martedì 15 marzo 2011

Incominciamo a vedere veri interventi!

Grazie ai tre studenti che sono intervenuti arricchendo i contenuti della lezione. Per domani sarebbe utile avere alcune osservazioni sul Muratori, i difetti della giurisprudenza e lo scritto singolare sul Paraguay. Potere inserirli qui sotto.

20 commenti:

  1. Dei difetti della giurisprudenza di Muratori (1742) è un pamphlet scritto in italiano e accompagnato da una lettera dedicatoria a Benedetto XIV, si rivolgeva direttamente all'opinione pubblica per denunciare i mali della giustizia individuati nella moltitudine delle opinioni degli interpreti, nella incertezza delle regole, nella lunghezza dei processi e in generale nell'arbitrarietà con cui veniva amministrato il diritto, e per proporre il rimedio di un intervento del sovrano che raccogliesse le soluzioni normative in un codice. Per questo si può dire che Muratori è stato lo studioso che ha iniziato il movimento verso la codificazione in Italia. L'opera è divisa in due parti. La prima, più vasta, è dedicata alla critica contro gli interpreti continuamente discordi ma sempre assunti come oracoli per decidere le controversie e contro i giudici, accusati di emettere le sentenza secondo gli interessati, sulla base di rapporti di amicizia e di conoscenza. La prima parte contiene anche la proposta di un intervento del sovrano sia per apprestare un codice sia per reclutare i giudici. La seconda parte era un saggio dei contenuti che avrebbero dovuto essere oggetto dell'intervento codificatorio del principe. Muratori distingueva tra difetti intrinseci ed estrinseci della giurisprudenza. I primi erano ineliminabili perchè producevano necessariamente il risultato di una interpretazione difforme (es. oscurità di molte leggi, impossibilità che le leggi provvedessero a tutti i casi, difficoltà di individuare la volontà del legislatore, diversità dell'intelletto dei giudici). Ai difetti estrinseci si poteva invece porre rimedio poichè erano nati dal proliferare smisurato delle sottili interpretazioni dei giuristi. La proposta di codice di Muratori non è però un rimedio definitivo : facendo riferimento al codice di Giustiniano, Muratori diceva che la regola giuridica doveva essere imposta da un'autorità e non si doveva sottoporla a commento; ma per la scarsa chiarezza delle leggi essa necessiterebbe dell'interpretazione della giurisprudenza e quindi l'interpretazione era in realtà connaturata al diritto!

    cristina di florio
    cry230288@hotmail.com

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  2. Impossibil cosa è il guarir dai suoi mali la giurisprudenza
     
    Abbiamo esaminato l'opera "Dei difetti della giurisprudenza ieri e oggi" coordinata da Guido Alpa, che analazzando il testo di Ludovico Antonio Muratori del 1742 ne sottolinea i punti di incontro tra la società odierna e quella descritta dal suddetto autore.
    Muratori analizza a fondo il modus operandi della giurisprudenza a lui contemporanea e ne mette in risalto la moltitudine di problematiche da lui definite "difetti",che si distinguono in:
    1 Difetti "Interni" o "di struttura", intrinseci nei giuristi e difficilmente modificabili;
    2 Difetti "Esterni" o "di prassi", riguardo le regole e le elabrazioni dottrinali, corregibili con immediatezza.
    Il pensiero di Muratori si basa su una concezione ampia della giurisprudenza , in cui ricomprende la scienza del diritto (dottrina) e l'applicazione del diritto (giurisprudenza).
    Il punto di partenza dell'analisi è la storia del diritto e delle dottrine nella quale emerge il disprezzo della scienza giuridica e dei suoi prodotti rivolti alla pratica e la considerazione positive delle opere dei trattatisti e delle raccolte di decisionis; Focalizza la sua attenzione sul Corpus Iuris Civilis, non ritenuto un modello perfetto, ma semplicemente un chiaro compendio metodico delle leggi, non privo di contraddizioni e di oscurità.
    La giurisprudenza è invece restia a farsi imbrigliare nella conformità interpretativa raggiunta solo in parte mediante la "communis opinio", che pur attribuendo unaembrionale forma di certezza è motore di ulteriore confusione.
    Conseguenze del sistema sono dunque litigiosità elevata, durate eccessive dei processi, tribunali inidonei ad adempiere in maniera corretta il dovere di rendere giustizia, la babele interpretativa frutto di opinioni di giudici e dottori, oscurità del dato normativo: tutto a svantaggio del povero uomo di strada, "straziato dalle liti".
    I rimedi da lui proposto sono i seguenti: un "piccolo codice nuovo di leggi", compilato da una commissione di dotti e saggi, che risolva in via autoritativa le questioni più controverse ( elabora anche un gruppo di norme in materia testamentaria, contrattuale, dotale e qualche disposizione di deontologia forense e notarile per fare chiarezza nella pratica);intervenire a salvaguardia della "Buona amministrazione della giustizia".
    Ciò nonostante, è consequenziale che per alcuni difetti non c'è e non ci può essere rimedio risolutivo: il legislatore non è onnisciente e onnicomprensivo; le regole non sempre sono coerenti e sistematiche; giudici e dottori non ragionano allo stesso modo.
    Questa situazione è quanto mai attuale: basti pensare alla lunghezza dei processi nel nostro paese, che possiamo quantificare in 267 Milioni di Euro dovuti dallo Stato al risarcimento del danno subito dai soggetti interessati per durata irragionevole del processo ( violazione art. 111 Cost.).

    Aurora Filippi, Lucio Maria Lanzetti, Michele Gallante

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  3. Interessante la ricostruzione che Alessandro Manzoni fa ne “I Promessi Sposi” (1827) dell’avvocato “tipo” della sua epoca: l’ azzeccagarbugli. Chiamato così per la sua capacità di sottrarre dai guai le persone non del tutto onestamente. Spesso e volentieri preferisce stare dalla parte dei più potenti per non avere problemi (v. don Abbondio e i Bravi).

