considerate oggi come le colonne portanti dell’attuale disciplina del diritto di famiglia.
Secondo Halperin al fine di meglio comprendere la portata innovatrice e l’importanza del diritto rivoluzionario è necessario inoltre guardare a tutti quei progetti e disegni di legge che all’epoca non videro mai luce, e che questi suole chiamare come quasi-legislazione o legislazione immaginaria, nonché alla produzione della letteratura giuridica, ad opera di giuristi, professori e storici del diritto del tempo (non dimentichiamo con quanta ostilità questi ultimi furono trattati, al punto da arrivare all’abolizione delle facoltà di diritto).
In questa produzione “immaginaria” spiccano altri principi innovatori: l’istituto dell’adozione può costituirne un valido esempio.
RispondiEliminaSono questi principi, contenuti e sviluppati nel dettaglio e con precisione all’interno di questo apparato rappresentato dalla quasi-legislazione, a costituire l’ideologia d’avanguardia di cui parla l’autore.
Per molto tempo essi sono stati spazzati via ed offuscati dal Code Napoleon: occorre riconsiderarli e valutarli con maggiore attenzione.
Halperin ne teorizza una riscoperta ed un nuovo approccio, che li consacri e li elevi ad una sorta di letteratura giuridica, ad un’ideologia giuridica.
Nel considerare ogni fenomeno rivoluzionario infatti, sostiene l’autore, non si può non occuparsi anche del lavoro e dell’operato dei giuristi del tempo, insomma del pensiero giuridico che di fatto non si è mai tradotto in leggi promulgate e rese esecutive, non si può soltanto guardare ai risvolti ed alle conseguenze in concreto determinate dal processo rivoluzionario: se così fosse andrebbero perduti tutti gli istituti teorizzati ed esposti finora, segno e testimonianza di un grande progresso nella democratizzazione dei rapporti giuridici caratterizzanti il diritto privato e più in particolare il diritto di famiglia.
In tal senso ci si deve soffermare anche sugli effetti dell’ondata rivoluzionaria al di fuori del territorio francese, negli altri paesi europei, nella lontana Prussica ed anche nei territori ad oggetto dei dominii napoleonici; in questi ultimi, al di là dell’applicazione coattiva del Code civil, non possono non riscontrarsi tracce anche dell’ideologia del diritto rivoluzionario nel campo del diritto privato.
L’abolizione del regime feudale, cui conseguono la liberazione di tutta una serie di soggetti fino ad allora rigidamente incardinati sui gradini inferiori della piramide feudale e la nuova concezione della proprietà, che abolisce di colpo gran parte dei privilegi dei signori, investe un discreto numero di paesi europei prima ancora del 1804, anno in cui tale principio diviene effettivamente operativo in Francia con il Code civil: nel Belgio annesso ciò accade addirittura nel 1795, e nel Piemonte francese accade nel 1800.
In questi paesi, passati sotto il dominio francese, vengono applicate le leggi del 1790 e del 1793, che cancellano il regime feudale e mutano radicalmente lo status degli individui ed il concetto di proprietà; tutto ciò chiaramente non avvenne senza riserve, vi furono tentativi da parte dei grandi signori feudali di respingere l’ondata devastante causata dai principi rivoluzionari, e Napoleone in alcuni casi dovette riconoscere il mantenimento di alcuni privilegi in favore di tali soggetti.
Questo è quello che accadde principalmente nell’Italia centro-meridionale, in cui l’abolizione del regime feudale arrivò soltanto nel 1806; nel Nord Italia essa operava già da 10 anni.
La stessa sorte fu destinata alla penisola iberica, dove l’ondata dispiegò i suoi effetti solo a partire dal 1808.
L’ondata portò con sé anche tutte le riforme giudiziarie proprie della rivoluzione, con l’applicazione di molti dei principi previsti dalla legge del 16-24 agosto 1790, fra cui si ricordano: la separazione fondamentale fra apparato amministrativo e giudiziario, la creazione di tribunali specifici, la burocratizzazione dei giudici e la loro subordinazione alla legge, la semplificazione del sistema giudiziario, sviluppato e limitato quest’ultimo a tre gradi di giudizio.
