domenica 27 marzo 2011

Dall'assolutismo giuridico alla codificazione

Interventi molto interessanti sull'assolutismo giuridico come categoria storiografica e chiave di lettura della codificazione. Altri approfondimenti originali sui fisiocratici francesi, premessa della trasformazione del diritto privato. Il perno di questa trasformazione è la proprietà, diritto individuale per eccellenza. I diritti reali su cosa altrui vengono drasticamente limitati e resi tipici, perché non sia più possibile imbrigliare le cose con una ragnatela di diritti che fanno capo a soggetti diversi. Sembra la premessa indispensabile dello sviluppo dell'economia in senso capitalistico, anche se il Regno Unito non segue la stessa strada eppure vive uno sviluppo altrettanto impetuoso.
Domani con Sandro Notari vedremo le fasi della Rivoluzione francese e la diffusione del modello del Code Napoléon in Europa.

17 commenti:

  1. In merito alla lezione di oggi abbiamo individuato un articolo tratto dai Quaderni Fiorentini che esamina l'opera di Viora, soprattutto il pensiero di alcuni autori riguardo la distinzione tra consolidazione/codificazione:
    - Tarello ritiene che "questa distinzione terminologica è opportuna, quantunque le consolidazioni di solito avessero il nome di codex...Inopportuno è invece riferire la distinzione prevalentemente al carattere innovativo dei codici e conservativo delle consolidazioni perchè solletica discussioni quantitative (quantità di vecchie norme incluse nei codici moderni) anzichè qualitative (caratteri propri della codificazione moderna come il soggetto unico di diritto...). Petronio -autore dell'articolo- sottolinea che questa tesi è influenzata dall'importanza attribuita al soggetto unico di diritto quale esclusivo elemento distintivo.
    - Petronio non nutre dubbi sulla validità della classificazione, ma non ne condivide le premesse in quanto ritiene di un periodo successivo al Code Napoleon il testo che presenta i caratteri propri del codice come definito da Viora. Riprende i dibattiti che hanno accompagnato la stesura del codice da cui desume che la coscienza di quest'ultimo non è compiuta, la concezione che allora è del codice è venuta crescendo e modificandosi pian piano man mano che andava avanti la lotta per la codificazione. A suffragio di tale tesi cita la voce "codice" dell'Enciclopedye: "signifie en general recueil de droit; mais on donne ce nom a plusieurs sortes de recueils fort differents les uns des autres".

    Aurora Filippi, Michele Gallante, Lucio Maria Lanzetti

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  2. Riguardo la lezione tenuta oggi dal Professor. Notari ho voluto fornire un breve excursus sulla storia dell’isola della Sardegna dal punto di vista del diritto. Infatti la sua storia è caratterizzata da una serie di popolazioni diverse che l’hanno “gestita”nel corso dei secoli. Fin dalle antichità con i Fenici e successivamente con i Cartaginesi, spodestati solo dai Romani. Quest’ultimi non si limitarono solo ad invadere territorialmente l’isola, ma le imposero la propria lingua, i propri usi, la propria religione e tutti gli altri aspetti della vita romana. Ma alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, la Sardegna passò nelle mani di Bisanzio. Tuttavia alle fine dell’VIII sec. d.C. ritrovò la sua indipendenza attraverso la formazione di 4 regni autonomi detti Giudicati (Cagliari, Arborea, Torres, Gallura). Essi presero questo nome perché erano subordinati ad un Giudice, che è paragonabile ad un sovrano medievale europeo. Inoltre ogni Giudicato era diviso in Curatorie, amministrate da un curatore. Di questo periodo è importante sottolineare come il diritto successorio che regolava la successione al trono del Giudice era concesso anche alle donne. Era presente anche un’assemblea parlamentare, ma solo con funzioni consultive. Dopo quest’età che venne poi definita la seconda età dell’oro dell’isola sarda, questa iniziò a subire delle infiltrazioni da Pisa e Genova. Infatti le due città avevano combattuto al fianco dei Giudicati contro gli Arabi e così gli chiesero delle concessioni. Tuttavia anche le famiglie nobili provenienti da tali città si trasferirono nell’isola, tanto che migliorarono i commerci e la stessa economia, ma i Giudicati persero pian piano la loro indipendenza. Negli anni successivi la Sardegna fu dominata dagli Spagnoli, ma nel 1700 Carlo II, re di Spagna, morì senza eredi. Iniziarono così delle lotte per la successione che lasciarono incontrollata la stessa Sardegna. Fino al 1718, anno in cui con il Trattato di Londra questa passa ai Savoia, l’isola visse nel banditismo e nella criminalità. Ma con i nuovi sovrani iniziò un programma di ripristino che si sviluppò soprattutto con Carlo Emanuele II. Egli infatti cercò di riorganizzare l’istruzione e di modernizzare la vita socialmente, culturalmente ed economicamente. Perciò dopo un primo periodo di tempo in cui i Savoia rimasero perplessi di fronte alla problematica situazione, si portò avanti una soluzione riformatrice. Ricordiamo la figura di G.B.L.Bogino, che si occupò degli affari sardi con una corrispondenza col suo re fra Torino e Cagliari. Ma alla morte del re, le riforme si interrompono perché per motivi personali il figlio licenzia il Bogino.
    Possiamo quindi notare come la Sardegna abbia avuto una formazione molto vasta e variegata, visto il contributo che ogni popolazione ha cercato di lasciarle e di come apparisse perciò come un’isola a sé, nella quale nemmeno le Costituzioni che sono state emanate dai Savoia potranno entrare.