    Solo apparentemente è un bravo avvocato. Nel suo studio sono presenti moltissimi libri (v. il discorso sulle fonti dell’avv tipo del 600 fatto il 15.3.2011 a lezione) ma sono libri che non legge o peggio, non sa leggere per risolvere le controversie. La gente del posto è però molto impressionata da quella grande quantità di carta e lo considera un grande avvocato.

    Manzoni ce lo descrive nel III capitolo del Promessi Sposi; di seguito alcuni periodi interessanti soprattutto per comprendere l’uso che gli avvocati facevano dei precedenti nel D. Comune (non vincolante ma comunque molto utile per trovare la soluzione del caso concreto). V. lezione 15.3.2011.

    Giunto al borgo, domandò dell'abitazione del dottore; gli fu indicata, e v'andò. All'entrare, si sentì preso da quella suggezione che i poverelli illetterati provano in vicinanza d'un signore e d'un dotto, e dimenticò tutti i discorsi che aveva preparati; ma diede un'occhiata ai capponi, e si rincorò. Entrato in cucina, domandò alla serva se si poteva parlare al signor dottore. Adocchiò essa le bestie, e, come avvezza a somiglianti doni, mise loro le mani addosso, quantunque Renzo andasse tirando indietro, perché voleva che il dottore vedesse e sapesse ch'egli portava qualche cosa. Capitò appunto mentre la donna diceva: - date qui, e andate innanzi -. Renzo fece un grande inchino: il dottore l'accolse umanamente, con un - venite, figliuolo, - e lo fece entrar con sé nello studio. Era questo uno stanzone, su tre pareti del quale eran distribuiti i ritratti de' dodici Cesari; la quarta, coperta da un grande scaffale di libri vecchi e polverosi: nel mezzo, una tavola gremita d'allegazioni, di suppliche, di libelli, di gride, con tre o quattro seggiole all'intorno, e da una parte un seggiolone a braccioli, con una spalliera alta e quadrata, terminata agli angoli da due ornamenti di legno, che s'alzavano a foggia di corna, coperta di vacchetta, con grosse borchie, alcune delle quali, cadute da gran tempo, lasciavano in libertà gli angoli della copertura, che s'accartocciava qua e là. Il dottore era in veste da camera, cioè coperto d'una toga ormai consunta, che gli aveva servito, molt'anni addietro, per perorare, ne' giorni d'apparato, quando andava a Milano, per qualche causa d'importanza.

    - Mi scusi, signor dottore. Vorrei sapere se, a minacciare un curato, perché non faccia un matrimonio, c'è penale.
    "Ho capito", disse tra sé il dottore, che in verità non aveva capito. "Ho capito". E subito si fece serio, ma d'una serietà mista di compassione e di premura; strinse fortemente le labbra, facendone uscire un suono inarticolato che accennava un sentimento, espresso poi più chiaramente nelle sue prime parole. - Caso serio, figliuolo; caso contemplato. Avete fatto bene a venir da me. È un caso chiaro, contemplato in cento gride, e... appunto, in una dell'anno scorso, dell'attuale signor governatore. Ora vi fo vedere, e toccar con mano.
    Così dicendo, s'alzò dal suo seggiolone, e cacciò le mani in quel caos di carte, rimescolandole dal sotto in su, come se mettesse grano in uno staio.
    - Dov'è ora? Vien fuori, vien fuori. Bisogna aver tante cose alle mani! Ma la dev'esser qui sicuro, perché è una grida d'importanza. Ah! ecco, ecco -. La prese, la spiegò, guardò alla data, e, fatto un viso ancor più serio, esclamò: - il 15 d'ottobre 1627! Sicuro; è dell'anno passato: grida fresca; son quelle che fanno più paura. Sapete leggere, figliuolo?
    - Un pochino rispose Renzo.

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  4. Diritto comune e codificazioni:
    nel sedicesimo secolo si cominciò a percepire l’esigenza di una radicale riforma del sistema
    delle fonti normative, ma l’assetto settecentesco di queste ultime
    ricalcava il modello medievale, rappresentato
    dalla stratificazione di fonti normative eterogenee(consuetudini locali, statuti comunali, decisioni dei tribunali, editti dei sovrani, leggi feudali, opinioni dottrinali, interpretazioni giurisprudenziali). In una tale situazione, in cui la frammentazione politica,
    il particolarismo istituzionale ed amministrativo, di incertezza del diritto, il diritto comune, nella sua derivazione
    dal diritto romano,e quello canonico erano il fondamento del sistema giuridico europeo.
    Il diritto romano,nella maggior parte
    dei paesi d’Europa, era formalmente considerato come fonte sussidiaria alla quale ricorrere in caso di lacune delle norme particolari, un insieme di regole giuridiche ritenuto
    comune a più ordinamenti per la sua razionalità e universalità; nella realtà esso aveva acquisito un ruolo preminente perché appariva caratterizzato da principi generali e da categorie astratte capaci di comprendere
    tutti i fatti dell’esperienza umana, nonostante fosse recepito solo parzialmente, o rifiutato dalle autorità e dalla popolazione in quanto elemento estraneo alla tradizione locale. Costituiva la base dell’insegnamento della giurisprudenza, nonché un punto di riferimento
    del quale i giuristi dovevano tenere conto. A partire dal XII secolo, il Corpus iuris di Giustiniano, grazie alla riscoperta ed alla rielaborazione fatta dalle Scuole dei Glossatori e dei Commentatori, era divenuto
    il pilastro della cultura giuridica. Solo il diritto romano era stato ritenuto idoneo a fornire un possibile modello organico di riferimento, dal quale attingere i principi,
    le regole, le strutture essenziali del diritto; fu considerato la legge per antonomasia, la fonte di ogni sapere giuridico, la ratio scripta dalla quale attingere soluzioni concrete.
    I giuristi, dovevano individuare la disciplina da applicare ai singoli casi e dare una intrepretazione, nonchè stabilire una gerarchia tra le fonti. Il ricorso alle opinioni dei doctores divenne sempre più frequente e spesso vincolante: in un contesto di sostanziale svalutazione dell’opera del legislatore,
    la communis opinio divenne punto di riferimento obbligatorio per il giurista.
    Bisogna arrivare agli inizi dell’epoca moderna affinchè si contrastino i capisaldi del sistema
    fondato sul diritto comune. In particolare la Scuola culta del diritto sottopose a critica la tradizionale concezione del Corpus iuris giustinianeo come corpo normativo unitario. Ma muoveva anche dall'idea che il diritto romano dovesse essere letto ed analizzato non in riferimento alla realtà e alle esigenze della società del tempo, ma in relazione alle problematiche del tempo in cui fu emanato.