RispondiEliminaDa ultimo, occorre focalizzare l’attenzione sulla riviviscenza dei principi rivoluzionari, che durante il periodo dei moti del 1830 e del 1848, vissero una vera e propria seconda giovinezza.
Come presumibile, essa interessò un gran numero di paesi europei, maggiormente nei settori del diritto feudale, del diritto di famiglia e l’ordine giudiziario.
Esemplificando, in relazione alla riviviscenza del diritto di famiglia si possono evidenziare le modalità ed i casi di applicazione dell’istituto del divorzio in Italia durante il dominio napoleonico.
L’articolo si conclude con una riflessione dell’autore, il quale, guardando all’esperienza anglosassone, in netta antitesi con quella francese, rileva che non importa in quale misura abbia contribuito il diritto rivoluzionario al processo di “modernizzazione”, ma piuttosto che nel campo del diritto privato le trasformazioni non dipendono esclusivamente dalla durata e dall’effettiva applicazione del diritto, bensì contribuiscono in maniera determinante al processo di evoluzione e d modernizzazione anche e soprattutto le eredità giuridica ed ideologica, lasciate dal pensiero giuridico del tempo.
Mi scuso per la lunga digressione,
Flavia Mancini
Volevo dirvi che il testo di Halperin é disponibile anche in inglese; sempre allo stesso link che ci ha indicato il Professore.
RispondiEliminaDai “Quaderni fiorentini 13”, consigliati da Lucio, Ugo Petronio riassume i punti analizzati nelle ultime lezioni sulla “coppia” consolidazioni/codificazioni; ho pensato di riportare le sue stesse parole.
RispondiElimina(…)In sintesi, sembra di poter dire che, per Viora, quel che induce a etichettare come “codice” questo o quel complesso di norme è soprattutto la novità dei contenuti, tenendo pur presente che contenuti tradizionali in sé possono assumere un tratto di novità per il contesto generale ne quale si inquadrano, in virtù del loro farsi elementi di una legge unica; in questa prospettiva, assume rilievo particolare la organica compiutezza del codice, soprattutto per il suo escludere ogni apporto integrativo esterno che il criterio sia prevalentemente empirico, l’ho già detto, e a dare misura dell’empirismo che lo pervade credo possa bastare una considerazione. Nella proposta di Viora si mescolano due tipi di valutazioni, che andrebbero tenute distinte, almeno secondo me: una più propriamente storico-giuridica, che concerne i contenuti del codice e quindi il suo rapporto con il complesso dei contenuti normativi che lo hanno preceduto; l’altra più propriamente dogmatica, che ha l’occhio rivolto al sistema delle fonti nel quale il codice si inserisce poi dopo la sua entrata in vigore _sistema autointegrato o eterointegrato- e che ha poco o punto a che vedere con la vicenda storica che ha portato alla codificazione.(...) C’è da chiedersi, allora, se sia possibile che due testi assai simili (si riferisce all’ordonnance processuale di Luigi XIV e il code de procedure, nella quale la prima vi fu trasfusa) tra loro possano essere classificati in modo diverso, l’uno “consolidazione”, l’altro “codificazione”, in relazione ad un dato sostanzialmente esterno ad essi e alla loro vicenda di formazione, qual è il sistema delle fonti nel quale si inseriscono. (…) L’adolescenza dei codici è segnata da altre tensioni, che sono poi tutt’uno con le tensioni ed i sogni dei philosophes che dapprima cominciarono a raffigurarseli in mente e che poi cercarono, quando ci fu possibile, di realizzarli. Sono le tensioni tra la vigenza di un sistema confuso e farraginoso, ed un’esigenza di chiarezza e di semplicità che si fa canone dell’azione umana; sono le tensioni tra l’esistenza di uno stato ancora contrassegnato dal dispotismo e che dovrà essere sostituito da uno stato nel quale sia realizzato una buona volta il “governo delle leggi”; sono ancora le tensioni tra una società di diseguali e un modello di uguaglianza che sembra e si vuole sia conforme a natura.(…) L’idea di codice è ancora lontana, come è lontano il dogma.(…) In questa particolare concezione, fatta di certezza, di semplicità, di uniformità, prende corpo l’essenza vera dei codici illuministi, mentre non credo che si vada oltre….Più tardi, quando i codici escono dall’adolescenza e si fanno adulti, quando la rivoluzione ha realizzato modificazioni profonde sul piano dei rapporti sociali(…)allora si sono creati i presupposti per un nuovo modo di concepire il codice.