    Ylenia Coronas

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  3. E’ nello scritto “Consolidazioni e codificazioni. Contributo alla storia della codificazione” che Mario Viora, storico del diritto italiano, identifica, forse per la prima volta, una distinzione che ha avuto discreto successo tanto tra gli studiosi di storia del diritto quanto tra i cultori del diritto positivo, ovvero quella tra consolidazioni e codificazioni.
    L’approccio di Viora è netto rispetto al genus della consolidazione, che viene ad incarnare una vera e propria “categoria logica” contrapposta rispetto a quella di codice. L’autore, in un saggio risalente al 1928 dedicato alle Costituzioni piemontesi di Vittorio Amedeo II, parla in particolare di un “concetto” formatosi per l’esistenza di una legge definita “di consolidazione”, la quale rispecchierebbe “l’uniforme tendenza delle norme a consolidarsi e a sistemarsi in gruppi organici”; sarebbe dunque possibile individuare ciclicamente, nell’ambito della storia della civiltà umana, un’epoca di consolidazione del diritto, vale a dire un’epoca in cui il diritto viene sistemato, stabilizzato, potenziato.
    Quest’età della consolidazione, se così può essere definita, è la stessa che per altri storici individuerebbe la prima fase del processo di codificazione, ossia quell’organizzazione delle norme giuridiche in corpi organici che normalmente prelude alla promulgazione di un codice, stadio, questo, reso necessario dall’impossibilità, individuata principalmente per i pratici del diritto, di accedere alle fonti e di consultarle agevolmente per la soluzione dei casi giuridici.
    Il concetto di consolidazione è strettamente delineato dallo scopo cui le consolidazioni stesse erano finalizzate, così come dal loro contenuto, essenzialmente diverso se confrontato con quello di un codice: nel primo caso infatti la “materia prima” può individuarsi in leggi vecchie, che vengono semplificate ed inserite, nei limiti del possibile, in un sistema accurato; nel secondo caso, si parla invece di “elaborazioni nuove”, secondo un criterio di distinzione prettamente quantitativo (era scontato infatti, che anche le unità codicistiche racchiudessero materiali tradizionali, almeno in parte). Proprio per rispondere a quest’ultima obiezione, lo stesso Viora aveva poi affermato che le norme antiche, nel momento in cui venivano accolte nel codice, dovevano considerarsi “animate da uno spirito nuovo e, all’occorrenza, piegate ad un significato diverso dall’antico”.

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  4. (continua)

    Inoltre, Viora arrivava a determinare il concetto di consolidazione quasi per esclusione, una volta riconosciuti i caratteri determinanti una formazione codicistica, introducendo ulteriori criteri di differenziazione tra le due categorie: in primo luogo, un codice si prefigura come completo, abolisce cioè le altre fonti del diritto, eliminando la c.d. eterointegrabilità delle raccolte di diritto (intendendosi con tale termine la possibilità che esse avevano di essere integrate dal diritto comune o dai vari iura propria, che, come noto, designavano un diritto non uniforme ratione loci, ratione materiae e ratione personae); si caratterizza poi per la novità del materiale normativo che ne costituisce il contenuto; contempla, infine, una sola parte del diritto, caratteristica, questa, estranea alla consolidazione. Un secondo criterio di differenziazione riguarda l’introduzione, da parte del codice, dell’uguaglianza giuridica di tutti i soggetti, l’uniformazione cioè del soggetto di diritto.
    Se questi sono dunque i caratteri che delineano un codice, era facile riconoscere il carattere meramente ordinatorio di raccolte antecedenti, come ad esempio il Code Louis (o “Ordonnances sur la réformation de la justice civile et criminelle”) del 1667, in quanto raccolta di diritto già esistente, le Costituzioni piemontesi, voluminosa raccolta di leggi in cinque volumi voluta dal sovrano sabaudo Vittorio Amedeo II nel 1723, i Codici bavaresi in materia penale e di procedura civile, rispettivamente del 1751 e del 1753, fino ad arrivare all’Allgemeines Landrecht del 1771.
    Seguendo tale ragionamento, sarebbe possibile riconoscere un vero codice solo nel Code Napoleon, l’unico a presentare i caratteri della completezza, della chiarezza, della novità, dell’uniformazione del soggetto di diritto (assunto, anche questo, negato da chi sostiene il problema dell’effettiva novità del codice in questione, e della sua apertura ad un’eterointegrazione).
    Viora non è stato l’unico ad occuparsi della distinzione in esame: contrario ad essa, per esempio, Ugo Petronio, che ne “La lotta per la codificazione”, in un paragrafo intitolato profeticamente “Un mito da sfatare: consolidazioni e codificazioni”, puntualizza le incoerenze della costruzione del giurista piemontese, che ha condotto all’individuazione di due categorie diverse e in antitesi l’una dall’altra, spezzando la continuità storica del processo di formazione dei codici e forzando la realtà della storia (il che è dimostrato dall’esistenza di testi che “maliziosamente, non si lasciavano infilzare facilmente nell’una o nell’altra categoria – basti pensare alla Leopoldina, che se da una parte poteva annoverarsi tra le consolidazioni per la sua eterogeneità, dall’altra presentava, accanto a norme già esistenti, la previsione di istituti del tutto nuovi). Né secondo Petronio è possibile riconoscere una diversità tra atti essenzialmente simili solo perché in un caso è stata prevista l’abrogazione delle fonti precedenti e nell’altro caso no. L’autore si chiede inoltre se sia possibile asserire che dal Code Napoleon in poi i codici siano costituiti solo da diritto nuovo: l’obbligo di dare giustizia previsto dall’art. 4 del Codice napoleonico infatti, apriva la strada a quell’eterointegrazione che la forma-codice non ammetterebbe (per un’analisi più approfondita dell’opinione di Petronio in merito, è possibile far riferimento anche all’articolo riportato nei “Quaderni Fiorentini”, vol. XIII (1984), già indicato dai miei colleghi).