    Si avvertiva l'esigenza di un nuovo equilibrio attraverso la semplificazione delle fonti
    normative e, attraverso la codificazione. L’atteggiamento nei confronti del diritto romano mutò radicalmente.
    Il Corpus iuris civilis appariva insufficiente e il diritto romano era considerato un ostacolo, da rimuovere, alla vita economica
    e sociale in continuo cambiamento.

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  5. Il discredito del diritto comune è ravvsabile nell'opera di Muratori "Dei difetti della giurisprudenza", dove denuncia un <>. Esaminava pregi e difetti del Corpus iuris: da una parte era da ammirare, dall'altra era pieno di difetti ed oscurità, nonchè di "superfluità". Ma la critica più aspra che Muratori fa è diretta alla dottrina e alla prassi <>. Egli sostenva che erano stati i glossatori e i commentatori a dare questa "fama" al corpus iuris, adattando a tutti i costi, e ad ogni costo, alla loro realtà e alle loro esigenze, un'opera che in realtà non rispondeva quasi affatto a queste.
    Sosteneva che ci fossero due tipi di difetti ai quiali occorreva porre rimedio: intrinseci ed estrinseci, e solo questi potevano essere ridotti ed eliminati.
    Difetti intrinseci potevano essere ad esempio la mancanza di assoluta chiarezza delle leggi, oppure che queste non possono sempre e comunque disciplinare tutti i casi.
    I difetti estrinseci non nascono tanto dalle norme ma dagli interpreti di queste. Riprende le critiche che erano già state mosse dalla Scuola Culta. Al numero e all'oscurità delle leggi si sovrappone il numero dei dottori e l'eccesso di discrezionalità dei giudici. Per risolvere la questione egli propone un intervento del legislatore volto a decidere, una volta per tutte, i punti controversi del diritto vigente.La soluzione che Muratori dava era quella di fare una sorta di compendio del corpus iuris, scegliendo solo quelle norme che effettivamente enunciavano principi pressochè immutabili e validi in ogni tempo e luogo, e riferirsi solo ed esclusivamente a quelli.

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  6. Attorno alla metà del XVIII secolo può considerarsi conclusa l'epoca delle consolidazioni di leggi realizzate per semplificare, certificare il diritto e facilitarne la reperibilità, nonchè per snellire il sistema delle fonti. In realtà si continuano a fare collezioni di questo tipo, ma si comincia a muovere l'idea che la riforma del diritto debba accompagnare anche quella politica. E' il periodo dell'illuminismo, dell'assoluta fiducia nella ragione umana e del rifiuto di qualsiasi credenza non fondata sulla ragione naturale. Nasce un concetto di riforma delle istituzioni. Esistono dei diritti dei quali l'uomo è naturalmente titolare e le società civili devono essere riorganizzate per riconoscere e tutelare questi diritti. Lo Stato è visto come organizzazione di persone con diritti soggettivi naturali, fondato su un pricipio di legalità che è da intendersi come razionalità. Lo stato non si identifica col sovrano, non ha un'investitura sacra, ma si fonda sulla delega che per contratto i consociati hanno conferito al monarca affinchè assicuri il bene dei sudditi.
    Le dottrine dell'illuminismo giuridico si fondano su quatto categorie:
    1) presupposto giusnaturalistico: c'è la convinzione che esista un immutabile e universale diritto naturale e che la legge costituisca la positivizzazione di quel diritto, che sia una manifestazione storica della ragione. C'è una concezione soggettiva del diritto naturale, che aspira alla codificazione dei diritti fondamentali ed imprescrittibili dell'uomo (libertà, uguaglianza, proprietà..)
    2) volontarismo e positivismo: lo Stato è l'unico a cui è riservato il compito di fissare in legge le attribuzioni naturali dell'individuo e di imporre l'osservanza coattiva della legge quale espressione della sua volontà. La legge è intesa come positivizzazione storica dei diritti soggettivi universali dell'uomo.
    3) certezza del diritto: le norme positive emanate a garanzia dei diritti individuali devono essere chiare, semplici e non devono far sorgere dubbi.
    4) interpretazione come attività puramente dichiarativa: le teorie illuministiche dell'interpretazione si fondano sul principio della separazione dei poteri per cui il giudice deve essere il mero applicatore della legge; è sottoposto alla legge e non può fare in alcun modo una attività di interpretazione che vada oltre quella puramente letterale.

    Da questi punti si nota l'enorme distacco che si è creato tra diritto comune e diritto delle codificazioni.