Riguardo il periodo che precede la Rivoluzione francese…
RispondiEliminaNella fase pre-rivoluzionaria della Francia si cerca di sintetizzare insieme il droit écrit ed il droit coutumier, per rendere unitario un sistema a base sostanzialmente pluralista. Bourjon aveva proposto un’unità sistematica con la fusione del diritto delle coutume e di quello romano. Ciò perché principalmente l’unità legislativa doveva essere solo uno degli effetti della ben più auspicata unità nazionale. Da qui l’idea di non lasciare in disparte le coutume, in quanto rappresentazione concreta di un diritto praticato e osservato da larga parte della popolazione. Nel 1748 anche Pothier espone la propria opinione nelle Pandectae Justinianae in novum ordinem digestae, in cui proponeva di unificare gli istituti usati in concreto nella prassi civile e giudiziaria e di eliminare le fonti dalle quali derivavano, di qualsiasi natura esse fossero state. Il diritto privato si rendeva così autonomo ed indipendente dagli aspetti extragiuridici che aveva intorno. Arrivati alla rivoluzione, del 1789, vediamo come la produzione normativa abbia cercato largamente di dare uniformità alle condizioni dei soggetti di diritto e dei beni, grazie anche ad una unificazione delle leggi delle materie civilistiche. Il complesso delle norme emanate tra il 1789 (anno della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino) e la promulgazione del Code Napoleon del 1804, viene raggruppato sotto il nome di Droit intermediaire. Questo creava la nazionalizzazione del diritto statale con l’abrogazione delle altre fonti normative, l’eguaglianza civile con l’eliminazione dei diritti feudali, l’abolizione delle gerarchie sociali, la libertà dei beni. Tutto ciò su stampo delle idee originatesi dall’Illuminismo giuridico. Anche se nella prima parte della Rivoluzione non vennero realizzate pienamente le istanze codicistiche, queste non vennero dimenticate poiché i legislatori ricordavano molti illuministi. Uno di questi è sicuramente Montesquieu, che aspirava ad una formazione certa ed uguale per tutti, nel suo Esprit des lois. Ma anche Voltaire, che aveva sostenuto la necessità di una sostituzione di antiche leggi con una legislazione chiara e uniforme. Da non dimenticare poi Rousseau, teorico della democrazia, che aveva definito la legge come espressione della volontà generale. Si parla dunque di Contratto sociale. Da tutte queste idee si cercò di passare “alla carta”. Una dimostrazione è il corpo sistematico di norme positive riguardante i diritti naturali di ogni individuo, ossia la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Ma le Assemblee rivoluzionarie non riuscivano a tradurre totalmente il progetto del Codice, pur emanando norme chiare e semplici.
Si può quindi vedere come il droit intermediaire abbia preparato il terreno a quello che diventerà poi il Codice Civile francese, grazie ai contenuti di molti filosofi illuministi.
Ylenia Coronas
Come riporta Dezza in Lezioni di storia della codificazione civile. Il Code civil (1804) e l'Allgemeines Burgerliches Gesetzbuch (ABGB, 1812), “nel periodo 1789-1799 alla mancanza di risultati apparenti sul piano della codificazione corrisponde oltralpe una copiosissima e articolata attività normativa di carattere settoriale (…) che è nota nel suo complesso con il nome di Droit Intermédiaire, in quanto si colloca cronologicamente nel periodo intermedio tra il crollo delle strutture giuridiche d’Ancien Régime e la nascita del nuovo sistema a base codicistica”. Più che di un ordine giuridico, sembra potersi parlare di una “stagione legislativa” alquanto controversa, caratterizzata da provvedimenti piuttosto innovativi, in materia di privilegi, vincoli feudali, religione, ceti e stati sociali.