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  5. (continua)

    Ad ogni modo, anche altri studiosi hanno negato la diversità tra consolidazione e codice: Alvazzi del Frate per esempio ricorda l’assenza di una tale diversificazione in altri ordinamenti, e ravvisa un medesimo intento, uno stesso animus, che anima “consolidatore” e “codificatore”. Guido Astuti, nega dapprima la distinzione di Viora, rivalutandola e facendola propria in un secondo momento (abbandona cioè qualsiasi riferimento ai contenuti normativi delle due categorie, affermando che “carattere tipico della codificazione è la unificazione del diritto civile, attuata sostituendo al preesistente sistema pluralistico di fonti normative un unico testo legislativo organicamente compiuto, di valore generale”.
    Giovanni Tarello, pur accettando la distinzione tra consolidazioni e codificazioni, quale “distinzione terminologica opportuna”, nega che la stessa possa ridursi al carattere innovativo dei codici e conservativo delle consolidazioni: la vera rivoluzione del codice è l’introduzione di un soggetto unico di diritto, nonché la sua completezza ed esaustività, espresse con il termine di “auto-integrazione”; elemento fondamentale viene riconosciuto inoltre nella capacità dei codici moderni di realizzare una semplificazione del sistema delle fonti: i codici infatti contengono solo una serie di norme, che non sono motivate (nell’Ancien Regime le leggi venivano motivate – la c.d. exposé des motifs de loi), non presentano orpelli che diluiscono il contenuto della norma, creando dunque un sistema dal carattere coerente e sistematico.
    Infine, anche Natalino Irti in tempi recenti ha riconosciuto il valore delle categorie di Viora quali categorie “storiche”, non anche logiche.

    Alessia Guaitoli

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  6. Le parole di uno storico del diritto – Adriano Cavanna:
    “In realtà, anche se l’idea culturale di un regime normativo unitario e non controverso si era da tempo fatta strada nel pensiero giuspolitico europeo, ancora in pieno secolo XVIII essa appariva un mitico traguardo ideale, da cui le ambizioni semplificatrici e i concreti programmi di riorganizzazione del diritto si tenevano realisticamente lontani.(…) Entro questa prospettiva sostanzialmente conservatrice, per quasi tre secoli si pensò di poter raggiungere risultati di semplificazione, di certezza e di riordine operando sul complesso delle norme vigenti. (…) …la persistente mancanza ad osare l’inosabile: l’abrogazione ufficiale di tutto il diritto vigente; la sua riformulazione in un corpo normativo completo e uniforme suscettibile di univoca applicazione e non tollerante l’integrazione sussidiaria di alcuna fonte esterna.”
    Da queste parole lo scenario risulta estremamente chiaro:una situazione di caos normativo, con leggi, grida e decreti a formare una oceanica e intricatissima selva giuridica (e ci torna alla memoria il seicentesco Azzeccagarbugli manzoniano), la quale si tenta di risolvere mediante una ricompilazione e una riordinazione del materiale esistente .Nascono così collezioni, raccolte e consolidazioni. Murlocultura 2006