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  7. L'attacco è diretto ai vertici del ceto forense."I difetti della giurisprudenza" di Muratori sono ,con un secolo di distanza,quelli che Manzoni denuncia nei suoi Promessi Sposi:"a saper ben maneggiare le gride[ovvero i decreti del governo spagnolo] nessuno è reo,nessuno è innocente".dunque non esisteva giustizia,non esisteva più trasparenza...L'auspicio del Muratori è quello di mettere ordine tra innumerevoli leggi e pareri legali che poi si ritorcevano sempre "sulla povera gente". Monica De Angelis

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  8. Mi dispiace non essere intervenuta direttamente, ma col filo di voce odierna non mi avreste capito in ogni caso! Mi riferisco alla domanda del Professore circa la conoscenza del movimento Law and Economics, che ho avuto modo di affrontare non solo per tangente nell'ambito del corso "Law and Humanities", ma anche perché la nostra Facoltà ha attivato da diverso tempo un corso di Analisi Economica del Diritto(tenuto dal Prof. Zoppini),che ho frequentato e che devo dire ha completato quella prospettiva "diversa" (o perlomeno così percepita, perché ancora poco diffusa nel nostro continente)d'approccio al diritto, della quale è partecipe lo stesso Law and Humanities.
    Uno dei lati positivi dell'avvicinarsi ad uno studio di carattere interdisciplinare risiede nel comprendere come discipline diverse possano fondersi ed essere finalizzate al raggiungimento di un medesimo obiettivo.Essendo la distanza tra diritto e discipline economiche non abissale, è stato comunque più semplice diffondere la prospettiva dell'analisi economica del diritto piuttosto che quella inerente allo studio del diritto in/come letteratura.
    Di fondo l'approccio in esame mira ad analizzare da un punto di vista economico le norme giuridiche.Senza soffermarmi troppo sui caratteri del movimento (per i quali si può ricorrere, in via generale, alla relativa voce su Wikipedia o al sito della SIDE),tenterò di esporre brevemente il tipo di lavoro che l'analisi economica del diritto permette di realizzare, sul piano teorico e su quello pratico, riportando uno degli esempi trattati a lezione, relativo alle immissioni. L'art. 844 c.c. in tema di immissioni stabilisce dei limiti al diritto di proprietà. La giurisprudenza di merito e di legittimità nel corso del tempo ha sviluppato vari temi, come quello della normale tollerabilità delle immissioni, quello del contemperamento dell'interesse proprietario con l'interesse economico nazionale, e quello della tutela del diritto alla salute. L'analisi economica può essere d'aiuto al giudice, nel dirimere il caso di specie,indirizzandolo verso la soluzione "più efficiente", o meglio quella che minimizza i costi di transazione (secondo quanto affermato da Coase). Tali costi derivano dalle difficoltà di negoziazione che si presentano quando le parti sono titolari di sfere proprietarie interdipendenti; essi saranno molto elevati, ad esempio, nel caso di immissioni industriali che inficino la facoltà di godimento da parte dei titolari del diritto di proprietà su terreni confinanti. Il giudice inoltre dovrà valutare la possibile lesione del diritto alla salute, o la necessità di far prevalere l'interesse economico nazionale tutelando il diritto all'immissione. Ebbene, l'analisi economica suggerisce, nel caso di costi di transazione bassi, l'adozione di un provvedimento inibitorio per il futuro e di un provvedimento risarcitorio per internalizzare il costo dei danni che si sono già prodotti; nel caso di costi di transazione alti, prevede invece l'adozione di un provvedimento risarcitorio. Risulta chiaro dunque come tali strumenti possano incidere sulla giurisdizione dei singoli casi, si tratta infatti di una prospettiva latrice di molte possibilità, come testimoniato dalla diffusione del movimento in USA, tanto a livello accademico quanto presso le corti di merito (non a caso uno dei maggiori esponenti odierni è il Richard Posner, giudice della Corte Suprema). Inoltre tale approccio potrebbe essere utilizzato dal legislatore stesso per valutare i costi/benefici che l'adozione di una norma (per esempio di responsabilità) piuttosto che un'altra potrebbero comportare.

    Alessia Guaitoli

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  9. A mio parere,prima di approfondire il trattato di Muratori "Dei difetti della giurisprudenza", trovo giusto parlare delle opere precedenti, scritte dallo stesso autore, che hanno portato alla realizzazione del suddetto trattato.
    Infatti, Muratori era abituato a ritornare più volte, magari da diverse angolazioni, sui temi che aveva già affrontato. Le idee sul mondo della giurisprudenza sono state enunciate in tanti lavori, come per esempio nei "Primi disegni della Repubblica letteraria"(1703), già parlava dei "Difetti" della scienza legale, rinvenuti nella pratica del foro e nell'abuso della sofistica, che portavano a moltiplicare le opinioni; in questo testo si trova già non solo l'auspicio di trovare i relativi rimedi, ma anche la prospettazione di una gamma di soluzioni possibili. Egli confidava nell'opera di giuristi prudenti e acuti che avrebbero potuto agire per diverse vie: a) riducendo in un colpo solo tutte le sentenze più fondate, non decise chiaramente dalle leggi, ma approvate dal consenso dei Leggisti più saggi o dei Tribunali più famosi; b) insegnando la maniera di applicare le sentenze generali ai casi particolari; c)dimostrando quanto si scosti l'uso presente del foro dalle leggi e dagli statuti giudiziosamente composti per sbrigare con prestezza le liti; d)ricercando qualunque altro espediente utile per liberare dagli "abusi" la giurisprudenza.
    Nelle "Riflessioni sopra il buon gusto"(1713), la considerazione della giurisprudenza, intesa come un universo popolato da giudici e avvocati unicamente intenti alla ricerca di ciance, sotterfugi e citazioni, appare più fosca. Muratori riteneva assai difficile per lo studio del diritto percorrere la via del buon gusto, cioè la possibilità di una sua riforma. Egli considerava la scienza del diritto in bilico tra due opposti destini: da una lato la possibilità che essa venisse ricondotta al mondo dell lettere e dell'erudizione, dall'altro che essa fosse destinata a restare ai margini in una pratica confusa.