RispondiEliminaParla di Droit Intermédiaire anche Vincent Marcadé, nell’opera Spiegazione teorico-pratica del codice di Napoleone, contenente l’analisi critica degli autori e della giurisprudenza e seguita da un Riassunto alla fine di ciascun titolo (disponibile, per chi volesse approfondire, alla seguente pagina: http://books.google.it/books?id=FA4zAQAAIAAJ&printsec=frontcover&dq=marcad%C3%A9+spiegazioni&source=bl&ots=1P3CXq5sN0&sig=f2Y-aPDeGQWNOmv4wk5sIYpm2Cw&hl=it&ei=5OqZTcDjItDqObiL_ZsH&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CBcQ6AEwAA#v=onepage&q&f=false )
Come si può leggere nell’introduzione, Marcadé afferma che in Francia si distingue tra il diritto antico, il diritto intermedio ed il diritto nuovo, intendendosi con “diritto antico”, quello comprendente le leggi che regolarono la Francia sino alla dichiarazione dell’Assemblea Costituente del 17 giugno del 1789, con “diritto intermedio”, invece, “le leggi che seguirono siffatta dichiarazione, e che si pubblicarono a partire da giugno 1789 sino alla promulgazione del codice civile”, le quali “talmente modificarono il diritto antico, senza abrogarlo interamente, che si riguardano come formanti un diritto a parte”; il “diritto nuovo” si riconosce ovviamente nel diritto attuale, cominciato nell’epoca avviatasi con la legge del 21 marzo 1804 (30 ventoso anno XII).
Con riferimento all’età rivoluzionaria, l’autore ricorda la decisione dell’Assemblea Costituente di fare “un corpo di leggi civili comuni a tutto il reame”; tuttavia, prima di realizzare un simile progetto, “fecesi dalle varie assemblee legislative un gran numero di leggi, le quali gravi cangiamenti arrecarono alle leggi regie, al diritto romano e alle consuetudini”. Proprio tali leggi, accanto alla parte del diritto antico non derogato, costituirebbero il diritto intermedio.
(continua)
RispondiEliminaTroviamo un riferimento al Droit Intermédiaire anche in Petronio, che ne “La lotta per la codificazione” lo definisce, riprendendo le parole di Marcadé, quale insieme “delle leggi che erano state pubblicate dal giugno 1789 sino alla promulgazione del codice civile”, ritenute parte altresì di un diritto autonomo rimasto in vigore durante la Rivoluzione francese e per il periodo del Consolato.
L’autore si sofferma in particolare sul fatto che tale corpus normativo non viene menzionato nella formula di abrogazione contenuta nell’art. 7 della legge 30 ventoso anno XII, che prevedeva appunto un’abolizione generale del diritto antico, seppur limitata alle materie oggetto delle leggi costituenti il codice stesso (“À compter du jour où ces lois sont exécutoires, les lois romaines, les ordonnances, les coutumes générales ou locales, les statuts, les règlements, cessent d'avoir force de loi générale ou particulière dans les matières qui sont l'objet desdites lois composant le présent code”).
Dal dettato legislativo non sembra potersi trarre un chiaro riferimento al diritto intermedio, piuttosto che all’insieme di fonti vigenti prima del 1789. Petronio, del resto, è convinto che nel corso del tempo si sia attribuita alla norma in esame una portata più ampia di quella inizialmente voluta, e che anzi i padri codificatori, convinti dell’intrinseca incompletezza del codice, abbiano voluto intravedere nel diritto romano un punto di riferimento scientifico per l’interprete.