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  7. “L’accordo tra borghesia e dinastie o oligarchie dominanti e detentrici del potere politico costituiva naturalmente la base di questo lavorio legislativo spesso assai intenso i cui obbiettivi oscillavano tra la consolidazione di un diritto vigente utilizzato in modo sempre più incerto e il crescente deterioramento degli apparati giudiziari e per le frequenti inframmettenze di individui o gruppi che vantavano antiche e numerose esenzioni,privilegi e diritti singolari, e la formazione di raccolte normative piuttosto brevi e lineari,alleggerite,cioè,nello stile e nella mole per essere così comprese da vari strati della popolazione. Questo fenomeno aveva ormai una base ideologica piuttosto definita le cui premesse scaturivano naturalmente dalla visione del ruolo riformatore che poteva essere svolta da principi e da gruppi dirigenti o dominanti per la realizzazione di quella pubblica felicità considerata adesso l’obbiettivo irrinunciabile di una nuova politica fondata essenzialmente sull’utilità sociale…..
    In Muratori all’insofferenza per gli abusi e gli arbitrii dei giuristi e degli interpreti pratici delle leggi,tipica ormai di vasti strati della pubblica opinione,ed alla aspirazione ad una certezza del diritto da ricostruire sull’ostracismo alle interpretazioni sovrabbondanti,capziose ed infondate di una casta privilegiata e parassitava,si accompagnava la fedelta’ ideale al diritto romano i cui testi,come egli aveva affermato nel saggio de Codice Carolino apparivano consacrati “ab antiquitate,a consensu populorum et a sua dignitate”:….l’umanitarismo giuridico muratori ano tendente a fondere insieme tradizione classica ed idee innovative,rispetto per il diritto romano ed esigenze della società moderna. Peraltro la consapevolezza dell’incomparabile valore della tradizione romanistica e dell’assoluta superiorità culturale e civile delle fonti da quella ispirate rispetto alle molteplici altre introdotte ed applicate dal crollo dell’Impero d’Occidente si era ampiamente diffusi in Italia ed in Europa per la notevole ripresa si studi storici tendenti a dimostrare la validità dell’antico assioma sulla fondamentale coniunctio che univa da sempre la storia civile con la giurisprudenza romana.
    continua...

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  8. I contenuti chiari e certi del nuovo Codice Carolino non avrebbero mai dovuto intaccare i principi limpidissimi perché classici del diritto romano comune …..ma al di là delle polemiche che investivano sempre più violentemente gli interpreti delle leggi ed i metodi giurisprudenziali tradizionalmente applicati nella prassi,il diritto romano appariva almeno in linea di principio rispettato se non addirittura esaltato come insostituibile …
    Era però difficile che la polemica potesse continuare a mantenersi su questa linea distinguendo,cioè,l’opera di Giustiniano da quella dei suoi commentatori ed interpreti …. quando l’esigenza della razionalizzazione e della semplificazione del diritto vigente imponeva una sempre più vasta serie di scelte sul terreno normativo obbligando addirittura all’adozione di alternative legislative a quelle della tradizione del diritto comune…..cominciava a divampare quella critica al diritto romano destinata a caratterizzare l’illuminismo nostrano”.
    Da “Unità Nazionale e unificazione giuridica in Italia” di Ghisalberti

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  9. Fra gli autori che più si sono dedicati allo studio dell’evoluzione del fenomeno della codificazione in Italia non si può non citare Natalino Irti.
    Il Dott. Notari si è soffermato sulla sua figura, sottolineandone non soltanto il ruolo di insigne esperto di diritto civile, ma anche di grande studioso e conoscitore della storia del diritto; numerose risultano essere le pubblicazioni dedicate alla codificazione, e fra queste degna di nota è senza dubbio “L'età della decodificazione”, edita nel 1979, opera in cui egli si spende e si sofferma sul mutato quadro istituzionale, in cui la codificazione cede il passo ad una multiforme varietà di micro-sistemi, disciplinanti i settori più disparati, autonomi ed assai poco in comunicazione fra loro.
    Il moltiplicarsi delle leggi speciali, che questi definisce come “statuti di gruppo”, nate per il soddisfacimento ed in funzione degli interessi di una cerchia ben definita di soggetti, sommato all’avvento della globalizzazione in campo economico e soprattutto commerciale, ha determinato un lento ma inesorabile processo di “erosione” del codice civile, implicando la perdita da parte delle norme della loro originaria connotazione; esse perdono di fatto la loro localizzazione territoriale (sappiamo quanto l’elemento della territorialità risulti uno dei parametri fondamentali di un codice), a favore di una eccessiva indeterminatezza, connaturata al concetto stesso di globalizzazione.
    In tale contesto di cambiamento l’autore si pone il problema del fondamento del diritto ai giorni nostri: per Irti le norme si impongono in base agli interessi preminenti all’interno dello spazio globalizzato, il cui fulcro è rappresentato dalle dinamiche del mercato e della tecnica.
    Relativamente allo sviluppo del concetto di codificazione nel nostro paese, non ho potuto fare a meno di imbattermi in una voce dell’”Enciclopedia delle Scienze Sociali” Treccani, recante il titolo di “Legislazione e codificazione”, redatta proprio dallo stesso Irti e a mio avviso molto pertinente con il discorso affrontato oggi a lezione.
    All’interno di tale voce infatti l’autore focalizza la sua attenzione sui singoli elementi caratterizzanti l’idea di codice, affrontati analiticamente stamani: l’analisi si concentra in primo luogo sul principio dell’unificazione dei soggetti di diritto, sull’eguaglianza di tutti i soggetti dinanzi alla legge, senza più divisione per ceti sociali o per appartenenza a cerchie di soggetti “protetti”: come abbiamo avuto modo di vedere, il concetto di uguaglianza dei soggetti di diritto rappresenta una scriminante fondamentale nell’antitesi e contrapposizione concettuale fra consolidazione e codificazione; si è notato infatti come nel primo caso, relativo ai fenomeni di consolidazione (es. Alr 1794 o Costituzioni di Sua Maestà 1723/1729), non si è avuta premura di dettare un diritto uguale per tutti, bensì si è tenuta saldamente in piedi la distinzione per classi, tipico retaggio delle società di ancièn regime.