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  10. Buongiorno a tutti,
    di seguito riporto un riassunto del II paragrafo del capitolo VII tratto dal libro "Alla ricerca dell'ordine" di Italo Birocchi, per mettere in evidenza i punti salienti dell'opera di MONTESQUIEU.
    Per l'età illuministica entra in considerazione la riflessione di Montesquieu, che col suo "Lo spirito delle leggi"(1748)propose un'opera di svolta.Come indica il titolo dell'opera, l'intento di Montesquieu era quello di occuparsi non delle leggi, bensì del modo di comprenderle ricercandone le cause secondo la sua definizione "le leggi sono i rapporti necessari che derivano dalla natura delle cose"."La legge, in generale, è la ragione umana, in quanto governa tutti i popoli della terra, e le leggi politiche e civili di ogni nazione non devono costituire che i casi particolari ai quali si applica questa ragione umana".Ecco l'intelaiatura del pensiero di Montesquieu, incentrata sul doppio riconoscimento DI PRINCIPI UNIVERSALI DI DIRITTO(perchè razionali)e DI SPECIFICAZIONI PARTICOLARI, proprie di ogni ordinamento.Si trattava di studiare la natura e i principi di governo, le caratteristiche fisiche del paese - in primo luogo riguardanti il clima e la conformazione del territorio - i modi di vita degli abitanti, la loro religione e così via.Il complesso di questi dati e delle loro relazioni costituiva lo "spirito delle leggi".Montesquieu distingueva poi tre specie di GOVERNI - REPUBBLICANO, MONARCHICO e DISPOTICO - da ognua delle quali discendevano le relative leggi fondamentali.
    Montesquieu tratta poi il tema della Libertà inteso come "il diritto di fare tutto quello che le leggi permettono".E la trattazione del problema della libertà, in particolare, era sviluppata dall'intellettuale francese sia in rapporto alla COSTITUZIONE sia in rapporto alle LEGGI PENALI.Per quanto riguarda il primo punto, cioè la libertà in rapporto alla costituzione, Montesquieu affermava che in ogni stato vi sono tre generi di poteri:il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto delle genti e il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto giudiziario civile; ebbene il principio basilare espresso dall'autore era che "perchè non si possa abusare del potere bisogna che il potere arresti il potere".Perchè un ordinamento possa garantire la libertà politica dei cittadini per Montesquieu è necessario che i tre poteri stiano in una sorta di equilibrio, ovvero che stiano in un rapporto tale per cui ciascuno di essi non possa prevaricare gli altri due e, per questo motivo, che siano affidati a organi diversi e separati.
    Per quanto riguarda la libertà in relazione alle leggi penali egli proponeva un sistema:
    -preoccupato tanto di punire i delitti quanto di prevenirli;
    -imperniato su indagini e su accuse formulate da magistrati rappresentanti il pubblico;
    -fondato su pene miti, necessarie, proporzionate alla grvità dei reati corrispondenti alla natura del reato, diverse in relazione alla condizione del condannato;
    -che non contemplasse l'applicazione della tortura;
    -che lasciasse spazio all'esercizio della grazia da parte del sovrano.

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  11. Montesquieu poi distingueva quattro categorie di azioni criminose a seconda che offendessero la religione, i costumi, la tranquillità e la sicurezza dei cittadini.Sebbene non si possa parla di un sistema penale coerente ed esaustivo, si riconoscono comunque le linee di un IMPIANTO LAICO e improntato a SPIRITO GARANTISTA.L'autore insisteva sulla necessità che solo le azioni esterne, e non le intenzioni nè le parole in sè, potessero essere perseguite(Thomasius);riteneva che i PECCATI contro la religione fossero altra cosa rispetto ai REATI contro la religione.L'opera,dunque, colpì, per l'invito a rifiutare i pregiudizi consolidati, per l'appello alla ragione da cui derivava la critica ad istituti come la TORTURA(Thomasius) e la SCHIAVITU', per l'invito alla tolleranza oltre che, per le posizioni antidispotiche che la permeavano.Un "eccitante intellettuale", è stato detto perchè faceva pensare e discutere.
    GIORDANA DI GIOVANNI

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  12. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  13. In conclusione non si può non parlare delle due “opere” più importanti di Pietro Verri, Storia di Milano" (1783) e le celeberrime "Osservazioni sulla tortura", di carattere storico/giuridico: uscite solo nel 1804, sette anni dopo la morte del grande illuminista milanese, in esse si affronta la riflessione sui fatti milanesi del 1630 che videro torturati e condannati due presunti "untori", del tutto innocenti. Lo scopo, più che l'illustrazione degli effetti reali che la tortura produsse "all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano", era l'ottenimento dell'abolizione della tortura stessa, dopo che Maria Teresa d'Austria l'aveva mantenuta in vita, seppur a livelli minimi, in tutta la Lombardia.
    La conclusione del Verri sul panorama offerto dalle varie "inquisizioni" è davvero sconsolata e l'atteggiamento di Verri è comprensivo nei confronti dei giudici solo nella misura in cui essi erano costretti, secondo lui, ad attuare delle regole che appartenevano ad un sistema ingiusto di giurisprudenza. Quello della giustizia era un problema particolarmente sentito nell'età dei Lumi: anche Beccaria se ne occupò attentamente e il frutto di tale attenzione è il suo celebre "Dei delitti e delle pene", in cui dimostra come la tortura e la pena di morte siano due pratiche barbariche che si oppongono totalmente ai dettami della ragione, da Beccaria intesa come autentica guida della condotta umana. Attraverso le attente analisi dei processi contro gli untori del 1630, Verri dimostra su quali assurdi pregiudizi (e la critica ai pregiudizi costituisce il cuore della riflessione illuministica) si fondi la pratica della tortura a fini giudiziari, ancora in uso a quei tempi. Smontati gli indizi sulla base dei quali fu pronunciata la terribile condanna degli untori, Verri mette in luce l'inaffidabilità e l'ingiustizia del sistema giudiziario attraverso cui si pervenne alla condanna. Viene abilmente mostrata - con un argomentare da scienziato - l'inefficacia della tortura al fine di scoprire la verità, poiché - egli fa notare - gli "untori" del 1630 confessarono sì le proprie colpe, ma solamente per sottrarsi alle atroci sofferenze fisiche inferte loro dai giudici. Assodata la mancata utilità giudiziaria della tortura, Verri si sofferma anche sull'aspetto etico della questione, cercando di dimostrare che "quand'anche la tortura fosse un mezzo per iscoprire la verità dei delitti, sarebbe un mezzo intrinsecamente ingiusto". Il ragionamento verriano è di una semplicità stupefacente e si basa su due assunti basilari: la tortura è, in ogni caso, una crudeltà, poiché se colpisce un colpevole certo, gli infligge sofferenze non necessarie; e se colpisce un colpevole solo probabile, rischia di abbattersi contro un possibile innocente. E poi la tortura è eticamente inaccettabile e contro natura, poiché costringe gli accusati a rinunciare alla istintiva (naturale e sacrosanta) difesa di sé, facendosi accusatori e traditori di se stessi.