Come riportato in un saggio pubblicato nei Quaderni Fiorentini, “La prospettiva nella quale si sono mossi i codificatori francesi non è stata quella di realizzare un codice completo, come si è detto più tardi, e quindi esaustivo, ma un codice che desse alla Francia un diritto “uniforme” per tutte le diverse province” – Portalis parlerà di “législation uniforme”; difatti “proprio i modi in cui si sono formati il codice del 1804 e la legge 30 ventoso anno XII con il suo art. 7 contribuiscono a dimostrare che la nozione di codice non è stata affatto immutabile, e che ancora in quegli anni di lavoro su quel testo normativo che è stato chiamato codice, si intendeva qualcosa di tutto diverso da quello che si è inteso più tardi” (U. Petronio, La nozione di Code Civil fra tradizione ed innovazione (con un accenno alla sua pretesa di completezza), in Quaderni Fiorentini, 27 (1998), pp.83-115).
(continua)
RispondiEliminaNondimeno, anche se le fonti che documentano le discussioni relative all’art. 7 sembrano mostrare, nella sostanza, una nozione di codice lontana da quella che si formerà ideologicamente nel corso dell’ 800 (oltre che aperta, almeno in parte, all’eterointegrazione), rimane il problema di stabilire quale posizione assumesse a riguardo il diritto rivoluzionario.
Si riporta dunque l’opinione espressa da Mazerat nelle Questions sur le code civil avec leurs solutions, secondo il quale l’art. 7 della legge 30 ventoso anno XII avrebbe abrogato espressamente solo la legislazione anteriore al 1789, anche se sarebbe un errore ritenere che anche la legislazione successiva non abbia avuto la medesima sorte; quest’ultima sarebbe anzi stata abrogata solo nella misura in cui si fosse trovata in opposizione al codice.
Dello stesso avviso anche François Laurent, che nei suoi Principes de droit civil si riferiva alle leggi intermedie come parte di un diritto generale che non era necessario abrogare in massa, operando semplicemente in questo caso i principi generali sull’abrogazione tacita, sicché dovevano considerarsi soppresse solo le norme contrarie ad una disposizione del codice.
Se dunque si abbraccia la nozione che attribuisce al codice l’obiettivo di realizzare una legislazione uniforme, superando la divisione tradizionale tra droit ecrit e droit coutumier, e guardando a motivi quali la certezza del diritto, o la limitazione del potere normativo dei giudici, può verosimilmente ridimensionarsi la portata dell’art. 7 della legge 30 ventoso anno XII, aperta alla possibilità di invocare leggi anteriori e relative allo stesso oggetto, a fronte di possibili lacune codicistiche. Anche il diritto intermedio dunque, rimarrebbe in vigore per quanto non tacitamente o espressamente abrogato perché contrario al codice.
Alessia Guaitoli
In un saggio raccolto in “Europa e diritto privato” del 2001 Adriano Cavanna scrive di “Mito e destini del Code Napoleon in Italia” ponendosi inizialmente il problema di quale sia il rapporto del code con la Rivoluzione . Se guardiamo al Droit Intermédiaire non come quello spirito che,una volta cominciato a soffiare,non smetterà più di farlo,ma in senso ristretto come ad un diritto circoscritto in un decennio,prodotto immediato e puro della Rivoluzione, possiamo quasi contrapporlo per la sua modernità e la sua democraticità al Code Napoleon ,”il frutto,quest’ultimo ,della reazione termidoriana al terrore e fondamentale strumento operativo del cesarismo napoleonico”.
RispondiEliminaSecondo Cavanna il Code Napoleon è stato” solo in ragione di un equivoco” considerato come il risultato delle proclamazioni dell’89 .
“Marx descrisse la Rivoluzione come “vittoria della proprietà moderna sulla proprietà feudale,della nazionalità sul provincialismo,della concorrenza sulla corporazione,della divisione dell’asse ereditario sul maggiorasco,del dominio del proprietario terriero sul dominio del proprietario mediante la terra ,dell’illuminismo sulla superstizione,della famiglia sui blasoni di famiglia,dell’industriosità sull’eroica pigrizia,del diritto civile sui privilegi medievali”.Se adattiamo al code Napolèon questa chiave di lettura della Rivoluzione senza nulla aggiungere e nulla togliere alle espressioni marxiane,realizziamo con buona approssimazione l’immagine mitica che del codice stesso ebbero moltissimi intellettuali”.