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  10. Degna di nota è inoltre la digressione sul concetto di codice, all’interno della quale trovano giusta collocazione altri importanti elementi costitutivi, quali i principi di completezza ed autosufficienza del codice rispetto alle altre fonti (esso si pone quale unica fonte, esso non è eterointegrabile) , nonché di chiarezza e semplicità, questi ultimi legati alla struttura ed al modus di redazione del codice: il nuovo codice deve infatti essere comprensibile a tutti i comuni cittadini (ossia deve essere essenzialmente intelligibile ai cittadini borghesi), deve essere redatto in una lingua da tutti conoscibile, non più dunque in lingua latina (es. redazione e pubblicazione in copia bilingue francese-italiano delle Costituzioni di sua Maestà 1723), deve essere facilmente fruibile dal singolo e, dall’articolazione e dalla struttura delle norme, deve emergere in maniera lampante la chiarezza lessicale, data dalla formulazione breve e concisa di ogni singola norma ovvero dalla collocazione sistematica delle disposizioni entro precise aree concettuali (es. delle successioni, della famiglia, etc.).
    Di seguito alcuni passaggi significativi della voce “Legislazione e codificazione”:

    - sulla codificazione intesa come forma storica di legislazione:

    “La codificazione è una forma storica di legislazione. L'esperienza dei codici europei presuppone non soltanto il potere di legiferare, ma il primato della legge sulle altre fonti del diritto. Consolidatisi gli Stati assoluti, declinata la forza della nobiltà e dei ceti professionali, costruita la moderna teoria della sovranità, il diritto si definisce come posizione di norme statali.
    Diritto è il diritto legislativo dello Stato. Il vario mondo, in cui confluivano eredità romanistiche, diritti territoriali, consuetudini agricole e usi mercantili, responsi di antichi giureconsulti e regole canoniche; tutto questo intreccio converge a mano a mano, per una sorta di razionale semplificazione, nel soggetto della sovranità.
    Qui è il supremo potere di stabilire ciò che è diritto, e così di accertare o selezionare il lascito del passato, di introdurre nuove regole e di ordinare l'intero patrimonio normativo di un paese.
    Il sovrano non trova, dinanzi e prima di sé, un intangibile e perenne diritto dei rapporti civili (della civitas, in cui la condizione naturale viene superata e trascesa): egli è fonte del diritto, e il diritto si esprime nella forma della legge.
    A ben vedere, le teorie del giusnaturalismo, delineando la transizione dallo stato originario alla civitas, mentre segnano (o s'industriano di segnare) limiti e argini al potere sovrano, insieme l'innalzano a principio costitutivo dell'ordine umano e della convivenza storica.
    L'assolutismo politico, eretto sulle rovine della feudalità e dei corpi intermedi, si congiunge al razionalismo filosofico e scientifico: lo Stato riposa su criteri di potere funzionale, adeguati agli scopi della sovranità regia e dell'irrompente borghesia.”


    - sull’uguaglianza giuridica dei soggetti di diritto:

    “la volontà popolare è volontà della nazione, e questa esige un diritto proprio e autonomo, sciolto da antiche eredità e da confuse genealogie.
    La grande Rivoluzione fu preparata e favorita dall'assolutismo regio: essa dette l'estremo colpo a istituzioni, che già la monarchia aveva spogliato di qualsiasi funzione politica e che ormai sopravvivevano come odiosi privilegi e come ostacoli al libero svolgersi della borghesia mercantile. Demoliti i ceti feudali e corporativi, la Rivoluzione vi sostituì "un ordine sociale e politico più uniforme e più semplice, fondato sull'eguaglianza dei cittadini" (A. de Tocqueville, L'ancien régime et la Révolution, 1856). L'eguaglianza tra membri della stessa nazione, sottoposti a leggi comuni e giudicati da magistrati comuni, significa non soltanto unità e identità storica della nazione, ma pure necessaria condizione del libero commercio: che è libero perché intercorre tra soggetti uguali.”

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  11. “Ebbene, anche sotto il riguardo dell'eguaglianza, la legge appariva come strumento necessario ed efficace: essa sola in grado di disboscare le antiche fonti di diritto, di sostituirle con discipline semplici e uniformi, di ordinarle in corpi sistematici.
    A questo riusciva utile l'indole generale delle prescrizioni legislative, che non regolano casi e fatti determinati, né si rivolgono ai singoli gruppi o a specifiche categorie di soggetti. Generalità e astrattezza vengono indicate come proprie della norma legislativa, l'una designando il carattere anonimo dei destinatari; l'altra, il carattere ipotetico delle azioni disciplinate.
    L'anonimo 'chiunque', il quale si trovi in una situazione puramente ipotizzata (e, dunque, soltanto possibile o probabile), è il simbolo della struttura egualitaria della legge. Eguaglianza dei cittadini e generalità della legge si tengono reciprocamente: il codice, non disciplinando casi e situazioni determinati, è statuto di soggetti eguali”

    - sul concetto di codice:

    “Tra la fine del XVIII secolo e i primi anni del successivo, si andava così determinando un groviglio di ideologie e di interessi economici, di razionalità ordinatrice e di unità politica, che trovò risposta nei codici europei. L'equazione tra norma giuridica e legge dello Stato sospingeva verso un'opera unificante, capace di affermare il primato della legge tra le fonti del diritto e di raccogliere in sistema la disciplina di un settore di vita. L'unità politica della nazione si esprime in unità legislativa; il codice assume l'importanza di un libro patriottico, con cui viene celebrata l'identità culturale del paese, l'eguaglianza dei cittadini, la continuità della tradizione e, insieme, l'audacia della modernità.
    Il codice manifesta la potenza e l'orgoglio del potere legislativo: ne è, in certo modo, la misura più alta e perfetta. Il diritto si esprime nella forma della legge statale, e questa si svolge e organizza nella forma del codice. La tendenziale equazione fra diritto e codice è promossa dal monopolio legislativo dello Stato. Non si tratta di raccogliere vecchie norme o consuetudini, di consolidare il passato selezionandone i rami più freschi e vitali, ma di porre il diritto nella forma del codice. Qui, come sempre, la forma è tutt'uno con il contenuto: codificare non è un semplice mettere insieme, gettare un vincolo estrinseco tra norme diverse, quanto stabilire il diritto secondo una tavola di principî.”

    - sul rapporto tra codice e rivoluzione:

    “Al codice, come forma storica di legislazione, sembra appartenere il carattere della discontinuità. Esso non si limita a selezionare e raccogliere il patrimonio legislativo, a consolidare e ordinare le norme vigenti, ma si pone come fonte esclusiva di diritto.
    La storia legislativa di un paese incomincia, o ci appare scandita, dall'emanazione dei codici.”

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  12. - sul concetto di autosufficienza del codice:

    “Il mito, o la fede, della completezza accompagna tutta l'esperienza storica dei codici. Questo significa non tanto che i codici si considerano completi, quanto che riservano a se medesimi la scelta delle modalità integratrici: è piuttosto autosufficienza, cioè supremo potere di tracciare i confini del diritto statale e di allacciare rapporti con altri ordini di norme. La completezza non esclude relazioni con altri ordinamenti, ma li deferisce al potere sovrano dello Stato.
    Poiché nulla vieta che norme del codice siano vicendevolmente in conflitto, e che si riapra così l'antica incertezza, i principî provvedono anche alla soluzione delle antinomie. La coerenza è pregiata al pari della completezza: occorre che le norme (espresse o desunte per analogia) siano bensì in numero pari ai casi controversi, ma non in numero maggiore.”

    - sullo stile del codice:

    “Si esalta la chiara semplicità del linguaggio. Soltanto il codice, tra i corpi di leggi e le raccolte organiche di norme, ha un proprio stile, sobrio e incisivo, razionale e assiomatico. Qui, com'è ovvio, si sale dalla molteplicità storica all'idea di codice: ogni codice ha un suo proprio stile; ma l'idea di codice (in cui le varie esperienze sembrano depositare i caratteri tipici e costanti) evoca di per sé uno stile, appunto lo stile dei codici. La semplificazione non riguarda soltanto le fonti del diritto e la dispersa folla delle leggi anteriori, ma pure il linguaggio: latinetti, arcaismi, parole dubbiose o ambigue, regole scolastiche, massime di giudici e di dottori. Il razionalismo filosofico, le ideologie democratiche, gli interessi della borghesia esigono un comune e semplice linguaggio, che garantisca la stabilità dei significati.Nell'universo del diritto, l'ordine delle azioni è ordine del linguaggio: le azioni si collocano sotto le norme, e prendono la qualifica che esse attribuiscono.
    Ordine linguistico e ordine logico disegnano insieme la struttura interna del codice.”