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  14. Nel far tesoro del suggerimento di Angela di leggere anche le altre opere del Muratori, al fine di comprenderne appieno pensiero ed idealismo, non ho potuto fare a meno di focalizzare la mia attenzione sull'opera ultima di questo autore, "Della pubblica felicità", edito nel 1749, un anno dopo rispetto all'"Esprit des lois" di Montesquieu, considerato quest’ultimo a buon diritto il manifesto della filosofia politica del Settecento.
    Questo testo sembra in certo modo costituirne la risposta italiana: esso si pone l'obiettivo di riformare la società, attraverso la definizione dei “buoni” principi, in grado di rendere la società meno ingiusta; la grande fortuna che esso ha riscosso ci offre testimonianza dell’impatto di tale opera fin dalla sua prima pubblicazione.
    L’autore muove dal concetto di “felicità”, distinguendola in felicità individuale e felicità pubblica; la prima, tipica di ogni essere umano, manifesta un impulso naturale e perpetuo, a questi connaturato, proprio sia del dotto che dell’ignorante, ed è costituita ed alimentata continuamente dai desideri, discendenti tutti dal desiderio primo, padre di tutti i desideri, rappresentato dal “nostro privato bene”, dalla “nostra particolare felicità”; essa può divenire pericolosa nella sua degenerazione, in quanto foriera di Vizi; il favor dell’autore si manifesta invece nei confronti della felicità intesa nella seconda accezione di “felicità pubblica”, che realizza appunto un desiderio decisamente più nobile, quello del bene della società.
    Notiamo che i beni ad oggetto di questi due tipi di felicità sono diversi, e differente è infatti la loro origine: nel caso della felicità individuale il bene desiderato nasce dalla Natura;origine del bene ad oggetto della felicità pubblica è invece la Virtù.
    L’opera segna il trapasso tra la cultura politica dell’ancièn regime e quella moderna.
    Il nuovo concetto di felicità pubblica è ricollegato ancora all’idea del “principe buono”, un principe diametralmente opposto da quello descritto due secoli prima dal Machiavelli, capace di orientare nel miglior modo possibile le sorti del governo.
    Il Muratori colloca poi al fianco dei principi e dei sovrani illuminati gli intellettuali, sostenendo che essi hanno il dovere di aiutarli e coadiuvarli nel sostituire il bene privato con la pubblica felicità.
    La felicità dei sudditi e le virtù del principe non si pongono ancora in antitesi, né costituiscono concetti alternativi o contraddittori.
    (continua)

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  15. Il perseguimento di tale felicità è affidato e riposto dunque nelle mani dei sovrani illuminati, e si pone ad oggetto della loro opera politica; la felicità costituisce dunque il “pubblico bene” cui il principe deve dedicare tutte le sue energie ed attenzioni, e il principe ha il compito di fornirne non una rappresentazione astratta bensì, sulla base di una valutazione realistica e concreta, egli deve dare ai propri sudditi “quella felicità che è possibile al mondo”.
    Ecco allora che essa appare strettamente connessa al concetto di giustizia: soltanto attraverso l’osservanza dei buoni principi potrà essere garantita e raggiunta la felicità pubblica.
    I precetti indirizzati al principe concernono singole politiche, specifici campi di attività: le scuole notarili e quelle di scienza politica, l’annona ed il debito pubblico, il controllo del lusso e l’assistenza dei poveri; l’autore affronta inoltre i temi dell’educazione popolare, dell’igiene pubblica ed addirittura delle attività ginniche; ben due capitoli vengono infine dedicati all’amministrazione dell’agricoltura, costituendo il primo saggio di politica agraria della letteratura europea.
    Salta agli occhi pertanto che tutta questa serie di precetti non segue un criterio d’azione unitario ed organico, ma cerca di contemperare in maniera quanto più equilibrata possibile interessi vari e potenzialmente confliggenti; l’intervento più ampio e degno di menzione è senza dubbio quello operato nel settore della giustizia, all’interno del quale emerge e prende forma il proposito e l’idea di una codificazione delle leggi, sulla base dei modelli scelti da Vittorio Amedeo II di Savoia (riordina le vecchie leggi e le riforma, dando vita alle “Costituzioni di Sua Maestà”, redatte nel 1723 e riviste nel 1729; attua una politica mercantilistica abolendo i dazi interni e tassando fortemente l'esportazione di seta greggia per favorire la produzione interna; in campo amministrativo riordina la burocrazia, creando un governo centrale ed un apparato fiscale con l'attuazione di un'imposta generale su tutti i redditi e abolendo molti privilegi fiscali regionali e delle classi privilegiate) e Federico II di Prussia (considerato a buona ragione il più tipico esempio di sovrano illuminato, scrittore di opere storiche e politiche, amico di Voltaire e degli altri philosophes, attua riforme in campo giudiziario ed educativo, approntando nel primo campo un codice di procedura ed un codice civile che introducono di fatto il moderno stato di diritto, promuovono la formazione di una magistratura di carriera, snelliscono i processi, aboliscono la tortura e riconoscono maggiori diritti all'accusato, ed introducendo l’istruzione elementare obbligatoria nel secondo, non tralasciando minimamente di intervenire anche nel settore economico e commerciale).
    (continua)