Lo storico non nega al codice civile francese valore di “monumento legislativo “,ma sottolinea come la Rivoluzione avesse chiuso con il passato laddove per Portalis qualunque impresa di codificazione avrebbe fallito qualora non avesse guardato alla tradizione.
La dialettica rivoluzione/tradizione presente nelle norme del codice civile del 1804 lo caratterizza e differenzia dal “diritto di passaggio”,forse proprio per questo definito “di passaggio”.
Cavanna scrive: “Taluni elementi di fondo dell’individualismo rivoluzionario sono manifestamente accolti nel codice di Napoleone : l’assioma dell’uguaglianza civile(unicità del soggetto giuridico,con implicito ripudio dei privilegi corporativi e feudali dell’antico regime),il principio della laicità del matrimonio,l’idea del primato del diritto di proprietà,il postulato della libertà dei commerci e delle operazioni economiche tra i privati,il concetto stesso di codice,cioè il dogma della unità del diritto nazionale e statuale sono accolti nel codice”,ma c’è anche una prospettiva diversa che rivela un “meditato compromesso d’impronta liberal-borghese”.
“Napoleone realizza una rigorosa restaurazione della patria potestà:nuovamente concepita come tramite d’autorità tra società e individuo. Definita da Portalis quale” sorta di magistratura”,è ritornata ad essere un complesso di poteri direttivi e correttivi che giungono fino alla facoltà di far incarcerare il figlio ribelle e che contemplano l’autorizzazione dei genitori come condizione necessaria per le nozze del minore di venticinque anni. Anche il testamento rinasce..la quotité disponible viene restituita all’autorità paterna come un’arma per tenere in uno stato di soggezione permanente la prole di qualunque età. Quanto al divorzio,”il più pericoloso elemento di rivoluzione sociale ereditato dalla Rivoluzione” e insieme “uno dei più rappresentativi prodotti libertari della Rivoluzione stessa” è considerato come male necessario e rimedio estremo:conservato anche in ossequio della libertà di culto,esso è ammesso in pochi casi tassativamente indicati dalla legge … è ottenibile solo assolvendo un defatigante complesso di condizioni. La potestà maritale è riconsegnata all’uomo quale capo assoluto del governo familiare .
RispondiEliminaLa Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789,all’art 17,aveva qualificato la proprietà come diritto inviolabile e sacro e nel 1804 Portalis ,presentando al Corpo Legislativo il titolo “De la propriété”,ne parla come “elemento costitutivo dello stesso essere umano”.Tuttavia i giuristi napoleonici non attribuiscono alla proprietà i caratteri di un primordiale diritto naturale in quanto preesistente allo Stato stesso. Essa nasce dal lavoro dell’individuo in seno alla società civile organizzata,lo Stato la regola e la limita.”
“Nell’art 544 il Cannata e il Gambaro hanno scorto un’ambiguità : ”il diritto di proprietà viene definito mediante una formula intrinsecamente contraddittoria che pone l’accento sull’assolutezza del dominio,ma poi ribalta la gerarchia delle fonti per sottoporre un diritto legislativamente sancito al capriccio dei regolamenti amministrativi”; Grossi ,Il dominio e le cose, intravede nell’art 544 “due anime ,due mentalità,due scritture”.Come homines novi usciti dall’89,i compilatori del codice accolgono in pieno,sul piano filosofico-politico,l’idea rivoluzionaria della proprietà una e indistinta. Ma contemporaneamente la loro tetragona mentalità di tecnici educati agli schemi interpretativi d’ancien régime li rende incapaci di rappresentare giuridicamente la nuova proprietà altrimenti che come “l’addizione di un potere e di un disporre”:sotto l’iperbole sopravvivono,quasi inconsapevolmente,la vecchia figura composita di proprietà e l’inveterata idea del dominio diviso”.
Molto bene gli interventi ultimi di Alessia e Monica, che arricchiscono il panorama delle opinioni degli storici sul rapporto tra Droit Intermédiaire e codificazione napoleonica.
RispondiEliminaMa anche altri interventi precedenti hanno colto i principali aspetti del dibattito storiografico.