    A domani,


    Flavia Mancini

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  13. Codice Napoleonico, con cenni all’art. 4
    E’ uno dei più celebri Codici Civili, redatto da una commissione ed entrò in vigore nel 1804. Lo stesso Napoleone gli prestò grandissima attenzione, infatti si occupò personalmente di alcune materie. Egli voleva focalizzare l’attenzione sulla vita reale, influenzò con grande eloquenza l’idea di una famiglia forte. Il suo pensiero in merito può essere sintetizzato in una frase :” la famille forte, dans un Etat omnpotent, sous Napoleon au-dessusde tout”. Si dice che egli concentrò l’attenzione soprattutto sul divorzio e sull’adozione. Diversamente da ciò che era avvenuto in Prussia e in Austria il codice venne scritto per la Borghesia, che attraverso un sovvertimento rivoluzionario riuscì a sopprimere le istituzioni dell’Anciem Regime.Il Codice Napoleonico era dunque il codice della borghesia, si basava sulle Libertà Personali e sul diritto di proprietà.
    Nonostante il Codice nascesse dalla rivoluzione francese del 1789, appare chiaro che alla base di questo Codice Civile ci fossero aspetti conservatori e molte istituzioni tradizionali, che si erano volute conservare. Il codice tenne ben saldi alcuni istituti raggiunti con la Rivoluzione, ma allo stesso tempo ne mitigò altri che il così detto Droit Intermediare (ovvero il diritto diffusosi durante la Rivoluzione) aveva sviluppato. Importante era il ruolo del giudice nei confronti del codice. la dottrina sosteneva che Il giudice doveva essere privato di qualsiasi potere creativo, e che una redazione di tipo casuistico avrebbe limitato i suoi compiti alla sola applicazione del diritto. A questo riguardo bisogna porre l’attenzione sull’art. 4 del Code Civil, che si trova nel Titolo Preliminare: con questo articolo infatti si voleva evitare una prassi giudiziaria, per cui i giudici, quando non possedevano una norma precisa, si astenevano dal decidere. Tramite questo articolo si imponeva al giudice di decidere in ogni caso. Questo articolo è importante in quanto segna un cambiamento nella prospettiva dell’operato del giudice perchè si può affermare dunque, che con l’ art 4 si passò dall’imposizione del giudice del “divieto di interpretazione” alla previsione di Obbligo di interpretazione. Penso sia importante citare Gèny a questo riguardo - L’impostazione del problema dell’interpretazione solleva obiezioni, tra le quali di particolare rilievo furono le osservazioni mosse da Gény. Egli distingue nel testo legale due elementi strutturali differenti: la norma ed il principio dottrinale. La norma costituisce un prodotto oggettivo e stabile, mentre il principio dottrinale è controllato in maniera indiretta dalla realtà circostante. Dalla contrapposizione di questi termini si arriva alla “realtà sociale della legge, come giusta coscienza di uno scopo da perseguire”. “Ma per salvarsi dall’arbitrio dell’interprete cui condurrebbe la natura del costruito (...) si ricorre a un diritto comune naturale, in base al quale i rapporti della vita contengono in sè medesimi le leggi che devono regolarli” (pensiero di Gény da GIANNINI, Teoria giuridica dell’interpretazione) .
    Giulia Onesti

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  14. Oggi a lezione il professor Notari ha accennato, parlando della completezza, alla scuola dell'esegesi: questa scuola è nata in reazione all'entrata in vigore del Codice Napoleone. La scuola dell'esegesi raggiunge, infatti, il suo apice dopo il 1830; questa teorizza il principio della completezza che era stato analizzato dagli interpreti del codice e non dal legislatore. Lo studio del diritto non è altro che la spiegazione del testo con il testo poichè si realizza uno stretto commento del codice: l'interpretazione è letteralmente orientata e si ricorre all'intenzione del legislatore senza una ulteriore elaborazione perchè sarebbe superflua. Il pensiero di questa scuola si fonda sul mito della completezza poichè si affermava la coincidenza del diritto civile con il codice civile: tutto ciò è alla base della sopressione degli studi di diritto naturale, di filosofia del diritto e di teoria del diritto, queste materie concorrerebbero a generare disordine. La loro è una concezione statica del diritto in cui lo studio universitario si incentra solo sul diritto positivo, contrapposto alla concezione giusnaturalista. La scuola dell'esegesi ebbe numrerosi seguaci come Rau, Aubry, Merlin autore del codice penale (ispirato ai principi di Beccaria) e Bugnet che racchiuse il suo pensiero in una frase:" Io non conosco il diritto civile, io insegno il Codice Napoleone". La scuola storica di Savigny si scaglierà poi contro l'eccessiva astrattezza della scuola esegetica poichè i tedeschi affermavano che è la storia e non la ragione il fondamento del diritto.

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  15. Ho cercato in precedenza di riassumere le posizioni di Mario Viora e di Ugo Petronio circa la ripartizione tra consolidazioni e codificazioni, sottolineando come il primo ritenga di poter individuare delle vere e proprie “categorie logiche” contrapposte, delineate da specifici caratteri distintivi, mentre il secondo, sostenga al contrario la mera validità terminologica della distinzione in esame, ritenendo che l’identificazione di due concetti ontologicamente diversi spezzi la continuità storica del processo di formazione dei codici, e forzi nel complesso la realtà della storia.
    Petronio sostiene poi che l’elemento della presenza di materiale normativo nuovo non sarebbe di per sé sufficiente a contraddistinguere l’atto-codice dall’atto-consolidazione, chiedendosi se sia possibile asserire che dal Code Napoleon in poi i codici siano costituiti solo da diritto nuovo. L’incoerenza di Viora con riferimento a tale aspetto, sarebbe dimostrata dall’esistenza di testi che “maliziosamente”, non si lasciano “infilzare facilmente nell’una o nell’altra categoria”, come afferma Petronio ne “La lotta per la codificazione”.
    Un caso limite è proprio quello della c.d. Leopoldina o Codice Leopoldino, promulgato dal sovrano illuminato Pietro Leopoldo II, figlio di Maria Teresa d’Asburgo, che ha rispecchiato senza ombra di dubbio i programmi e gli ideali dell’illuminismo politico e giuridico. D’altro canto, non va dimenticato il contesto di quella “voluntas codificandi” tipica della seconda metà del XVIII, che diede frutti in diversi paesi (come Prussia, Russia, Austria, Polonia e Lombardia).
    L’utilizzo del termine codice non è del tutto esatto (trattandosi formalmente di una legge di riforma emanata il 30 novembre del 1786), e non lo è sicuramente se ci si riferisce ai caratteri che secondo Viora individuerebbero un codice, per alcuni motivi fondamentali.
    La legislazione leopoldina si presentava innanzitutto quale fonte eterointegrata, difatti nel momento stesso della promulgazione, si autorizza il ricorso a norme esterne alla raccolta purché si trovino in armonia con lo spirito della riforma stessa: non si è provveduto quindi all’abolizione del diritto comune, ma si è al contrario legittimata la possibilità di ricorrere allo stesso, qualora ve ne fosse stata la necessità, purché il tutto avvenisse senza contrastare le disposizioni legislative. Questa nuova regola interpretativa non faceva null’altro che ricollegare il “diritto conforme a ragione” al diritto di emanazione sovrana, anziché al diritto comune (come veniva fatto in passato).