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  16. Nel concetto di pubblica felicità vanno infine ad incontrarsi e fondersi anche religione, etica ed economia: quest’ultima andava intesa in funzione del benessere collettivo ed implicava pertanto una serie di interventi strutturali, quali ad esempio la liberazione delle merci da dazi doganali onerosamente eccessivi, la rimozione dei vincoli alla commerciabilità della terra (vedi legge toscana sui fidecommessi e sulle manomorte) in favore dell’instaurazione di una piccola e media proprietà.
    Di seguito allego per coloro che ne fossero interessati il link dove è possibile consultare il testo dell’opera:


    http://books.google.com/books?id=oMkPAAAAQAAJ&printsec=frontcover&dq=della+pubblica+felicit%C3%A0&hl=it&ei=WcODTYDXEMbdsgall6GtAw&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CCwQ6AEwAA#v=onepage&q=della%20pubblica%20felicit%C3%A0&f=false

    Chiudo con una citazione del Muratori,
    «Se i principi si degnassero di fare alquanto di riflessione al loro ministero, intenderebbero da per se stessi qual sia l'istituto della natura e quale l'intenzione di Dio in aver consegnato alla loro cura popoli da governare. Certamente per proccurar la felicità a tante suddite persone, e non già per procacciar loro l'infelicità; che questo sarebbe il vero ritratto de’ tiranni».

    Flavia Mancini

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  17. Illuminismo e diritto penale: come ricordato prima, anche dai miei colleghi, la stagione del dispotismo illuminato, a fine'700, apre la strada alla modernizzazione, alla razionalizzazione delle infrastrutture, all'eliminazione di quanto veniva (ed era percepito) come irrazionale nel sistema sanzionatorio. Il "Dei delitti e delle pene" di Beccaria si pone in Italia quale manifesto delle istanze riformiste, e viene posto al centro della campagna per abolire la pena di morte e per mitigare in un certo senso l'eccessiva rigidità del diritto penale in tutta Europa. Purtroppo con la restaurazione, si verifica un ritorno al passato, ma questo non farà venir meno le istanze riformiste. Trattando dunque dell'eccessiva severità del sistema penale e della sua irrazionalità, andando avanti di qualche decennio si individua uno scritto particolarmente conosciuto e significativo, appartenente sempre ad un italiano, Silvio Pellico, autore del famoso "Le mie prigioni", nel quale raccoglie le memorie relative al periodo di permanenza prima nei "piombi" di Venezia, e poi nella terribile prigione austriaca di Spielberg, in Moravia, da collocarsi tra il 1820 e il 1830. L'accusa era quella di adesione ai moti carbonari.L'opera viene scritta nei due anni successivi la fine dell'internamento, e,superati i problemi legati alla sua censura, riesce ad essere stampata ed edita in diverse lingue, tanto da divenire l'opera italiana più conosciuta all'estero, superando anche i "Promessi Sposi" di Manzoni. Di essa il primo ministro austriaco Metternich affermerà che fu in grado di danneggiare l'immagine austriaca più di una guerra perduta o di "cento mazziniani frenetici", a sottolineare l'importanza dell'adesione del ceto medio-colto ai moti risorgimentali per la loro riuscita, nonché della formazione di una coscienza civile italiana (anche se lo stesso Pellico, nell'incipit dell'opera, affermerà la volontà di tener fuori qualsiasi considerazione politica - "simile ad un amante maltrattato dalla sua bella, e dignitosamente risoluto a tenerle il broncio, lascio la politica ov'ella sta, e parlo d'altro").
    Il "carcere duro" significa "essere obbligati al lavoro, portare la catena ai piedi, dormire su nudi tavolacci, e mangiare il più povero cibo immaginabile". Ma vi era anche chi scontava un "carcere durissimo", che comportava l'"essere incatenati ancora più orribilmente, con una cerchia di ferro intorno ai fianchi, e la catena infitta nel muro in guisa, che appena si possa camminare rasente il tavolaccio". Ai prigionieri di Stato, che vivevano in una condizione di quasi schiavitù, era riservato il carcere duro. Erano inoltre previste durante la detenzione ulteriori pene per chi infrangesse la disciplina (per questo si raccomandava ai prigionieri la docilità). Pellico racconta inoltre di perquisizioni personali che venivano effettuate a cadenza mensile, per cui i prigionieri venivano fatti spogliare nudi e si controllavano dalle cuciture dei vestiti ai "pagliericci".Si tratta di un'immagine assolutamente opposta rispetto ai motivi illuministi di una pena commisurata al delitto, che abbia una finalità deterrente e preventiva il delitto, che non leda la dignità dell'uomo, che prescinda da connotazioni retributivistiche e morali. Tanto più se si pensa che il delitto commesso aveva un carattere politico (adesione ai moti rivoluzionari),e che in prima istanza la sentenza emessa era una sentenza di morte).
    Pellico unisce motivi civili a pietà religiosa, illuminismo al cristianesimo, ed auspica il raggiungimento di un'Europa che si fondi sulla pace e sulla cooperazione (come preciserà anche in un altro saggio, "Dei doveri degli uomini").

    Alessia Guaitoli

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  18. Lo stesso problema di incertezza del diritto visto nella trattazione di Muratori si era verificato nel diritto romano, soprattutto dopo la scissione dell’ Impero Romano , che aveva comportato una decadenza nel mondo del diritto soprattutto nella parte occidentale dell’ impero, soggetto anche alle varie invasioni, che avevano condotto, oltre alla perdita di numerosi testi originali, alla commistione di varie esperienze giuridiche e alla conseguente incertezza del diritto, mancando anche una figura di giurista erudito come si aveva nell’ Impero romano di età arcaica con il Collegio dei Pontefici e soprattutto successivamente con i giuristi dell’ età classica che producevano responsa , dati secondo un sistema casistico. Il mondo orientale invece aveva subito in maniera più debole tale decadenza, perché diventato il centro dell’ impero e della cultura,e inoltre aveva mantenuto i testi originali su cui i giuristi continuavano a formarsi e studiare, grazie alla costruzione e al mantenimento di biblioteche. Questa è la situazione che si trovavano davanti i grandi imperatori che cercarono di riordinare il marasma di iura e leges presenti intorno alla fine del 300 d.C , prima Teodosio II e successivamente Giustiniano.
    La trattazione di Muratori si adatta quindi non solo a un problema del suo tempo, ma a una situazione ciclica che si era già presentata in passato e che si presenta anche ai giorni nostri, vista l’ abbondanza di fonti di cognizione e di produzione, non solo a carattere nazionale, ma anche comunitario e internazionale.
    Eleonora Fardellotti

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  19. segue Fardellotti:
    Lo stesso problema di incertezza del diritto visto nella trattazione di Muratori si era verificato nel diritto romano, soprattutto dopo la scissione dell’ Impero Romano , che aveva comportato una decadenza nel mondo del diritto soprattutto nella parte occidentale dell’ impero, soggetto anche alle varie invasioni, che avevano condotto, oltre alla perdita di numerosi testi originali, alla commistione di varie esperienze giuridiche e alla conseguente incertezza del diritto, mancando anche una figura di giurista erudito come si aveva nell’ Impero romano di età arcaica con il Collegio dei Pontefici e soprattutto successivamente con i giuristi dell’ età classica che producevano responsa , dati secondo un sistema casistico. Il mondo orientale invece aveva subito in maniera più debole tale decadenza, perché diventato il centro dell’ impero e della cultura,e inoltre aveva mantenuto i testi originali su cui i giuristi continuavano a formarsi e studiare, grazie alla costruzione e al mantenimento di biblioteche. Questa è la situazione che si trovavano davanti i grandi imperatori che cercarono di riordinare il marasma di iura e leges presenti intorno alla fine del 300 d.C , prima Teodosio II e successivamente Giustiniano.
    La trattazione di Muratori si adatta quindi non solo a un problema del suo tempo, ma a una situazione ciclica che si era già presentata in passato e che si presenta anche ai giorni nostri, vista l’ abbondanza di fonti di cognizione e di produzione, non solo a carattere nazionale, ma anche comunitario e internazionale.

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  20. CODIFICAZIONI VS GIURISPRUDENZA

    Ciao Eleonora, quello che hai scritto mi ha fatto venire in mente alcune cose che vorrei condividere sul blog.

    Le codificazioni sono un qualcosa di importante e utile per fissare concetti giuridici, i limiti dell'interpretazione giurisprudenziale e per rafforzare i principi dello Stato di diritto ma a mio avviso non vanno viste sempre come qualcosa di "oggettivamente" buono e perfetto.

    Ti faccio subito un esempio citando Giustiniano, di cui parli proprio nel tuo commento. Giustiniano é stato un grande imperatore ma con la sua opera di codificazione ha cancellato la metodologia "case to case" dei giuristi classici.
    Sotto Giustiniano (é scritto chiaramente nella famosa Costituzione Tanta) l'Imperatore é divenuto non solo unica fonte di legge (come già sotto Adriano grazie all'opera del suo fedele Giuliano) ma anche unico interprete della Legge.

    Il ruolo dei giuristi, sapienti utilizzatori della interpretatio e la loro capacità di risolvere casi nuovi applicando analogicamente la ratio contenuta in casi simili é stato drasticamente ridimensionato, scomparendo poi del tutto.

    L'opera di Giustiniano (intendendo per tale quella di Triboniano e dei compilatori del Corpus) é poi arrivata ai Pandettisti secoli dopo senza una corretta ricostruzione storica delle fonti classiche e questi ultimi hanno fatto il resto applicando il diritto romano che avevano ricevuto in eredità da Giustiniano alla Germania dell'epoca. Non poteva che nascerne un sistema giuridico basato su sillogismi chiusi e rigidi. Vedi il concetto di piramide di Kelsen che è stato tra i nostri pensieri durante tutto il corso di D. Costituzionale.

    Detto questo, credo che il rapporto giurisprudenza - codificazioni sia sempre stato difficile. Un rapporto più o meno in equilibrio a seconda del momento storico.

    Anche oggi se ne parla. La Corti Europee lavorano principalmente sulle sentenze. Siamo noi che non siamo abituati a farlo!! Il massimario della Cassazione Italiana é redatto da giovani magistrati e non é per loro certamente facile riuscire ad estrapolare una massima di diritto da quella media di 100 pagine che compongono le sentenza della Suprema Corte. Ergo: molte massime sono in contraddizione tra loro purtroppo. I Paesi di common law sono abituati meglio di noi a lavorare sulle sentenze invece.

    Certo, é anche vero che la creazione della cd Costituzione Europea e la volontà di creare dei codici europei indica che quella esigenza di certezza del diritto non é mai tramontata ma dire "codificazione", credo, non significhi necessariamente dire "miglioramento". Una codificazione priva di una "sana" giurisprudenza accanto blocca la crescita ed il cambiamento del diritto che deve sempre invece essere in grado di mutare di fronte ai mutamenti della società.

    Io non sono né dalla parte dei Giudici né da quella dei Legislatori che codificano; credo solamente che agli operatori giuridici spetti oggi (e da sempre) ricercare il giusto equilibrio tra questi due poteri dello Stato.

    Non so se sei d’accordo….

    Desiree

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