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  16. (continua)

    Altro tratto sicuramente estraneo alla logica del codice, inteso come categoria logica autonoma, concerne la trattazione, nella medesima raccolta, della materia penale sostanziale e di quella processuale, tratto, questo, tipico delle raccolte di leggi settecentesche (come precisato dal Dott. Notari in aula, uno degli elementi discriminanti una codificazione è anche quello di concentrarsi su una sola parte del diritto; di qui la separazione progressiva tra codici di diritto sostanziale e codici di procedura).
    D’altra parte, ciò che non rende assimilabile la Leopoldina ad una consolidazione settecentesca, è la presenza di materiale normativo nuovo: se è vero, come accennato, che la raccolta in esame non può costituire un codice, non contenendo l’abrogazione del diritto previgente, d’altra parte non è possibile affermarne il carattere meramente consolidativo, perché molte sono le innovazioni normative introdotte, riguardo l’amministrazione della giustizia, con riferimento in particolare all’istituzione di molti principi di garanzia.
    La Leopoldina ci interessa quindi anche da un secondo punto di vista, che si riconnette al dibattito inerente al rapporto tra illuminismo e diritto penale: è stato ripetuto più volte come in Italia Cesare Beccaria dia voce, in tale ambito, alle idee riformiste, realizzandone un manifesto e ponendosi al centro della campagna volta all’abolizione della pena di morte, mitigando, in un certo senso, l'eccessiva rigidità del diritto penale in tutta Europa (si ricorda infatti, tra i motivi principali, il riconoscimento quali pratiche barbariche della tortura e della pena di morte, pene contrarie ai dettami della ragione).
    Pietro Leopoldo conferisce veste reale ai suggerimenti di Beccaria, il che è dimostrato in primo luogo dalla volontà di umanizzare e razionalizzare le procedure (il codice in esame infatti elimina la tortura e cancella la pena di morte, per la prima volta in Europa); in secondo luogo, va riconosciuto l’intento di fondarsi essenzialmente sulle libertà e i diritti dei sudditi, piuttosto che sull’autorità e la forza dello Stato.
    Per questo il codice penale leopoldino incarna forse il più coerente tra i diversi programmi di riforma che videro luce nell’Europa del ‘700. Accanto all’abolizione della pena di morte e della tortura, il codice prevedeva sotto il profilo amministrativo la separazione delle competenze di polizia da quelle giudiziarie, sotto il profilo probatorio la proibizione del giuramento dei familiari contro il reo (nonché del reo contro sé stesso), sotto il profilo della tutela del diritto alla difesa l’istituzione del difensore d’ufficio per l’imputato povero; si sanciva inoltre la soppressione dell’istituto denuncia anonima, nonché della confisca dei beni ai familiari del reo (“come tendente per la massima parte al danno delle loro innocenti famiglie che non hanno complicità nel delitto”), mentre veniva confermata la previsione dell’abolizione della confisca dei beni dei familiari incolpevoli del reo.

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  17. E’ possibile trovare inoltre riferimenti al diritto ad un processo celere, che liberasse rapidamente l’imputato innocente (“lasciando da parte quelle solennità, che nella compilazione dei Processi fossero inutili e di pura formalità”) e stabilisse un pronto risarcimento delle persone offese dal crimine.
    Di derivazione illuminista, i motivi della certezza della pena, della proporzionalità della stessa rispetto all’entità del delitto (sempre considerando che “l’oggetto della pena deve essere la soddisfazione al privato ed al pubblico danno, la correzione del Reo figlio anche esso della Società e dello Stato, della cui emenda non può mai disperarsi”), della funzione correttiva della pena di un processo giusto.
    Per chi volesse approfondire la tematica della Leopoldina, ho trovato disponibile sul web al seguente link

    http://books.google.it/books?id=XrNCAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=leopoldina&hl=it&ei=edGUTc3GBIT_4wbivMDjDA&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=4&ved=0CDYQ6AEwAw#v=onepage&q&f=false

    un saggio non molto più datato della stessa, appartenente al giurista e storico Ademollo, “Giudizio Criminale in Toscana secondo la Riforma Leopoldina”. Esprimono inoltre opinioni in merito sia Petronio, ne “La lotta per la codificazione”, che Tarello in “Storia della cultura giuridica moderna”.

    Alessia Guaitoli

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